Meganira (1834)/Atto secondo
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ATTO SECONDO
SCENA PRIMA
Alcippo e Aretusa.
Alc. Non con maggior dolcezza
O Aretusa la primiera volta
Io vidi gli occhi suoi,
Ch’or sia per rivederli; io veramente
Troppo son stato lento
A procurare il fin del nostro amore;
Non già, che la cagione
Sia per poco d’ardore;
Ma mentre a raccontare
All’orecchie del padre i miei desiri
Voglio tempo opportuno,
Se n’è trascorso il tempo.
Aret. Forse è ver; forse ancora
Parli così con arte;
Alcippo io temo per un detto antico;
Se l’occhio non rimira,
L’anima non sospira;
Ma dimmi ta per vero:
Ancor diniori ardente
Per la tua Meganira?
Ami tu veramente?
Alc. Se’l nome d’altra ninfa
Aretusa esce mai ne’ miei sospiri,
Gelo eterno di morte
Occupi la mia lingua;
Se mai di Meganira
E per pigliarmi obblío,
Pigli non meno il Cielo
Questa mia vita in ira;
Fulminata cader questa mia testa
Veggasi dagli amanti
Infra turbini e tuoni,
Che mi s’apra la terra, e che m’inghiotta,
L’abisso, io son contento
Allor ch’io sarò reo di tradimento,
Aret. Alcippo un grande amore
Suole seco aver giunto un grande affanno;
Ma ta con arco e strali
Vai tra’ boschi giocondo
Intento a far degli animali preda;
Io non so che mi creda
Delle tue fiamme, Alcippo;
Di belle e fresche rose
Il viso hai colorito;
Oh come poco Amore
Con suoi colpi t’affligge,
Se pure ei t’ha ferito.
Alc. Chi ti detta Aretusa
Così fatti argomenti?
Vivo lieto e giocondo, perch’ognora
Un soave pensier di Meganira
Con esso me dimora;
Erro per folte selve, ed ogni tronco
A me mostra dipinti i suoi sembianti;
L’aurette, che tra’ fier vanno veloci
Mi portano all’orecchia
Il desiato suon delle sue voci;
Nel sole, e nelle stelle ho per costume
Vagheggiar vivamente
De’ suoi begli occhi il lume;
E però son giocondi i giorni miei;
Se ciò non fosse, non che fosser licte
L’ore della mia vita,
Ma un momento sol non viverei.
Aret. Se senza Meganira
Dunque la vita non ti fora a grado,
Chè badi neghittoso,
Che ’l padre ad altri l’accompagni? forse
È ragion ch’ella invecchi,
Mentre tu pensi di venirle sposo?
Omai rompi gl’indugi;
Ch’a dietro non ritorna il tempo corso.
Alc. Credi pur, che sian rotti:
Poi ch’ella è qui presente
Non vo’ ch’ella diparta,
E non rimanga mia;
Mio padre di sua mano
È per darlami, o pure
Fatto consorte mi vedrà di lei
Per alcuna altra via.
Aret. Ecco siam giunti; qui rimanti, ed io
Entrerò dentro, e le darò novella
Della venuta lua.
Alc. Io sento per le vene
Un insolito foco
Che mi colma d’affanno e di piacere;
E pur sento gelarmi
Sì, che reggermi in piedi
Quasi non ho potere;
O possanza ineffabile d’Amore!
Con desiderio estremo
Occhi cari v’attendo,
E pur pensando di vedervi io tremo.
Aret. Qui dentro ella non è; mi meraviglio
Della sua dipartita; io la lasciai
Per trovar te, fermando
Ch’aspettar ci dovesse.
Alc. Ah che tu prendi gioco
Di mia pena a gran torto;
Ma se per prova tu sapessi quanto
I tormenti d’amor sono molesti
Di me pietate aresti;
Strano ben mi parea, ch’esser dovessi
Cotanto fortunato.
Aret. Non prendo gioco no; qui la lasciai.
Perchè partita sia non indovino;
Ma non ti conturbare;
Movi d’intorno, se per sorte in lei
Tu sapessi incontrare;
Io qui l’attenderò, non farà sera
Ch’ella non ci ritorni.
SCENA SECONDA
Meganira.
Quando io vivea da lunge,
Avvenga, che l’aspetto
D’Alcippo e’ suoi begli occhi
Solo fossero il fin del mio diletto,
Non senza sofferenza
Privata io mi vivea
Dell’amata presenza;
Dettavami ragione,
Che rimirarlo io disiava in vano,
Mentre ei m’era lontano;
Ma oggi qui venuta, ove sperai
Acquetar questa vista
De’ caldi suoi desiri,
Ogni minimo indugio
M’empie d’insopportabili martiri;
O amorosa corte,
Come se’ tu ripiena
In ogni tempo e loco,
E per ogni persona
Di tormento e di pena!
Altri godendo all’amor suo presente
Piange, che non ha schermo
Dal sempre consumarsi in fiamma ardente;
Altri adorando una crudel bellezza
Preghi ricerca indarno
Da vincer l’implacabile durezza;
Alcun per gelosia
Sepolto in fondo de’ più rei tormenti
Odia la cosa amata
O gli sia cruda o pia;
Così vive penando, anzi ben vive
Un fedele d’Amore;
Ma pure, e la cagion dir non saprei,
Io volentier torrei gli altrui dolori
Per non soffrire i miei,
Parmi che ciascun’anima amorosa
Possa a ragion chiamarsi
Se meco si pareggia,
Ne trista, nè dogliosa;
Orsù senza dolerci
Partiamo volentieri
Questi graziosi affanni;
E cerchiamo colui,
Che con sua dolce vista.
Ce li può far leggieri.
SCENA TERZA
Alcippo.
Giro i passi e rigiro
In questa, e ’n quella parte,
Nè mi si dona d’incontrar colei,
Che cotanto desiro;
Piè miei, che foste pronti
A partirmi da lei,
E me da’ suoi begli occhi
Tanto sapeste mantener lontano,
Giusta è questa fatica,
Che voi durate in ricercarla invano;
Occhi miei lagrimosi
Del vostro lagrimar non vi dolete;
Non foste voi possenti
Lasciar quei lumi ardenti?
Or s’amaste trovar tenebre oscure
Per entro lor vivete,
Che giustissime son vostre sventure;
Infelici occhi miei,
Non v’incresca soffrire
La pena dell’errore,
Onde voi siete rei;
Ma tu, benigno Amore,
Non voler misurare
E mie colpe e miei merti;
Volgi sol tua memoria alla mia fede;
Fa, Signor, ch’io riveggia
Gli occhi di Meganira,
E ciò d’ogni mio duol sia la mercede.
SCENA QUARTA
Meganira
.
Creder vogl’io ch’Amore
Abbia coperto d’una nebbia oscura
Alcippo, ed al mio guardo lo nasconda;
Cotanto hollo cercato,
Ch’omai vo’ rimanermi
Di più cercarlo, mentre
Lui non so ritrovare
Che cotanto desio,
Temo di dimostrarmi al fratel mio
Cui mi vorrei celare;
Penso finchè sia sera
In queste folte macchie,
Che qui veggo, appiattarmi;
Come l’aria sia nera
Ricercherò d’Alcippo o d’Aretusa
Con minore periglio;
lo non son per lasciar queste contrade,
Salvo felice appieno od infelice;
Regga Amor mio consiglio.