Meditazioni sulla economia politica con annotazioni/XXXIII
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§. XXXIII.
Se convenga addossare tutti i carichi ai fondi di terra.
Egli è vero, che riponendosi tutti i carichi dello Stato sulle terre sole, cioè sulla parte dominicale di esse, l’eccesso del peso sovr’imposto lo sentirebbero gli attuali possessori; ma passando per mezzo dei contratti in un nuovo possessore, esso non più sentirebbe il peso, essendo che nella vendita de’ fondi di terra il compratore cerca d’impiegare il suo capitale in ragione di un tanto per cento, e calcolando il frutto annuo del fondo, calcola la sola porzione dominicale spendibile, depurata da ogni tributo e spese annue dell’agricoltura: perlochè questa sorta di tributo coll’andar del tempo non sarebbe d’aggravio ai possessori, e diverrebbe come una servitù passiva del fondo calcolata nell’atto dell’acquisto.
Ma il ripartire tutto il peso del tributo sulla categoria dei soli possessori delle terre non mi pare esattamente cosa giusta; poichè anche i possessori delle merci son possessori, che ricevono dallo Stato una egual protezione sulla lor proprietà reale, e in conseguenza debbono egualmente a proporzione della ricchezza portar parte del peso della pubblica tutela. Se l’annua riproduzione è il vero fondo della ricchezza nazionale, e se quest’annua riproduzione parte è formata dalle derrate e dai frutti della terra, e parte dalle manifatture, sarà indifferente che uomo sia ricco, perchè posseda le une piuttosto che le altre; e se la giustizia suggerisce di far che contribuiscano i possessori nel tributo a misura della loro ricchezza, mi pare evidente, che il possessore mercante debba portare una parte del peso appunto come il possessore terriere.
Se vorrà darsi una esenzione totale al mercante, e appoggiare il carico totalmente sul possessor terriere, resterà l’industria degli uomini rivolta più alle manifatture che non all’agricoltura, e vi sarà pericolo che quest’ultima non risenta i mali del tributo, quando il di lui difetto è originato dalla sproporzione colle forze dei contribuenti. Nè potrà il terriere giammai conguagliare sulla nazione il gravoso tributo impostogli, tosto che la nazione possa ricevere le derrate anche da estero paese: essendo che qualora il terriere volesse risarcirli vendendo a più caro prezzo il grano, il vino, l’olio, ec. che gli producono i suoi fondi, non potrebbe eccedere un dato limite, altrimenti il negoziante introdurrebbe da paesi esteri le medesime derrate, e forzerebbe il proprietario terriere a ribassare. Si osservi in tal proposito, che anzi se lo Stato confinasse con un paese fertile, e in cui il tributo sulle terre fosse leggiero, tutte le derrate estere entrandovi senza alcun tributo verrebbero ad avere la preferenza, ammeno che il proprietario delle terre nazionali non ribassi al loro livello il prezzo delle derrate nazionali; e così il tributo nuovamente imposto sulle terre ricaderebbe in una costante diminuzione di ricchezza del terriere, sia nella rendita annua, sia nella vendita che volesse fare dei fondi. In uno Stato estero e grande questo inconveniente non si farà sentire, se non verso i confini; ma in una più ristretta società il danno passerà in ogni parte, e penetrerà sino al centro.
Tutti i tributi che si pagano dal contadino e nel vestito e nel cibo e nei contratti, e sotto qualunque altra forma gli paghi, realmente gli paga il proprietario del fondo. Questo è evidente; poichè dalla riproduzione annua dei campi si debbono prededurre le spese della coltivazione, il vitto del contadino, e ogni tributo pagato dal contadino; il restante sarà la porzione dominicale: e se al contadino si toglierà ogni tributo, di altrettanto verrà accresciuta la porzione dominicale. Dunque il tributo del contadino cade sul proprietario. Lo stesso dico del tributo, che paga ogni domestico salariato dal padrone dei fondi di terra, essendo che colui che non possede in questo mondo altro che il suo salario, da quello cava di che pagare il tributo; onde di tanto potrebbe sgravarsi il proprietario sulla porzione colonica, di quanto fosse aggravata la dominicale; e di tanto pure sgravarsi il padrone sui salarj de’ domestici, di quanto essi fossero sollevati nella consumazione; e il manifattore di tanto per diminuire le mercedi della man d’opera, di quanto essa fosse sollevata. Sin tanto adunque che si aggraverà la parte dominicale del proprietario terriere di tutto il tributo che pagavano i contadini e i salariati, con queste operazioni si saranno ottenuti due ottimi fini; cioè rendere più certa e indefettibile la rendita per l’erario, e sollevare il proprietario medesimo, gli agricoltori, e i salariati dall’arbitrio, e dalle maggiori spese della percezione dell’antico tributo.
Ma in una nazione si considera che la quinta parte di essa vive nelle città, e sebbene questa proporzione asserita da uno Scrittore, che fu dei primi a meditare sopra alcuni di questi oggetti, sia stata contrastata da un filosofo Inglese, si troverà in pratica generalmente vera. Dalle quattro quinte parti della nazione che vivono fuori delle Città, ve n’è una porzione sensibile che non vive d’agricoltura, ma bensì sulla negoziazione. La parte che vive nelle città, non è certamente la maggiore quella de’ possessori delle terre, e de’ loro salariati. Vi è un ceto considerabile di Cittadini possessori di merci, e molti salariati dipendenti da essi, e tutta la somma del tributo che attualmente pagano i possessori delle merci e loro salariati, sarebbe una somma di sopraccarico che caderebbe sulle terre con troppo peso ai proprietarj, e con fisica e reale diminuzione della loro ricchezza.
Quando tutto il tributo fosse sulle terre, egli è vero altresì che il proprietario per le consumazioni proprie, come vitto, vestito, addobbi, livree, cavalli, e loro mantenimento ec. riceverrebbe un sollievo, poichè tanto meno dovrebbe spendere per questi oggetti, quanto era il valore del tributo che portavano delle spese della percezione di esso, e dell’arbitrio, a cui era sottoposto. Ma questa utilità sarà ella paragonabile al sopraccarico, che gli piomberebbe sulla parte dominicale? Sarà bilanciata, se le spese diminuite nella percezione saranno eguali al tributo che pagavano tutti i sudditi non possessori di terre, non salariati da essi, non contadini.
Annotazioni.
Quanto si propone in questo Capitolo non è, che una modificazione di ciò, che si è in questi ultimi tempi preteso di sostenere dai così detti Economisti, cioè che tutto il tributo debba imporsi sulle terre, che si pretendono il solo fondo censibile dello Stato, poichè se sen’eccettui quella sola porzione, che riguarda il tributo sulle merci, per le quali non gli parrebbe cosa esattamente giusta di caricarla sulle terre, il nostro Autore ne conviene quanto al resto intieramente.
Tutti i tributi, dic’egli, che si pagano dal Contadino e nel vestito, e nel cibo, e nei contratti e sotto qualunque altra forma, li paga poi realmente il Proprietario del fondo, poichè dall’annua riproduzione dei campi si debbono prededurre le spese della coltivazione, il vitto, ed ogni tributo pagato dal Contadino in diminuzione della porzione dominicale, che verrà per conseguenza accresciuta di quanto resterà sollevato nel tributo il Contadino. Applica egli egualmente in seguito la stessa teoria a’ salariati, ed alle consumazioni de’ Possessori. Io troverei ottimo questo raziocinio in una Società vergine e nascente, non così in uno Stato, dove la forza espansiva del tributo abbia già tutto bilanciato e messo a livello. Non si alterano, e non si distruggono di un sol tratto di penna tutti i patti colonici, gli affitti, i salarj, i contratti, i vitalizj, ed i livelli. La parte colonica non corrisponde sempre precisamente al solo necessario fisico, ed il Contadino contribuisce per conseguenza anche in proporzione del superfluo; e non è giusto poi, che il Proprietario paghi in oltre tutto ciò che su i generi di privativa, e sulle consumazioni paga attualmente tutta quella classe d’uomini, ch’egli chiama Direttrice, e quell’altra composta da’ Redittuarj, dagli Ecclesiastici, ed altri esenti, da’ Forestieri, tra’ quali comprendo anche que’ che possiedono fondi fuori dello Stato, in cui vivono, e di cui godono la protezione.
Due inconvenienti rileva l’Autore nel caso, che si volessero rifondere sulle sole terre tutti i carichi dello Stato, cioè la proporzionata diminuzione del prezzo de’ fondi in pregiudizio degli attuali proprietarj, e la decadenza dell’Agricoltura per il soverchio favore, che si accorderebbe all’industria, la quale abbandonata la prima si rivolgerebbe per preferenza alle manifatture; ma il più, ed il meno non varia la sostanza della cosa, e questo stesso basta per provare con evidenza, che il supposto conguaglio non può essere nè pronto, nè facile, nè integrale. La proposta modificazione di ritenere una porzione del tributo sulle merci non sarà dunque, che una minorazione dell’inconveniente; ma la rivoluzione non sarà in proporzione meno sensibile e dolorosa, e non sarà meno attaccato e leso il sacro diritto di Proprietà.
Un’altra circostanza secondo me essenzialissima, che non si è fatta entrare nel Calcolo, ella è quella, che pagandosi il tributo su i generi di privativa e di consumazione, pagati in dettaglio ed in picciole partite, ed una parte di esso si risolve in una contribuzione ultronea, che a seconda delle circostanze uno modera, ed accresce, senza che d’ordinario l’erario se ne risenta per l’eguaglianza, che risulta dal totale dei contribuenti. Laddove caricato direttamente sulle terre, diverrebbe intieramente forzoso, esigerebbe delle anticipazioni di grosse somme, costringerebbe il possessore a precipitare con nuovo discapito la vendita dei prodotti delle proprie terre, e potrebbe nelle annate infelici compromettere o la percezione del tributo, o la coltivazione ne’ campi. Io soglioFonte/commento: Pagina:Verri - Meditazioni sulla economia politica, 1771.pdf/273 paragonare una Società già stabilita da secoli, che si voglia riformare su questi principj astratti, ad una Città materiale fabbricata e disposta a capriccio, che si volesse ridurre ad un piano simmetrico e regolare.