Meditazioni sulla economia politica con annotazioni/IX

Della libertà del Commercio de' Grani

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VIII X
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§. IX.

Della libertà del Commercio de’ Grani.


S
Iami permesso il trattenermi sopra una parte di quest’oggetto, cioè sulla libertà del commercio de’ Grani, sulla quale la comune opinione degli autori non ha per anco potuto superare la timidezza di molti. L’argomento è interessante, e le ragioni che son per dire, credo che [p. 55 modifica]abbiano della forza. Due mali si temono dalla libertà del commercio de’ Grani. Il primo male si e ch’ei venga a mancare nello Stato. Il secondo male si è che ascenda a un prezzo così alto, che opprima il popolo. Esaminiamo questi due pericoli.

Perchè un commercio si faccia, non basta che sia libero; bisogna che sia utile. L’utilità d’un trasporto nasce dalla differenza del prezzo. Non si perda mai di vista questo principio, posto il quale, dico così: Dovunque sia libera la contrattazione d’una merce, tosto che appaja differenza fra il prezzo che si fa nell’interno, e il prezzo esterno, differenza che ecceda le spese del trasporto, e del tributo, vi sarà guadagno a trasportar la merce dove il prezzo è maggiore; e tosto che vi è guadagno, i possessori della merce vi concorrono a gara per partecipare di quel guadagno, e con tanto maggior impeto, quanto il guadagno è maggiore; e fintanto che cessi il guadagno. Questo fa vedere che dove la contrattazione è libera non vi può essere differenza sensibile e durevole di prezzo, ma questo debbesi livellare naturalmente fra le diverse Provincie confinanti. Da quì ne viene che quando una merce di uso comune si vede [p. 56 modifica]a salti improvvisi calare, e crescere di prezzo, ed essere sensibilmente e costantemente diverso il di lei prezzo da un distretto all’altro, si deve dire che questo è un moto artificiale, effetto di vincoli, e degli ostacoli impeditivi del commercio. Ne’ Paesi, ne’ quali è libero questo commercio, il prezzo de’ grani si sostiene a un livello uniforme. Quelle impensate, e saltuarie variazioni nel prezzo de’ grani che si vedono negli Stati vincolati, fanno tremare alcuni al solo nome di libertà, perchè si figurano che data questa fluttuazione di prezzo si potrebbe con somma rapidità rendere esausto lo Stato. Pecca quest’argomento, perchè suppone l’effetto, tolta che ne fosse la cagione.

Se il trasporto di una merce si fa a misura dell’utile che v’è nel farlo; se quest’utile è proporzionato all’eccesso del prezzo estero sopra l’interno; se quest’eccesso, posta la libertà, è il minimo possibile, ne viene in conseguenza che data la libertà del commercio uscirà del Grano la minima quantità possibile; nè si potrà mai averne nello Stato in maggiore abbondanza, ammeno che non ne venga assolutamente proibita non solo, ma impedita [p. 57 modifica]espressamente ogni esportazione, nel qual caso di tanto se ne diminuirà l’annua riproduzione, quanto è il grano superfluo eccedente l’interna consumazione, siccome si è detto, e la nazione si accosterà al pericolo venturo della carestia.

Ma questa fisica custodia troppo difficilmente si otterrà. Gl’interessi privati conspirano colla loro pluralità a deluder la legge. I custodi moltiplici son sempre soggetti a inganno, o a corruzione. Difendere i confini esattamente colla forza non si può in un sistema stabile. Perciò ne’ paesi vincolati ordinariamente accade, che se il raccolto eccede l’interna consumazione, al tempo della messe il prezzo de’ Grani è avvilito, essendo che più sono i venditori, che i compratori. Alcuni monopolisti profittando del vincolo comune, e con una fatale industria avendo mezzi di sottraersi al rigor della legge se ne renderanno padroni, il che fatto, il prezzo s’alzerà, perchè sono ridotti a pochi i venditori; dalle loro mani passerà in grosse partite ad un monopolista estero, e così costantemente sussisterà l’utile a trasmetterne, perchè i venditori esteri non sono accresciuti; quindi quella stessa quantità che [p. 58 modifica]mercanteggiata liberamente avrebbe livellati i prezzi, uscirà senza livellarli, e il prezzo interno, minore dapprincipio del vero prezzo comune, allungherà il raggio di quella sfera di relazioni che ha il commercio coll’estero, onde ridotta a dar alimento a popoli più rimoti sarà la nazione vincolata in pericolo di penuria. Tale è la serie delle cose che sono prodotte dalle leggi dirette e vincolanti.

Se poi vi fossero persone incaricate a conceder le tratte dei Grani, acciocchè assicurato il necessario allo Stato abbia sfogo il superfluo, questa idea prudentissima al primo aspetto, riuscirà ineseguibile nella pratica. Non è possibile il fare ogni anno un calcolo nemmeno di approssimazione sulla quantità dei Grani raccolti; in conseguenza, posto che anche si sappia la vera annua consumazione, non si potrà definire a quale quantità ascenda ogni anno il superfluo. Di più questo calcolo anche inesattissimo non sarà fatto, se non più mesi dopo il raccolto. Dovrà dunque sospendersi ogni tratta di grano per tutto il tempo anteriore questo calcolo; cioè per tutto il tempo, nel quale i possessori delle terre saranno stati costretti [p. 59 modifica]dall’inesorabile bisogno a venderlo, e sarà questa derrata già tutta ammassata presso i monopolisti prima che se ne possa fare commercio. Ecco la ragione, per cui i paesi che non permettono esportazione de’ Grani se non per tratte, si espongono bene spesso ai pericoli o di vuotare il paese, o di fare che manchi il compratore, e si diminuisca questo importantissimo ramo di agricoltura.

Di tutte le merci anche le più necessarie alla vita comune, olio, vino, sale, tele ec. non ne manca mai il necessario allo Stato, quantunque ne sia libera la contrattazione e il trasporto. Perchè temesi adunque che la merce Grano esca dallo Stato, e ne manchi il necessario, se la legge non accorre ad impedirne l’uscita? Si dirà forse, che il Grano è una merce più preziosa di ogni altra. Si osservi però, ch’ella lo è tanto per noi, quanto per gli esteri; onde aggiungendo eguali quantità da una parte e dall’altra, le relazioni fra noi e gli esteri rimarranno precisamente quali sono in ogni altra merce meno preziosa.

Il necessario fisico non può uscir mai da uno Stato, che abbia la libertà del [p. 60 modifica]commercio, perchè dovunque vi è concorrenza non vi possono essere monopolisti. L’interesse di ogni Cittadino veglia sopra le usurpazioni di ogni Cittadino, e tanti a gara si affollano a partecipare dell’utile, che resta sempre diviso questo sul numero maggiore possibile; da che ne viene, che quei grandiosi ammassi, i quali si vedono nei paesi vincolati, sono fisicamente impossibili a farsi ne’ paesi liberi. Se dunque uscirà la merce dal paese libero, uscirà in molte e replicate partite, uscirà per gradi; e a misura che le ricerche si accresceranno, anderassi il prezzo alzando, perchè niente di clandestino può ivi succedere, dove l’attività dell’uomo abbia lo stimolo dell’utile a invigilare sulle usurpazioni altrui. Ne’ mercati apertamente si faranno i contratti, e così s’alzerà di tanto il prezzo interno della merce, che all’estero non converrà più di comprarla, e la natura delle cose da se medesima avrà interdetta l’uscita al primo accostarsi del superfluo. In fatti l’estero dovrà sempre pagare la nostra merce quello che la paghiam noi, più il trasporto e il tributo all’uscita; la sfera delle relazioni d’ogni Stato co’ finitimi è circoscritta, e ciascuno [p. 61 modifica]Stato adjacente a noi diventa centro d’un’altra sfera, e così da vicino a vicino, per la qual connessione ne accade che cresciuto il prezzo da noi a un dato segno, il finitimo si volgerà a cercare il restante del suo bisogno da qualche altra parte,

Taluni avanzano un’opinione, la quale può destar maraviglia, ma non persuasione; cioè che la libertà convenga ai paesi sterili, e sia pericolosa ai fecondi. Si rifletta, che i paesi sterili in grano pure ne possedono, poichè ne ricevono dal forestiere. La porzione necessaria alla loro consumazione, che hanno ricevuta dagli esteri, non potrebbe uscire da quello Stato senza pericolo della fame. O dunque il necessario non può uscire, o veramente lo può: se nò, perchè lodare i vincoli ne’ paesi fecondi? Questi adunque non impediranno l’uscita, che al superfluo in rovina della coltura, ovvero per mezzo di monopolisti faranno uscire oltre il superfluo anche porzione del necessario, e cagioneranno una mancanza che non si sarebbe provata, abbandonando questa livellazione alla saggia natura delle cose. Se poi si sostiene che il necessario possa uscire colla libertà, dove mai sarà più da [p. 62 modifica]proscriversi questa libertà, se non ne’ paesi, ne’ quali il primo moggio che ne uscisse potrebbe essere un decreto di morte di un Cittadino?

Fa maraviglia, come in mezzo a tutta la rete dei vincoli tessuta ne’ secoli passati non sia mai caduto in mente di vincolare anche la custodia del grano destinato per semente. In fatti seguendo i principj coattivi, che non suppongono inerente alla natura delle cose medesime il moto al bene, ma vogliono imprimervi questo moto; che non poteva dirsi per intimorire gli animi volgari, e far risguardare salutarissimo, e provvidissimo il vincolo sul grano da seminare? Questo è una parte sensibilissima del raccolto, e sarà almeno la quarta parte: E che diverrà lo Stato (potevasi dire) se la spensieratezza, o l’ingordigia caverà da’ granaj questo germe della ventura raccolta, e lo macinerà? L’incentivo dell’utile è sempre urgente; l’uomo sacrifica i bisogni dell’anno venturo agli attuali. Dunque si obblighi ogni possessore a depositare una proporzionata quantità di grano sotto la tutela pubblica per seminare il suo campo. Eppure questo non si è fatto mai; è mancato mai [p. 63 modifica]per questo il grano bastante a seminare? Non mai. Perchè l’interesse privato di ognuno quando coincide col pubblico interesse, è sempre il più sicuro garante della felicità pubblica.

Che se si teme non la mancanza del Grano, ma l’esorbitanza del prezzo in seguito alla libertà, nemmenno questo timore è fondato. In uno Stato vincolato al tempo della messe ne è vile il prezzo, poichè, come già s’è detto, il possessore non trova che pochi compratori del suo superfluo. Ammassato poi il grano in poche mani di monopolisti, il prezzo s’accresce anche nell’interno, poichè gli artigiani, e la maggior parte degli abitanti nelle Città, formano una giornaliera squadra di compratori. Così la maggior parte dell’anno non resta il grano al livello del prezzo che sarebbe utile, anzi necessario per sostener la man d’opera nell’interno dello Stato. L’effetto dei vincoli si è di alzare il livello del prezzo interno, e assai più l’esterno delle nazioni che prendono la merce da noi; perchè l’effetto dei vincoli si è di radunare la merce in poche mani, cercando ognuno di sbrigarsi d’un frutto, del quale non può liberamente [p. 64 modifica]disporre, e profittando alcuni pochi privilegiati della comune servitù per fare essi soli un privativo commercio tanto più seducente, quanto maggiore e più rapida si è la fortuna che promette. Inutilmente la legge fulminerà i monopolisti, potrà rovinarne alcuni, ma saranno immediatamente succeduti da altri; troppo grande è l’utile in questa frode, e troppi mezzi vi saranno sempre, perchè il ricco addormenti i subordinati custodi della legge. Sempre che vi saranno vincoli, vi saranno monopolisti, e fin che essi vi sono, piccolo sarà il numero de’ venditori nel corso ordinario dell’anno a fronte de’ compratori; perciò dovrà sempre il prezzo esserne alto.

Suppongasi quello che non è, e concedasi che il prezzo del grano sarebbe più alto colla libertà, di quello che sia coi vincoli; prima di decidere se convenga avere i grani a prezzo alto, ovvero a prezzo vile, converrà esaminare da qual de’ due partiti sia l’interesse della maggior parte de’ nazionali, giacchè l’interesse pubblico altro non è, se non l’aggregato degl’interessi de’ particolari. Per decidere adunque se l’interesse pubblico esiga d’aver il [p. 65 modifica]prezzo alto, ovvero basso, bisogna osservare se sia nello Stato maggiore il numero de’ venditori di grano, ovvero quello decompratori. Le nazioni mancanti di grano non hanno leggi proibitive di questo commercio. Si parla adunque d’una na’ zione coltivatrice, e che abbia del superfluo di grani. In questa nazione, dico, sarà assai maggiore il numero dei venditori di grano, di quel che non lo siano i compratori. Tutti i contadini saranno venditori, e il numero di essi eccederà di assai il numero degli abitanti nella città, e da questi ultimi si detraggano tutti i facoltosi, e si vedrà che per sollevare un povero cittadino si porterebbe la desolazione a sei o otto poveri agricoltori. Qual è l’aspetto, in cui ci si presenta dappertutta quasi l’Italia, l’uomo il più necessario, e il più benemerito della società? Vediamo il miserabile contadino, nudo le gambe, e scalzo; egli ha sul suo corpo il valore di tre, o quattro lire e non più; egli mangia un pane di segale e di miglio; non mai beve vino; rarissime volte si pasce di carni; la paglia è il suo letto, prima d’avere una moglie; un meschino tugurio è la sua casa; stentatissima è la sua [p. 66 modifica]vita, e faticosissimi i suoi lavori. Egli si consuma e si logora fino all’ultima vecchiaja senza speranza d’arricchire, e contrastando colla miseria per tutto il corso de’ suoi giorni, null’altro bene raccoglie, se non quello che accompagna una vita semplice, e che producono l’innocenza, e la virtù. Egli non trasmette a’ suoi figli altra eredità, che l’abituazione al travaglio. Generazione d’uomini frugalissimi, laboriosissimi, che danno un valore alle terre, e alimentano la spensieratezza, l’ozio, e i capriccj delle città! Questi sono gli oggetti rimoti dallo sguardo del Cittadino; oggetti degni di eccitare tanta commiserazione per lo meno, quanta ne muove la mendicità per lo più meritata dalla plebe civica.

La libertà adunque nel commercio de’ grani non può giammai in nessuno Stato, in nessuna circostanza portar nocumento nè alla sussistenza, nè all’abbondanza della nazione. Nè possono mai essere di giovamento gli ordigni costringenti delle leggi. Se si dubiti della verità di questi principj se ne appelli la decisione alla sperienza, e si ritroverà, che gli Stati che non hanno nè corpi d’arti, e mestieri, nè [p. 67 modifica]leggi vincolanti all’uscita de’ loro prodotti, sono più floridi e opulenti degli altri, ne’ quali tali organizzazioni coercitive sussistono, e tanto più s’accostano i passi all’ubertà, e all’abbondanza, quanto meno sì fatte leggi si tengono in vigore.


Annotazioni.

In materia così vasta, e così feconda d’opinioni, e di scritti è difficile poter supplire con un paragrafo, e molto meno con una nota. L’Autore pensa in favore della libertà illimitata, ed ognuno vede gli sforzi di mente, ch’egli fa per ridurre la cosa a dimostrazione. Volendo far l’analisi delle sue massime, de’ suoi principj, e de’ suoi ragionamenti, e conclusioni si troverebbe forse il contrario. La famosa legge d’Inghilterra ha finalmente quasi dopo un secolo risvegliati gli uomini all’imitazione, e per diritto, e per rovescio vogliono scimiottarla. Le circostante dell’Inghilterra in quel tempo erano le seguenti: Un’Isola con dei PortiFonte/commento: Pagina:Verri - Meditazioni sulla economia politica, 1771.pdf/273, e con la metà del Terreno incolto e senza frutto; scarsa Popolazione; e il Commercio de’ Grani determinato, ed avviato per mezzo de’ Mercanti Nazionali,

e Forestieri all’importazione di circa venti Millioni di Franchi per anno. Sorte la legge allora, che permette con la modificazione del prezzo interno l’uscita de’ Grani. Cosa ha risicato l’Inghilterra? Nulla: perchè l’introduzione [p. 68 modifica]solita de’ Grani ha seguitato, l’Agricoltura frattanto s’è animata, la Popolazione gradatamente s’andò aumentando, e in proporzione andò a diminuirsi l’introduzione; e finalmente mancata affatto, il Commercio cambiò direzione, e si convertì in attivo da passivo ch’egli era. Qualunque Paese adunque si ritrova nelle circostanze, in cui ritrovavasi l’Inghilterra, non tardi un momento a fare la medesima legge. Chi si ritrova in circostanze diverse, tremi, e paventi. Le leggi, che servono per aumentare, non servono per conservare. Infatti, livellatasi in Inghilterra l’Agricoltura con la Popolazione, e cambiata la direzione del Commercio, cioè sopravvenuta l’industria di estrarre senza nessun pensiere d’introdurre, ha veduto quel saggio Governo, essere necessario di dare nuova modificazione alla legge. Far uscire il superfluo è giusto: far uscire il necessario è imprudente. Fissate prima di tutto in che consista il superfluo; osservate nel vostro Paese in qual proporzione siano i Possessori con li consumatori. Esaminate la condizione de’ vostri vicini; la situazione del Paese, se mediterraneo, o sul Mare; se vasto, o ristretto; calcolate in fine la direzione del Commercio de’ Grani, la facilità di averli in caso di bisogno, e poi risolvete. Gli esempj non sono stati di gran conforto. Non vogliamo lasciare senza riflessione quanto l’Autore arrischia per giustificare il proprio assunto; cioè che i Venditori sono gli Agricoltori: mentre non è a mia notizia dove esista questo Paese in Europa, in [p. 69 modifica]cui la legge Agraria sia in tal vigore di sostenere tra gli Agricoltori una equitativa distribuzione di Fondi. Si sa pertanto, che i Contadini per la massima parte vivono sui Fondi altrui, e che i Possessori, e i Piccoli Fermieri di Terre, a fronte dei non possidenti sono in così scarso numero, che appena arriveranno alla ragione di 15. per 100. Per conseguenza l’interesse di 15. si ritroverà facilmente in opposizione con l’interesse di ottantacinque.