Meditazioni sulla economia politica con annotazioni/VIII

Delle Leggi che vincolano l'uscita dallo Stato delle merci

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Delle Leggi che vincolano l'uscita dallo Stato delle merci
VII IX
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§. VIII.

Delle leggi che vincolano l’uscita dallo Stato delle merci.


U
N altro ostacolo frappongono le leggi all’accrescimento del numero de’ venditori, ed è la proibizione all’uscita di qualche natural prodotto del paese. Si è creduto, che potesse uscire da una nazione col moto naturale del commercio anche parte del necessario al di lei consumo. Nei viveri singolarmente questo timore prevalse, e con paterno e rispettabile principio in quasi tutt’i paesi si pubblicarono delle leggi proibitive del trasporto delle interne produzioni più preziose. Si proibì pure di trasportare agli esteri le materie prime delle manifatture colla plausibile idea di spingere a prosperità le fabbriche interne, e impedire agli esteri l’entrare in concorrenza.

O queste leggi vincolanti sono universalmente da ogni Cittadino osservate, ovvero non lo sono. Se la legge è osservata generalmente, e che sia fisicamente impedita ogni esportazione, dico, che la [p. 51 modifica]coltivazione di quel genere infallibilmente dovrà limitarsi alla sola consumazione interna, poichè ogni porzione eccedente questa consumazione sarebbe di nessun valore. Anzi tutti i minuti possessori, e venditori di questa merce temendo questo non valore cederanno all’astuzia di alcuni pochi ricchi e attivi che ne faranno ammasso, e così ristrettosi a pochi il numero de’ venditori l’abbondanza interna diminuirà.

Se poi la legge potrà per taluni essere derogata, ovvero fraudata, egli è evidente che presso questi tali si ammasserà la merce vincolata, e questi potranno trovare utile lo svotarne lo Stato in grosse partite, e condurvi quella carestia, che appunto si cercava di prevenire coi vincoli. La politica è piena di paradossi, perchè sono sottilissimi i fili che tengono unite le cagioni agli effetti, e perchè l’attenzione degli uomini rimira gli oggetti riuniti in masse grandi, e non distinti ne’ loro elementi.

La terra, che abitiamo, riproduce ogni anno una quantità corrispondente alla universale consumazione; il Commercio supplisce col superfluo d’una terra al bisogno d’un’altra, e colla legge di continuità si equilibrano dopo alcune oscillazioni [p. 52 modifica]periodicamente bisogno e abbondanza. Egli è malinconico errore di riguardare gli uomini ridotti a gettare il dado a chi debba morire di fame; riguardiamoli con occhio tranquillo, e riceveremo idee più vere e consolanti. Fratelli d’una vasta famiglia sparsa sul globo, spinti a darci vicendevolmente soccorso, vedremo il gran Motore della vegetazione averci largamente provveduti di quanto fa d’uopo per sostenere i bisogni della vita. I soli vincoli artificiali hanno potuto ridurre gli Stati ai timori della fame, i quali cresciuti a un dato segno sicuramente la producono, quand’anche si trovi provvisione bastante a saziarla. La maggior parte delle carestie non sono fisiche, ma di opinione: di quella opinione regina del mondo, che distribuisce la felicità, e la miseria e sugli uomini, e su i regni, con maggiore impero e sicurezza di quello che non lo facciano tutti gli altri esseri fisici collegati.

Dico che le leggi proibitive sono o insterilitrici, o inutili. Ho provato che sono insterilitrici, perchè diminuiscono il numero de’ venditori; resta a provare quando sieno inutili. Tali sono, quando uno Stato non produca del superfluo nel [p. 53 modifica]genere che si proibisce. Dico adunque che il necessario alla interna consumazione non può mai uscire da uno Stato, dove la natura sola diriga il commercio, poichè nessun venditore potrà trovare altrove maggior numero di compratori di quelli che trova internamente, e internamente li trova senza il pericolo, o il ritardo del trasporto, le spese del quale faranno un argine che conterrà sempre nello Stato la quantità proporzionata al consumo.

Le proibizioni all’uscita sono adunque ostacoli alla libera espansione dell’industria; sono di più una facile sorgente di corruzione, che tale si è sempre una legge arbitraria, per cui sia interesse di molti Cittadini il vederla o derogata parzialmente, o delusa.


Annotazioni.

Che un grosso tributo giudiziosamente imposto su quella merce, di cui si voglia impedire la sortita dallo Stato sia da preferirsi ad una legge che la proibisca assolutamente, perchè egli è più difficile, spezialmente alle persone potenti, di eludere la seconda, che il primo difeso d’ordinario dall’interesse privato, cioè che il primo produca più sicuramente l’effetto voluto dal legislatore, io ne convengo intieramente coll’ [p. 54 modifica]Autore, non così che le leggi proibitiveFonte/commento: Pagina:Verri - Meditazioni sulla economia politica, 1771.pdf/273 si debbano per questo riguardare assolutamente come insterilitrici, o inutili. Non si possono dire insterilitrici, e non tendono a diminuire in proporzione l’abbondanza, e la riproduzione, quando non attaccano, che la materia bruta, e ne lasciano al tempo stesso libera la sortita tosto ch’ella abbia ricevute le prime preparazioni, e per conseguenza lo sfogo a quella porzione, che possa essere eccedente all’interna consumazione, e gl’inconvenienti imputati alle leggi proibitive possono egualmente imputarsi ad un Tributo che ne tenga luogo, e ci allontani dalle altre Nazioni. Sia un ostacolo fisico, sia un ostacolo morale, che vi si opponga, quando il risultato deve essere eguale, la differenza stà ne’ termini, e non nella sostanza. Vedremo nella nota al paragrafo seguente che non sono inutili.