Meditazioni di un brontolone/L'umanità di Beatrice
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L’UMANITÀ DI BEATRICE
L’UMANITÀ DI BEATRICE
Una delle qualità più spiccate dell’uomo, e per la quale egli si segnala sopra gli altri animali, è lo innato suo spirito di contraddizione. Ci avete mai posto attenzione?... No?... Ebbene, guardate. Perchè mai Penelope disfaceva la notte il lavoro compiuto di giorno?... Per contraddizione. Perchè, secondo il vecchio apologo, l’uomo desidera le vivande calde e poi vi soffia sopra per raffreddarle?... Per contraddizione. Perchè si ama di addolcire col zucchero il caffè che è amaro?... Per contraddizione. Potrei durare a lungo negli esempi... ma preferisco arrestarmi, affermando che è su questo fenomeno, che io chiamerò psicologico, che si basa la metà almeno delle interminabili lotte filosofiche, artistiche e letterarie onde è, da molti e molti secoli, afflitta l’umanità.
E, quanto alle quistioni cui alludo, c’è un’altra ragione, oltre quella della contraddizione, che ne fomenta il periodico risorgere: e questa ragione è la moda; capricciosa Iddia a cui talento si rinnovellano, a un dato periodo, più o meno lungo, di tempo, innovellate, quasi per sorpresa e ad insaputa di tutti, di novella fronda certe dispute intorno alle quali tutto il mondo credeva ormai emessa formale e definitiva sentenza... Bah!... E il prurito di apparir critico nuovo elle assale or questo or quello, dove lo mettete?... E’ vi conviene piegare il capo: quella vecchia lite che voi, in buona fede, già credevate risolta e per sempre risolta... macchè!... eccola rifiorire più verde e prospera di prima.... non già afforzata dal rigoglio di nuove ragioni, ma sì bene ritta sullo stelo dei vecchi argomenti...
Ed eccoli lì i letterati, gii studiosi, i critici ad accapigliarsi, ad arrabattarsi, a dirsi, magari, un sacco di contumelie e ad arruffare più che mai la matassa, la quale, a farlo apposta, il più delle volte era, in origine, liscia, semplice, dipanata...
Oh ascendente irresistibile della vecchia storia di Penelope!
Tutte queste melanconiche riflessioni mi sono suggerite dal fatto che, oggi, torna a galla la disputa secolare se la Beatrice, la quale inspirò al divino Dante il più meraviglioso e sublime poema che la razza umana conosca, fosse realmente una fanciulla fiorentina di carne e d’ossa, poco importa se figlia di Folco Portinari o di altro cittadino, o se ella invece non sia che un ente fantastico, un mito, un simbolo creato dall’onnipotente immaginazione dell’esule ghibellino.
Per vedere quanto sia stravagante la resurrezione di tale quistione, dopo che la grande maggioranza dei critici e dei commentatori sì nostrani che stranieri l’avean risolta, più volte, a favore dell’umanità di Beatrice, basterà volgere uno sguardo al quando e al come tale discussione sorse e alle varie fasi per le quali si svolse.
Tutti i commentatori e lettori pubblici della Divina Commedia nel xiv secolo, cioè tutti i commentatori e lettori più vicini all’epoca in cui visse il poeta, tutti coloro che furono o suoi contemporanei, o quasi contemporanei, dal Boccaccio, scendendo, giù giù, pel Pievano, per Filippo Villani, per Jacopo della Lana, per l’Anonimo, per l’Ottimo, per Benvenuto da Imola, per Francesco da Buti, pel Malpaghinis, per Gherardo da Prato, fino ai due commenti attribuiti a Pietro e a Jacopo figli di Dante, tutti concordemente ammisero e riconobbero, sotto la soave e vaporosa persona di Beatrice, le sembianze e le forme di una donna viva e vera, la quale si era andata poi, man mano, trasformando e fondendo nella mente del poeta, in una cosa sola col simbolo della teologia o della scienza rivelatrice divina.
Quale interesse potevano avere i figli di Dante, e i commentatori e spositori quasi a lui contemporanei, quale interesse potevano avere a falsare la verità e la storia, narrando degli amori purissimi del poeta con una nobile e casta fanciulla fiorentina?...
I figli Jacopo e Pietro, stati di continuo presso il padre loro, dovean, senza dubbio, saperne, intorno a questi amori, più assai che non ne potessero sapere gli estranei, per la assidua loro dimestichezza col genitore
- gli altri fondavano la loro credenza sulla esistenza
di una vera e reale Beatrice, nella recente tradizione popolare viva, sincrona intorno alle vicende e alle azioni del poeta.
Non fu che in pieno secolo decimoquinto, centocinquant’anni circa dopo la morte del divino poeta, che Gio. Mario Filelfo, figlio di Francesco, dettando una vita dell’Alighieri, pensò opportuno di impugnare l’opinione generale e, primo, espose e sostenne l’idea che Beatrice fosse ente immaginario e non mai esistito.
La ragione di questa nuova dottrina non può ricercarsi e rinvenirsi che nel desiderio di novità che mosse il turbolento e bugiardo letterato a quella stravagante affermazione: dire e mostrare di credere il contrario di ciò che asserivano e credevano tutti gli altri parve al figlio del Tolentinese qualche cosa di simile ad un’altra invenzione della bussola: e fìnse di credere e scrisse che Beatrice non era altrimenti una donna esistita, ma un mito.
Ma quanto potesse valere la stravagante affermazione del Filelfo, non sussidiata da alcun sodo e serio argomento, apparve facile a tutti i dotti contemporanei i quali non abbracciarono quella opinione, perchè sapevano per prova come e quanto Gio. Mario Filelfo fosse mendace spacciatore di frottole letterarie.
Cosicchè i commentatori suoi contemporanei e i posteriori - e ve ne furono dei valenti e di profondo acume dotati, e basterà citare il Landino, il Nidobeato, il Vellutello e il Dolce - non tennero alcun conto dell’opinione del Filelfo la quale trovò un appassionato sostenitore - sempre per quella benedetta tenerezza della contraddizione - nel canonico Anton Maria Biscioni e, più tardi, in un altro canonico, il Dionisi.
E contro le denegazioni del Filelfo e del Biscioni stettero i più dotti e autorevoli commentatori di Dante, dal Lombardi a Brunone Bianchi, dal Foscolo al Costa, dal Cesari al Fraticelli, dal Biagioli al Tommaseo, dall’Alfieri all’Emiliani-Giudici, dal Giusti al Carducci, e soltanto due nobili ed elevati intelletti, in mezzo al coro delle sapienti elucubrazioni onde era sostenuta, comprovata, dimostrata vera, fino all’evidenza, la umanità di Beatrice, sorsero, in questi ultimi tempi, sostenitori dell’idea del Filelfo e del Biscioni, Gabriele Rossetti e Francesco Perez.
Il primo di questi scrittori, invasato dall’idea che tutto il divino poema fosse una allegoria settaria e rivoluzionaria in materia religiosa, preludio del protestantesimo, secondo lui, già maturo nell’animo del glorioso poeta, non vide in Beatrice che un simbolo dell’idea massonica, e dettò in proposito due libri: Il mistero dell’amor platonico e La Beatrice di Dante, nei quali, non ostante il grande ingegno e la larga cultura onde egli era dotato, accatastò tante visionarie e sofìstiche argomentazioni e siffatta ampia messe di dotte ed argute castronerie, da travisare completamente non soltanto il senso morale, politico e storico del poema, ma il senso estetico altresì.
Il Perez, sulla scorta dell’acutissimo ingegno, col corredo di una dottrina tanto ammirevole quanto profonda, in base ad un convincimento sincero, ha scritto un libro critico intitolato: La Beatrice svelata, libro che io lessi due volte di seguito ed annotai pressochè in ogni pagina, quasi stupefatto della operosa sapienza dell’illustre siciliano il quale ebbe il coraggio vero ed ammirabile di studiare tutta la scolastica, tutto il simbolismo, tutto l’allegorismo del medio evo, per venire alla conclusione che Beatrice non è mai stata una donna, ma puramente e semplicemente .... la intelligenza attiva. Ma per giungere a questa conclusione quanti sforzi immani!... quali sottili contorsioni!... quanta abilità sofìstica!...
Eppure, non ostante la dottrina, profusa, a piene mani, nel libro del Perez, non ostante lo studio amoroso e paziente da lui fatto sopra Aristotele e sui suoi commentatori arabi, sui Padri della Chiesa e sulla loro dialettica, sulla influenza universale dell’allegoria nei secoli xii e xiii e sulle cause e ragioni di questa prevalenza allegorica, non ostante tuttociò e non ostante la logica stringente, serrata del Perez, le sue conclusioni non solo non penetrarono nell’animo mio, ma ne furono respinte; e lo studio posteriormente fatto su quel libro, posto a confronto col Poema, con la Vita Nuova e col Convito, anzichè dissuadermi, mi confermò validamente nella mia convinzione sulla umanità di Beatrice, si chiamasse ella Beatrice, o si chiamasse Giovanna, fosse di Folco Portinari, fosse di altri figliuola.
Le dottrine del Rossetti e del Perez, quantunque trovassero seguaci e sostenitori tanto in Italia, quanto all’estero, furono ineluttabilmente e vittoriosamente abbattute dallo Schlegel, dal Cantù, dal Puccianti, dal D’Ancona e da altri; e nei posteriori commentatori non ne era rimasta traccia.
Oggi, dopo molti anni, quelle dottrine, sempre per quel benedetto amore del nuovo, dello straordinario, magari dello stravagante, rifan capolino novellamente. Siamo sempre lì: pur di contraddire al consenso quasi universale, pur di renderci singolari, pur di riuscire notevoli di fuori e di sopra della comune degli uomini, ritorniamo all’Almagesto di Tolomeo e neghiamo che la terra si aggiri attorno al sole!
Ma che cosa c’è di serio, che cosa c’è di vero, e, sopratutto, che cosa c’è di nuovo in queste posteriori induzioni?...
Nulla, assolutamente nulla: siamo sempre alle medesime: non una virgola fu aggiunta a quanto avevano detto i precedenti sostenitori dell’opinione che Beatrice non fosse mai esistita: furono riprodotte le stesse idee, sotto forme diverse.
Domando, fino da ora, scusa ai lettori se anche io, combattendo contro questi testardi dell’impenitenza finale, sarò costretto a ripetere, in gran parte, gli argomenti contro di loro già addotti.
Ma d’altronde, se si ha da trattare co’ sordi, come s’avrebbe a fare?...
Ripetere loro su tutti i tòni le verità sacrosante che essi non odono, o fanno le mostre di non volere udire.
Senza addentrarmi nella disamina delle ragioni obiettive di tempo, di studii, di ambiente, labirinto oscuro, faticoso, asmatico, nel quale, con passo così paziente e così sicuro, si è addentrato l’illustre Francesco Perez, per contorcere ad un preconcetto fine il senso limpido, esplicito, indiscutibile delle parole del divino poeta, io mi trincererò dietro quelle parole per dimostrare, ancora una volta, luminosissimamente, che la donna, da noi conosciuta sotto il nome di Beatrice, fu donna realmente esistita, donna di carne e di ossa, donna nelle cui vene scorreva sangue umano, donna dalle cui fibre emanavano fluidi che facevan tremar le vene e i polsi dell’Alighieri.
E dichiaro che, dal canto mio, trovo molto più arduo, e molto più ingegnoso, per ciò, l’assunto,di coloro che si sforzano, con abili e più che umane sottigliezze, stravolgere le precise espressioni del sommo ghibellino ad un significato che esse non hanno e che l’immortale autore non volle loro dare giammai, di quello che non sia il compito di coloro i quali tendono a dimostrare l’umanità di Beatrice servendosi, senza bisogno di commenti o di interpretazioni, delle parole stesse del divino Alighieri.
Ciò premesso, acciocchè nessuno creda che io aspiri ad acquistarmi gran merito fra la gente dotta, entro nell’argomento.
Che il divino autore di quella portentosa trilogia, che ha il titolo di Commedia, intendesse narrare nella Vita nuova la storia di un vero e potentissimo amore, apparrà chiaro ed evidente a chiunque quel prezioso ed aureo libretto legga, senza preconcetti e senza prevenzioni. In quella storia, fervida e passionata, come dice il poeta, il linguaggio è continuamente tremolante e palpitante per l’impeto della passione, sulla quale indarno si cerca gettare il freddo velo della studiata e impassibile allegoria.
Pretendere che Dante, il più proprio, il più matematico, il più scrupoloso adopratore delle parole che vanti la lingua nostra, prima e dopo di lui, concepisse a bello studio, non sentisse menomamente ed esprimesse calcolatamente ed a freddo le più calde e ispirate espressioni d’amore, soltanto per dare appiglio a taluni dei futuri commentatori di fargli dire fandonie che egli non si pensò mai di dire, è lo stesso che pretendere che il sole non splende, non riscalda, non vivifica, è lo stesso che asserire che esso è un gran piatto di bronzo dorato, fiammeggiante per luce riflessa, nella volta azzurra del cielo.
L’amore del poeta, il quale, secondo gli uni, sarebbe stato rivolto non a Beatrice o ad altra donna, ma all’intelligenza attiva, secondo gli altri, alla rivelazione Pagina:Meditazioni di un brontolone - scritti d'arte e di letteratura (IA gri 33125010115745).pdf/48 Pagina:Meditazioni di un brontolone - scritti d'arte e di letteratura (IA gri 33125010115745).pdf/49 Pagina:Meditazioni di un brontolone - scritti d'arte e di letteratura (IA gri 33125010115745).pdf/50 Pagina:Meditazioni di un brontolone - scritti d'arte e di letteratura (IA gri 33125010115745).pdf/51 Pagina:Meditazioni di un brontolone - scritti d'arte e di letteratura (IA gri 33125010115745).pdf/52 Pagina:Meditazioni di un brontolone - scritti d'arte e di letteratura (IA gri 33125010115745).pdf/53 Pagina:Meditazioni di un brontolone - scritti d'arte e di letteratura (IA gri 33125010115745).pdf/54 Pagina:Meditazioni di un brontolone - scritti d'arte e di letteratura (IA gri 33125010115745).pdf/55 Pagina:Meditazioni di un brontolone - scritti d'arte e di letteratura (IA gri 33125010115745).pdf/56 Pagina:Meditazioni di un brontolone - scritti d'arte e di letteratura (IA gri 33125010115745).pdf/57 Pagina:Meditazioni di un brontolone - scritti d'arte e di letteratura (IA gri 33125010115745).pdf/58 Pagina:Meditazioni di un brontolone - scritti d'arte e di letteratura (IA gri 33125010115745).pdf/59 Pagina:Meditazioni di un brontolone - scritti d'arte e di letteratura (IA gri 33125010115745).pdf/60 Pagina:Meditazioni di un brontolone - scritti d'arte e di letteratura (IA gri 33125010115745).pdf/61 Pagina:Meditazioni di un brontolone - scritti d'arte e di letteratura (IA gri 33125010115745).pdf/62 Pagina:Meditazioni di un brontolone - scritti d'arte e di letteratura (IA gri 33125010115745).pdf/63 Pagina:Meditazioni di un brontolone - scritti d'arte e di letteratura (IA gri 33125010115745).pdf/64 Pagina:Meditazioni di un brontolone - scritti d'arte e di letteratura (IA gri 33125010115745).pdf/65 Pagina:Meditazioni di un brontolone - scritti d'arte e di letteratura (IA gri 33125010115745).pdf/66 Pagina:Meditazioni di un brontolone - scritti d'arte e di letteratura (IA gri 33125010115745).pdf/67