Medaglia in onore di fra Domenico da Pescia

Bernardo Morsolin

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Medaglia in onore di fra Domenico da Pescia Intestazione 27 febbraio 2024 100% Numismatica

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MEDAGLIA

in onore di

FRA DOMENICO DA PESCIA



Nel Museo Civico di Vicenza si conserva una medaglia in bronzo, senza rovescio, del diametro di 68 millimetri, non priva di certa importanza storica e artistica. Il diritto rappresenta il busto d’un frate domenicano, volto a sinistra. La testa, dalla fronte aperta un po’ rugosa, dal mento col pizzo, dall’aria profondamente pensosa, è coperta dal cappuccio della cocolla di san Domenico, non così però che vi si nasconda l’orecchio. La leggenda, che vi sta incisa all’ingiro, non indica più che il nome del [p. 494 modifica]rappresentato e il giorno, il mese e l’anno della morte. Vi si legge cioè: F • DOMINICVS • A • PISCIA • OB • 23 • MAY • 1497 • Io non so se la medaglia sia nota; devo però dichiarare che d’essa ho cercato indarno alcun cenno nell’opera classica dell’Armand intorno ai coniatori di medaglie nei secoli XV e XVI in Italia1 .

Di frate Domenico da Pescia non è nuovo il nome nella storia. La sua famiglia chiamavasi dei Buonvicini. Domenicano nel convento di S. Marco in Firenze, fu de’ più caldi, per non dire il più caldo ammiratore di frate Girolamo Savonarola. «Compagno» a lui «indivisibile nelle fatiche dell’apostolato, nelle glorie, nei dolori, nei trionfi, nel patibolo, era, scrive il Padre Vincenzo Marchese, una di quelle anime semplici, affettuose, facili alle impressioni e capaci di qualunque sacrifizio, le quali passano sulla terra senza punto addarsi, o conoscersi di questa portentosa natura umana, e già destinate vittime dei tristi»2. È nota la fine ch’egli ha fatto il 23 maggio del 1498 e la dispersione delle sue ceneri insieme con quelle del Savonarola e di fra Silvestro Maruffi da Firenze nella corrente dell’Arno. Del Buonvicini gli storici ricordano con ammirazione la singolare intrepidezza, onde salì il palco e offerse il collo al capestro del carnefice. Nell’universale scompiglio il buon frate [p. 495 modifica]non s’avvedeva, come scrive il Villari, di nulla: sicchè

Parea che a danza e non a morte andasse3.

I Piagnoni non cessarono di venerarne la memoria, quale d’un martire e di tributare a lui, come a fra Silvestro, il culto stesso, che tributavasi al Savonarola.

Il Villari ricorda che in onore de’ tre domenicani «vennero coniato medaglie e incise imagini, che da tutti i devoti erano ricercate e mantenute nascoste»4. Il che non deve destar maraviglia, quando si pensi che tra i seguaci del Savonarola erano dei più fervidi «Baccio della Porta e Lorenzo di Credi, rarissimi dipintori: Baccio da Montelupo, insigne scultore: Sandro Botticelli, che ne scrisse la vita,» ora perduta, «pittore e niellatore: il Cronaca, architetto: tutta la famiglia dei Robbia, illustri plasticatori: il Baldini, incisore: Giovanni dalle Corniole, intagliatore in gemme: Eustachio e Bettuccio miniatori»5, ed altri. Ora io non dirò dei ritratti, che si son fatti, di Girolamo Savonarola: ben mi giova ricordare che in onore di lui furono coniato non una, ma più medaglie, di taluna delle quali fa cenno anche il Vasari. L’Armand ne registra e illustra ben sette varie di dimensioni e di valore [p. 496 modifica]artistico, ma conformi affatto di concetto. Di due, gl’incisori sono anonimi: d’una, si credette autore, per un momento, il celebre Giovanni dalle Corniole, la quale sarebbe uscita, invece, secondo il Milanesi, dal punzone d’uno dei Dalla Robbia, e probabilmente di quell’Ambrogio, assai valente nella plastica, che nel 1495 vestiva l’abito di san Domenico per mano del Savonarola. Vorrebbesi anzi che da lui si foggiassero anche lo altre quattro6 .

Ho detto che fra Domenico, ammirato per il coraggio, onde si fece incontro al martirio, s’ebbe nell’anime dei Piagnoni un culto, se non pari, certo indiviso da quello del maestro; e che anche di lui, come del Maruffi, si sono incise immagini e coniate medaglie, che per timore degli Arrabbiati si tenevan nascoste. E di queste è a crodere sia la medaglia, di cui si parla, la quale nella squisitezza del lavoro accusa, non v’ha dubbio, la mano d’un artefice provetto. Dire chi esso fosse, non è dato di certo; come non è dato additare, tranne che per congetture, gli incisori delle medaglie del Savonarola. Mi giova anzi notare che una medaglia in onore di quest’ultimo, della dimensione di 62 millimetri, si custodisce anche nel Museo di Vicenza.

È la stessa, che è riportata dal Mazzucchelli7, dal Friedlaender8 e dal Trésor de [p. 497 modifica]Numismatique et de Glyptique9; e che l’Armand, suffragato dal giudizio illuminato di Gaetano Milanesi, reputa lavoro d’uno dei Dalla Robbia e probabilmente di frate Ambrogio. Rappresentasi nel diritto il busto di Girolamo, volto a sinistra, vestito dell’abito di san Domenico con la leggenda: HIERONYMVS • SAVO • FER • VIR • DOCTISS • ORDINIS • PREDICHARVM. E scoljiita nel rovescio una mano, armata di pugnale, ch’esce da una nuvola e minaccia la città di Firenze, con all’ingiro la scritta: GLADIVS • DOMINI SVP • TERAM • CITO • ET • VELOCITER •10. Alla medaglia del Savonarola si assomiglia di molto il diritto di quella del Buonvicini, così per la posa del busto, come per la forma del vestito e la natura del lavoro. Sicchè mi parrebbe cosa nè irragionevole, nè presuntuosa pensare, ch’essa possa riputarsi lavoro d’una medesima mano. Vorrei dedurlo anche dalla venerazione, che al Savonarola e ai due compagni di supplizio s’ebbe a prestare a lungo nel convento di S. Marco in Firenze e segnatamente dai testimoni oculari delle virtù di ciascuno dei tre. E dei testimoni oculari fu, non v’ha dubbio, frate Ambrogio, che venne tratto alla vita religiosa dalla parola affascinatrice e dall’esempio eloquente del Savonarola, e dev’esserne stato, per quanto è dato congetturare, dei seguaci più ardenti.

Che frate Ambrogio Della Robbia, o l’artefice, qualunque egli fosse, delle medaglie in onore del Savonarola, si conoscesse gran fatto di lettere, non [p. 498 modifica]pare. L’imperizia è testimoniata, non fosse altro, dalle due leggende, del diritto, cioè, e del rovescio, dove l’ortografia specialmente lascia un qualche desiderio. E un desiderio lascia pure la leggenda, che circonda il busto di fra Domenico da Pescia. Vi si sorprende cioè uno sbaglio nel millesimo. Il supplizio dei tre Domenicani si consumò il 23 maggio, non del 1497, come vi si legge, ma del 1498. Di questo sbaglio non vuolsi però fare un conto maggiore di quello, ch’esso si merita. È ciò che si sorprende non di rado anche nelle date di documenti autentici, e che torna facile a correggersi o per il contenuto, o col mezzo d’altri documenti. Dirò inoltre che la leggenda non è in rilievo, ma incisa. Il che può anche far credere ch’essa vi si incidesse non contemporaneamente al busto, ma in età posteriore, quando sbollite già le animosità degli Arrabbiati, dei Compagnacci e dei Palleschi, e sbandito l’antico timore, che costringevanli, come si è detto, a tener nascosti i ricordi artistici dei tre martiri, potevano professarne con fronte libera il culto. Dato pertanto, come sembrerebbe ragionevole a credersi, un corso più o meno lungo di anni tra il facimento del busto e l’incisione delle lettere, condotta, se vuolsi, anche per altra mano, non è, mi pare, da maravigliare, se si scambiava, usando unicamente della memoria, il 1498 col 1497. Maraviglia sarebbe, invece, se lo sbaglio si riferisse al giorno del supplizio, il cui anniversario celebravasi costantemente con mesta cerimonia. I Piagnoni, cessate le persecuzioni, presero, «non più peritosi o sfidati, ma baldi e sicuri», a rialzare «gli altari al loro Profeta», a parlare «di miracoli, di visioni e di profezie avverate» e a minacciare i divini castighi ai loro nemici. Poi traevano, scrive il Marchese, «al luogo del supplizio di fra Girolamo e dei [p. 499 modifica]compagni, vi spargevano e frondi e fiori, vi depositavano eletti carmi, lo bagnavano delle loro lagrime, v’imprimevano affettuosi baci e giuravano di mantenerne, fin che loro bastasse la vita, inviolato il culto e la dottrina. E tutti gli anni, al ritorno del fatal giorno 23 maggio, la stessa tenera e poetica dimostrazione d’affetto si ripeteva da’ nepoti, che la continuarono por il corso di sopra due secoli11».

Dopo le congetture, non irragionevoli, mi pare, che sonosi esposte, a me non resta che dare il facsimile d’una medaglia non senza valore per la storia e pregio per l’arte, avventurato oltre ogni dire, se altri, rifacendosi sull’argomento, varrà a diradare per intero le tenebre, in mezzo alle quali ho cercato di gettare, come che si voglia, un qualche barlume di luce.

Vicenza, Giugno 1892.

Bernardo Morsolin.

Note

  1. Armand, Les Médailleurs Italiens des quinzième et seizième siècles. Paris, 1882-1887.
  2. Marchese, Scritti Varii, vol. I, pag. 143. Firenze, 1860.
  3. Villari, Storia di Girolamo Savonarola, vol. II, cap. XI. Firenze, 1859.
  4. Villari, op. cit. e loc. cit.
  5. Marchese, op. cit. vol. I. pag. 265. Firenze, 1860.
  6. Armand, op. cit., part. I, pag. 105 e 106, p. II, pag. 46, p. III, 33, 169, 170. Paris, 1882-1887.
  7. Mazzucchelli, Musaeum, tom. I, tav. xxviii, n. 3. Venetiis, 1761.
  8. I. Friedlaender, Die italienischen Schaumünzen des fünfzehnten Jahrhunderts. Berlin, 1880-1882.
  9. Médailles coulées et ciselées en Italie, I, xv, I. II. xxxi. Paris, 1834-1836.
  10. Armand, op. cit., p. I, pag. 105.
  11. Marchese, Scritti varii, vol. I: Il Convento di S. Marco in Firenze, lib. III, pag. 397. Firenze, 1869.