Ludi rerum mathematicarum/Ludi
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LUDI RERUM MATHEMATICARUM
Dico che quante volte entra la parte del dardo quale starà fra la cera B e la cera C, in quell’altra parte del dardo quale starà fra il punto A e il punto B, tante volte quella parte bassa della torre nota a voi entra in quella di sopra ignota prima da voi. E per più chiarezza e pratica di questa dottrina, sievi questo per essemplo a numeri. Sia alta la torre piedi cento, e nella torre l’arco della porta piedi dieci, troverete nel dardo simile ragione, cioè che come quella parte della torre, dieci, entra nella maggiore e superiore parte nove e in sé una delle dieci parte di tutta la torre, così la parte del dardo A C divisa in nove parte sarà tale che ella riceverà nove volte B C, el decimo di tutto A B. E così mai errerete, purché al porre de’ punti vi troviate sempre con l’occhio al primo stato. Questo medesimo potete fare con uno filo apiombinato, facendolo pendere dinanzi da voi e segnando le mire vostre con tre perle come altre volte vi mostrai.
Misurate in questo modo l’altezza d’una torre della quale niuna parte a voi sarà nota, ma ben potete andare sino al piè della torre. Ficcate in terra come di sopra dissi un dardo, e scostatevi da questo dardo quanto vi pare, e ponete l’occhio giù basso alla terra, e indi mirate la cima della torre, dirizzando il vedere vostro per mezzo la dirittura del dardo, e lì dove il vedere taglia el dardo ponete una cera, e chiamasi la cima del dardo A e il piè B, questa cera postavi C, e l’occhio vostro D, come qui vedete figurato.
Dico che la parte del dardo quale sta fra C e B, entra tante volte nella distanza quale sta fra B e D, cioè fra l’occhio vostro e il piè del dardo, quante volte l’altezza della torre entra nella distanza quale è fra l’occhio vostro e il piè della torre. E per essemplo, sia la torre alta piedi cento, e l’occhio vostro sia distante dal piè della detta torre piedi mille; troverrete nel vostro dardo che la mira risponde pure simile, cioè come cento entra in mille dieci volte, così C e B entra in D B pur dieci volte. Adunque voi misurate quante volte C B entra in D B, e secondo il numero saprete quante altezze della torre entrano in tutta la distanza che sia fra l’occhio vostro e il piè della torre sanza niuno errore. E questo medesimo potete pur fare col filo, signato il punto C con la sua perla.
Pare ad alcuni più breve via tanto appressarsi alla torre che, stando voi a iacere e toccando co’ piedi el dardo fitto in terra, come è detto di sopra, la mira alla diritta della cima della torre batta nel dardo alto quanto proprio sia dall’occhio vostro a’ piedi. E dicono il vero, che tanto sarà dal piè della torre all’occhio vostro, quanto dal medesimo piè perfino alla cima. Altri danno modi quali sono verissimi e utili, e dicono:
Togli uno specchio, o più presto qualche scodella piena d’acqua, e ponla in terra, e discostatevi da essa, sempre volgendo il volto alla torre e alla detta scodella, per insino che tu veda in quella superficie dell’acqua ripresentata la cima della torre, e troverrete che quante volte lo spazio che sia fra l’occhio tuo e’ piedi tuoi, entra nello spazio che sia fra’ piedi tuoi e lo specchio, tante volte entra la torre nello spazio che sia fra lo specchio e il piè della torre. Siavi questo essemplo. Chiamisi la cima della torre A e il suo piè B, lo specchio C, l’occhio D, e il sito vostro dove sono e’ vostri piedi si chiami E, come qui vedete la pittura.
Dico che se A B sarà piedi cento, e B C sarà piedi mille, troverete pari ragione fra C E e D E, cioè che come cento entra in mille dieci volte, così D E entra in C E volte pur dieci.
Se vorrete misurare l’altezza d’una torre dove non vi potete appressarvi, ma ben vedete il suo piè e la sua cima, vi conviene trovare modo di sapere quanto sia lo spazio fra voi e il piede d’essa torre, a questo fine, però che se saprete ben corre questo spazio, allora con le misure sopra recitate saprete bene intendere sua altezza. Per sapere questa distanza vi sarebbe il modo qual porremo qui di sotto, atto a misurare ogni distanza, massime quando ella non sia molto lontana. Per misurare le molte lontane vi darò modo singulare.
Misurerete la larghezza d’un fiume, essendo in sulla ripa sua, in questo modo. Ponetevi co’ piedi in luogo piano, e lì ficcate in terra uno dardo, come dicemmo di sopra, e chiamisi questo dardo A B. In questo dardo, proprio all’altezza dell’occhio vostro ponete segno u na cera, e chiamisi questa cera C. Poi scostatevi da questo dardo A B quanto aprite le braccia, e ficcate ivi un altro dardo come di sopra, e chiamisi questo secondo dardo DE; e in questo D E ponete simile una cera proprio all’altezza dell’occhio vostro, e chiamisi F. Tenete l’occhio giunto a questa cera F, e mirate per dirittura del dardo A B qualche cosa nota di là dal fiume qual sia in sulla ripa, come sarebbe uno cespuglio o qualche luogo o sasso, e chiamisi questa cosa G; e dove mirando il vostro vedere taglia el dardo A B, vi ponete un’altra cera, e chiamisi questa cera H, come qui vedete la pittura.
Dico che se misurerete lo spazio fra la prima e la seconda cera del primo dardo, cioè in A B lo spazio C H, quante volte egli entri fra lo spazio che sta fra l’uno dardo e l’altro, cioè C F, tanto troverrete che H B entra in B G, cioè lo spazio quale è nel primo dardo e il cespuglio quale voi mirasti. Eccovi l’essemplo a numeri. Sia il fiume largo passi trenta, e sia lo spazio C B e simile lo spazio F E uno passo; el punto H sarà distante dal punto C tanto ch’ello pari entrerà in F C tante volte quante entra H B in B G, cioè trenta volte, e più se H C entra in C F trenta volte, F E entra in E G pur trenta volte, che sarà largo il fiume trenta volte quanto è dall’occhio vostro al piè.
Eccovi un’altra via molto espedita. Se il paese dove voi sete sarà piano, fate come qui dicemmo di sopra. Ponete due dardi e segnate tutto come dissi C F H, e pigliate la misura quanto sia fra C e H, e ponete una cera a quella medesima misura sotto F nel dardo D E, quale cera si chiami I. E poi ponete l’occhio vostro che tocchi el primo dardo, cioè A B, proprio nel punto C, e mirate per dirittura della cera I posta nel secondo dardo F E, e dove il vedere vostro batte in terra sul piano là oltre a lungi dal dardo F E, ivi fate porre uno segno, uno sasso o che vi pare, e chiamisi questo segno K, come qui di sotto vedete dipinto.
Troverete che tanto sarà dal segno K per insino al dardo A B, quanto dal segno G quale sta di là dal fiume, per insino al dardo D E; misura certissima, ma questa che segue sarà più maravigliosa, benché la sia alquanto laboriosa ad intendere.
Se vedrete d’una torre solo la cima e nulla altra sua parte, e volete sapere quanto sia alta, fate così. Ponete, come è detto di sopra, il vostro dardo fitto in terra, e ponete l’occhio a terra e mirate la cima della torre, e segnate con una cera dove il vedere vostro batte, e chiamisi el dardo A B, la cima della torre C, el punto dove ponesti l’occhio D, la cera che ponesti nel dardo E. Fatto questo, tiratevi più adrieto, e simile da basso mirate la detta torre, e segnate dove testé batte el vostro vedere nel dardo, e chiamisi questa seconda cera F, e dove ponesti l’occhio si chiami G, come qui vedete dipinto.
Convienvi considerare che in questa figura sono quattro triangoli, de’ quali questi due sono a voi noti, cioè F B G maggiore e l’altro E B D minore. Per questi verrete in cognizione di tutti e’ triangoli massimi chiamati l’uno C H G, l’altro C H D, e voi intenderete pe’ modi recitati di sopra come la linea D B risponde alla linea E B nel suo triangulo, così la linea G H nel triangolo massimo risponde alla linea H C. Adunque misurate per questa ragione e comparazione quante volte D B entri in E B, qual poniamo per essemplo facile che l’entri due volte, seguita che C H sia duo tanti quanto H D. E più misurate quante volte B G entra in B F, qual metto caso che entri tre, seguita che C H sia il terzo di H G. E simile seguita che da D H sono due e da G H son tre numeri. Non sapete questo numero quanta quantità e’ sia, s’egl’è braccia o passi o che. Eccovi il modo. Se D H son due e H G son tre, seguita che H G avanza H D d’uno, e quello che gli avanza è D G. Adunque esso D G è un terzo. Misurate questo D G, quale se sarà passi dieci, tutto H G sarà trenta. Di qui argomentate in questo modo. Se la torre C H entra in tutto questo spazio H G tre volte, e D G è il terzo e simile entra lui in tutta G H tre volte, chi dubita che la torre H C è lunga quanto è questo spazio D G? Ma questo spazio D G è dieci; adunque la torre uguale a questo spazio sarà ancora lei pur passi dieci. E così vi seguirà in tutte le cose misurerete, simile ragione sottili ma molto utili a più e più cose, quale appartengono a misurare e anche a trovare i numeri ascosi.
Con questi perfino a qui recitati modi di misurare, potete simile misurare ogni profondità, ma per essemplo ne porremo qualche modo certo.
Misurate quanto sia profondo cavato fino all’acqua un pozzo solo col vedere in questo modo. Traversate una cannuccia dentro al pozzo giù basso quanto più potete giugnere con la mano, e fermatela che la vi stia ben ferma da sé. Poi vi ponete l’occhio vostro all’orlo del pozzo in luogo ch’egli stia proprio a piombo sopra il capo della cannuccia, e sia questo luogo tale che indi possiate vedere el fondo del cavato, cioè per insino all’acqua, e mirate là giù a quell’acqua l’orlo della superficie in quel luogo quale proprio risponde a piombo sotto l’altro capo della vostra cannuccia, e chiamasi questa cannuccia, il capo lontano da voi A, l’altro capo B presso a voi, l’occhio vostro C, el basso del pozzo sopra dell’acqua D. Fatto questo, mirate il luogo dell’acqua detto D, e dove il vedere vostro batte nella cannuccia, ponete una cera per segno, e chiamisi questa cera E, come qui vedete figurato.
Dico che quante volte E B entrerà in B C, cioè quante volte lo spazio che sta nella cannuccia fra E B entra nella parte del pozzo quale sta fra l’occhio vostro insino al capo della cannuccia posto a piombo sotto l’occhio vostro, tante volte A B, cioè tutta la canna, misura tutto il profondo del pozzo. Eccovi l’essemplo. Sia profondo il pozzo braccia ventuno; sia A B, cioè la cannuccia, e la larghezza del pozzo braccia tre. Entrerà adunque A B sette volte in tutta la profondità. Così troverete misurando come dissi, che E B entra in B C tante dette che sono le cannuccie quali misurano el vostro pozzo. Non mi estendo qui in misurare queste profondità, però che voi per vostro ingegno a questa similitudine tutto comprenderete. Ma non preterirò qui certo modo posto dagli scrittori antichi, atto a misurare una profondità d’una acqua molto cupa, quale sarebbe le valle di Adria o simile ancora più profonde.
Se volete misurare la valle quanto sia profonda, quale non si trovi fondo con lo scandaglio né con molte fune, fate così. Abbiate un vaso atto a tenere acqua, sia bossolo o tazza o che vi piace; fatele nel fondo un piccolo pertuso. E abbiate una galla di quercia, e appiccatevi un ferretto minuto fatto simile a una figura d’abbaco quale importi 5, e di questo ferretto quel gambo maggiore, ficcatelo in questa galla per insino alla metà sua; l’altro mezzo avanzi fuori della galla. Abbiate piombini atti di peso quanto vi pare, che sforzino la galla vostra a ire al fondo dell’acqua, e questi piombini sieno fatti in questa forma quale qui vedete dipinta, simile il vaso e simile la galla.
Appiccate uno di questi piombini alla vostra galla come vedete la pittura, e ite in luogo dove a voi sia noto e misurato lì quanto sia el fondo dell’acqua, e qui empiete il vostro vaso d’acqua; e sia l’acqua pura, e pesate l’acqua con tutto il vaso bene a punto quante once e quanti grani ella si sia. Fatti questi apparecchiamenti, a un tratto lasciate ire la galla col suo piombo in acqua, e insieme aprite l’acqua ch’ell’esca del vaso. Qui la galla tirata dal piombo andrà insino al fondo. Giunto che sarà il piombo, el capo suo segnato C toccherà prima il terreno e fermerassi, e il capo B simile declinerà a terra, e indi la coda A appiccata all’angulo del ferruccio si distorrà dal luogo suo, e la galla libera rivolterà suso ad alto. Siate presto e chiudete col dito che nulla più acqua esca del vaso, e pesate quanta acqua vi resta e quanta ve ne manca, e notate in questo tempo che la galla andò e ritornò tante braccia quanta acqua si versò. Non mi estendo; credo assai comprenderete che con questa misura vi sarà facile il misurare el profondo dell’oceano, purché l’acqua sia non corrente.
Con queste simili ragioni e vasi si fanno orilogi assai iusti; e per misurare il tempo ad ore e mezze ore e simile, molte cose sono accommodate. Insomma ogni cosa in cui sia alcun moto, sarà atta a misurare il tempo, e di qui son tutti gli orilogi fabricati come quelli dove certi pesi cerca posarsi in terra, quali sono e’ contrapesi, la polvere, l’acqua e simili.
Ancora si fa orologi col fuoco e con l’aria. Hanno certi stoppini di talco, e notano quanto peso d’olio ardano per ora, e così al bisogno accendono il loro stoppino, e assai loro risponde iusta questa ragione. L’orologio quale si fa a vento, è cosa molto gioconda, però che questa è una fonte fatta che, posta in tavola certo spazio di tempo, ella butta acqua in aria per forza d’aria, quale sputa fuori, e sta così.
Voi avete un vaso lungo tre palmi o quanto piace a voi, del quale e’ labri di sopra si chiamino A B, e il fondo di sotto si chiami C D. A questo vaso voi ponete due altri fondi alto l’uno dall’altro una spanna, e chiamisi il primo sopraposto fondo E F; el secondo, cioè quello ch’è sopra più presso al labro di sopra, si chiami H G. Questi fondi e questo vaso tutti sieno bene stagnati che nulla per alcun luogo respiri. Nel fondo G H, cioè nel supremo, fatevi un foro, e stagnatevi una canna busa quale vi stia entro a perpendicolo, e passi sotto questo fondo G H per insino al fondo E F apresso, e di sopra avanzi sino alto fuori de’ labri A B; e chiamisi questa cannella I K. Simile fate che vi sia un altro pertuso in questo medesimo fondo G H, e simile sotto questo a perpendicolo sia ancora nel fondo E F un foro; e per questi due fori ponetevi un’altra cannella perforata che passi l’uno dall’altro fondo, cioè G H e E F, e vada il capo di questa cannella giù basso fino apresso il fondo C D, e dal lato suo di sopra rimanga uguale al fondo G H; e chiamisi questa cannella, el capo di sopra L, di sotto M. Item nel fondo E F sia un foro entrovi fitta una cannella, quale el capo suo abasso sia uguale al detto fondo E F, e chiamisi O; el capo alto sia per insino sotto presso al fondo G H, e chiamisi N. Saranno adunque, come qui vedete la pittura, tre fondi l’un sopra l’altro, cioè C D e E F e G H, e tre cannelle: I K quale solo passa el fondo G H; L M quale passa un fondo E F e aggiunge al fondo G H; N O quale passa el fondo E F. Aggiungete al fondo G H un foro sanza niuna cannella, pel quale si possa empire il vaso d’acqua, come più giù diremo, e chiamisi il detto foro P, come qui di sotto vedete figurato.
Empiete d’acqua per el buso P quella parte quale sta fra el fondo G H e il fondo E F, e turate bene il detto buso P che nulla più acqua entri né esca. Poi turate la bocca L della cannella L M, e empiete il vaso d’acqua di sopra la parte che sta fra’ labri A B e il fondo G H. Quando tutto sarà in punto, sturate la bocca L della cannella L M. L’acqua girà nella parte giù fra E F e C D, quale empiendosi l’acqua pignerà l’aria che v’era e manderalla per la cannella N O nella parte del vaso fra E F e G H. Indi l’aria pignerà l’acqua per la cannella I K, e quanta vi sarà aria, tanto durerà el suo impeto a pignere fuora l’acqua: giuoco molto delettevole.
Nel numero degli orologi sono ottimi e certissimi quelli che notano el moto del sole e delle stelle, e questi son molti e vari come astrolabio, el quadrante, le armille, e quelli anelli portatili quali io soglio fare, e simili. E di questi la loro ragione è da molti scritta, e cosa prolissa. Ma quanto sia atto a questi ludi quali io racconto, sarà questo: quasi tutti si regolano con la linea del mezzodì, però che ella è più iusta e più coequabile che termine alcuno del cielo. Adunque dico che se volete trovare in ogni paese qual sia proprio il mezzo, fate così.
Ficcate in terra in luogo piano il vostro dardo, come di sopra, ch’egli stia ben diritto; e quando sia dopo desinare inanzi nona, abbiate un filo, legatelo a piè di questo dardo, e proprio dove finisce l’ombra al sol di questo dardo, terminate il filo e fate girando un circulo intorno al dardo in terra. Sarà adunque il ferro fitto del dardo centro di questo circulo, e chiamisi A. Dove proprio finisce l’ombra del dardo sul circulo si chiami B. Lasciate stare così il dardo. In sul punto B ficcate uno stecco. Poi indi a una ora tornate; vedrete l’ombra del dardo battere altrove. Aspettate ch’ella proprio aggiunga a toccare il vostro circulo, e segnate con un altro stecco questo luogo qual sarà più verso donde si leva il sole, e chiamisi questo stecco segno C, come qui vedete la similitudine.
Dividete la linea B C, cioè la distanza quale sta fra l’uno stecco e l’altro, in due parti equali, e chiamasi D, e dal punto A entro del circulo tirate un filo a questo D. Questa dirittura proprio mira il mezzo dì in quel luogo. Con questo potete porre quadranti da sole iusti, e ogni simile cosa.
Per conoscere l’ore della notte sanza altro instrumento che solo col vedere, farete così. Notate la sera, quando appariscono le stelle, dove sia la tramontana, stella assai nota, e ponete mente sopra quale albero o torre o camino o simile ella risponde, sendo voi in questo certo luogo; e notate di tutte le stelle che sono circa la tramontana qualcuna di quelle grande, quale possiate facile riconoscerla, e simile segnate qual mira in su questa ora ella stia. Sappiate che in ore ventiquattro quella stella ritorna proprio a questo sito, adiritta a questa mira, e tuttora gira a torno alla tramontana. Adunque voi la notte, quando poi volete iustare l’ora, vedete di tutto el cerchio quanta parte ella corse. Verbigrazia, ella fece la quarta parte del cerchio, son passate sei ore; se ’l terzo, otto, e simile. Per ritrovare la tramontana si dà certo mezzo. Alcuni lo chiamano Carro, alcuni Corno a similitudine; e sono alcune stelle situate come qui vedete la pittura.
Se a vista piglierete per lo cielo una linea qual vada per le due stelle maggiori che stanno pari di dietro a questa così fatta situazione di stelle, andando troverrete una non piccola stella, né etiam molto grande. Questa prima stella sarà dessa, e sarà scosta da queste due dette stelle forse 3½ volte quanto sia di quelle due l’una dall’altra. Chiamano el vulgo alcuni quelle stelle le Rote del Carro, alcuni la Bocca del Corno. Ma eccovi la lor forma.
Ma torniamo a quanto mi chiedesti, e diciamo delle ragioni di misurare e’ campi. Gli scrittori antichi, presertim Columella, Savazorda, e altri commensuratori, e Leonardo pisano fra’ moderni, molto s’estese in questa materia. È cosa prolissa e dotta. Ma io vi raccolsi le cose più gioconde, e ancora sono utili al bisogno. Non racconto per brevità quante sieno le forme de’ campi quadrati, e più lungo che largo, e più stretto da un capo che dall’altro, e di tre lati, e di molti lati, e rotundo, e parte d’un tondo, e simili. Tanto dico ch’e’ campi sono co’ sua lati o tutti tondi, o linee dirette, o parte diritte parte d’arco, o composte di più archi, come qui vedete le loro varietà segnate.
Voi, se volete misurarle, fate così; e cominciamo da quelli che ha e’ lati tutti diritti. Se il campo arà e’ lati diritti e i cantoni suoi saranno a squadra, e lui sarà molto facile ad intendere quanti piedi sia tutto quadrato, e farete così. Pigliate un de’ lati qual volete, e notate quanti piedi e’ sia dall’un capo all’altro. Quando sete da capo, continuate e volgete a lato l’altra sponda del campo e misuratela. Forse troverrete che l’uno di questi lati fu dieci passi e l’altro pur dieci. Multiplicate l’un numero nell’altro. Chi annovera dieci per infino a dieci volte arà cento. Adunque sarà cento passi quadrato. Se forse fu dieci per questo e venti per quest’altro, venti volte dieci fa duecento.
Se e’ sarà di tre faccie e uno de’ suoi cantoni sarà pure a squadra, fate così. Pigliate uno de’ lati che termina su il suo cantone del quadro, e annoverate quanti passi egl’è. Poi simile annoverate l’altro lato che simile termina a quel medesimo cantone dello squadro, e come facesti di sopra, multiplicate l’uno nell’altro, e di tutta la somma multiplicata togli la metà, e questo sarà il vostro campo. Verbigrazia, sia l’un lato passi dieci, l’altro pur dieci, farà cento. La metà sarà cinquanta, e così sarà il vostro campo fatto a tre canti.
Se ’l campo non sarà di queste due forme dette e pur sarà terminato con linee rette, fate così. Abbiate una squadra grande, e cominciate da uno dei lati quale vi pare più atto, e secondo che vi termina la squadra, dirizzate e’ fili e cavatene tutti e’ quadrangoli, e fate come di sopra multiplicando loro insieme. E simile, se rimane triangoli, fate con la squadra vostra di notare gli angoli retti dividendo dove vi pare il luogo più atto, e accogliete le somme, e starà bene. Qui per darvi qualche similitudine posi essemplo del modo di dividerli.
E notate che la squadra conviene che sia ben grande a volerne avere buona certezza. La grande squadra meno erra.
Farete col filo una squadra ottima così. Cominciate dal primo capo del vostro filo e misurate tre passi, e lì fate un nodo. Poi da questo nodo più oltre ancora misurate per insino ancora passi quattro, e qui fate il secondo nodo, e indi ancora seguite e pure misurate, e quando sete in capo di passi cinque, fate il terzo nodo. Arete dunque in tutto questo filo misurato passi dodici. Raggiugnete il terzo nodo col primo capo e ponetelo in terra, e lì ficcate uno stecco. Trovate il primo nodo, tirate il filo a terra e lì ponete l’altro stecco. Poi ultimo trovate l’altro nodo e simile lì ponete il terzo stecco. Arete un triangulo a squadra iustissimo. Sarà a squadra quello angulo che sta al nodo in mezzo de’ passi ⟨tre e⟩ quattro.
Sono alcuni che misurano il filo cinque e poi pur cinque e poi sette, e fanno come noi un triangulo. Questi errano, però che i quadrati loro non rispondono a pieno: màncavi delle cinquanta parti l’una. E questo basti pe’ campi che hanno le linee rette.
Se ’l campo sarà circulare, bisogna pigliare la sua larghezza e multiplicarla tre volte e un settimo. Verbigrazia, se sarà largo passi quattordici, questo multiplicato in tre e un settimo fa quarantaquattro passi, e questa somma sarà tutto il suo circuito. Poi pigliate la metà della sua larghezza quale è sette, e la metà del suo tondo quale è ventidue, e multiplicate sette in ventidue: somma centocinquantaquattro; e questo sarà tutto il campo, cioè passi centocinquantaquattro. Eccovi la figura.
Se ’l campo sarà non ritondo ma circuito da più archi, cavatene prima tutti e’ quadrati che entrano, e tutti i trianguli; come dicemmo di sopra, così fate. Resteranno quelle parti simili a unaluna amezzata o scema. S’ella proprio sarà parte quanto un mezzo circulo, saprete quanto sarà il tutto per la via di sopra del circulo, e divideretelo per mezzo. Se sarà parte e minore che un mezzo circulo, simile a uno arco, gli antichi feciono una tavola per la quale si misura la corda insino alla schiena dell’arco, e con questa tavola pigliavono assai espressa certezza; ma son cose molto intrigate e non atte a questi ludi quali io proposi. E quanto attaglia a vostri piaceri, basta cavare tutti e’ quadranguli e tutti e’ trianguli, e ridurli a squadra, come dicemmo di sopra, in questa forma.
Pur se volessi averne qualche principio a comprendere la loro ragione, convienvi dividere la corda in due parti e multiplicare l’una nell’altra. Verbigrazia, sia la corda quattro passi, direte due volte due fa quattro; e poi torre la saetta e multiplicarla nel resto dal diamitro, quale se sarà uno, il resto del diametro sarà numero quale multiplicato per uno farà quattro. Sarà adunque quattro, e direte uno vie quattro fa quattro, quali due numeri composti, cioè uno e quattro, mi danno tutto el diametro che fia cinque. Partite cinque per ½, resta 2½; levatene tutta la saetta, cioè 1, resta 1½; multiplicate questo che resta nella metà della corda, e arete in tutto il pieno di questa parte, che fa 3. Questo procede se sarà meno che mezzo circulo. Se sarà più, empierete per questa via quel che manca.
Columella pone molto aggiustato certe parti che ha queste misure, e questa farà al nostro proposito. Se la corda dell’arco sarà piedi sedici, la freccia piedi quattro, aggiugnete questi due numeri, faranno venti. Annoverate questa somma quattro volte; sarà ottanta. La metà è quaranta, e della lunghezza della corda la metà è otto; quale aggiunta alla metà della corda fa quarantotto. Dividete la somma in parte quattordici, sarà tre e poco più; qual parte quatuordecima aggiunta a quaranta farà circa a quarantaquattro. Tanto sarà questo arco. A similitudine di questo farete gli altri. Sono queste ragioni molto alte, simile molto degne, e tratte di gran dottrina. Ma mio proposito qui è solo recitarvi cose gioconde. Adunque lasceremo queste suttilità.
Perché mi chiedesti qualche cosa commoda a condurre l’acque de’ fiumi e rivi e simili, reciterò qualcuna attitudine rara. Ma se vorrete vedere a pieno e distinto tutta questa materia, cioè che ragione fu di trovare le vene dell’acqua, con che arte si deducano, qual sia il modo de’ condotti, qual sia l’ordine de’ rivi, quale argumento moderi e’ fiumi e rompi i loro empiti, in che modo e’ si volgano e transportinsi altrove, vedrete que’ miei libri de architectura, quale io scrissi richiesto dallo Illustrissimo vostro fratello, mio signore, messer Leonello, e ivi troverete cose vi diletteranno.
Fannosi molti instrumenti per livellare l’acqua. Questo vi piacerà, però che è brieve e iustissimo. Togliete il vostro dardo o altra cosa che sia ben diritta, e se non avete regolo diritto, fate uno arco lungo un passo o più e mettetelo in corda, e a ciascuno de’ capi legate un filo lungo quattro piedi o più, e fate che sieno a una lunghezza equali, e legate e’ capi di questi due fili che pendono insieme. Così arete fatto uno triangulo del quale due lati sono e’ fili, il terzo lato è il dardo o vero la corda del vostro arcione. Nel mezzo proprio della corda del dardo o vero dell’arco ponete una cera per segno, e dove si legano i due fili insieme legatevi un terzo filo lungo quattro piedi, e sievi appiccato uno piombino dall’altro capo che pende, e chiamisi questo angulo, dove questi tre fili sono annodati insieme, A. La prima cocca e capo del dardo si chiami B, la seconda C, la cera in mezzo del dardo D, el piombino E, come qui vedete la figura.
Questo instrumento si chiama equilibra, colla quale si misura ogni cosa. Quando l’angulo starà appiccato a cosa che lo sostenga, come s’appicca una bilancia, s’e’ pesi posti l’uno al capo B, l’altro al capo C saranno equali, el filo A E che pende col piombino, proprio batterà in sulla cera D. Adunque voi fate col porvi e diminuirvi e’ pesi che la equilibra stia proprio equale. Usasi questo instrumento a più altre cose, massime a livellare l’acqua. Voi mirate per lo diritto della linea B C, e secondo la sua partita pigliate l’altezza dell’acqua. Ma qui molti s’ingannano livellando, prima che non intendano che la terra sia ritonda e volge in modo che sempre da qual parte voi sete a livellare pare essere più alta che l’altra. Non mi estendo in dimostrarvi dove sia noto il suo volgere e ambito, e quanto rispondano e’ vostri migli a’ gradi del cielo. Tanto vi sia persuaso che in ogni nove mila piedi la terra volge in basso uno piede declinando dalla dirittura di qualunque livella. E se volete sanza calculo operare, livellate di qui in là, e segnate le mire, e poi di là in qua e segnate pur le mire alle sue parità, e di tutta la differenza pigliate il mezzo e questa vi sarà atta misura.
Ancora si vuole non por l’occhio molto presso alla equilibra, ma pongasi alquanto discosto per modo che sotto el vedere sieno a uno filo quattro distinti punti, cioè la cosa mirata, uno; el punto della equilibra, due; el punto C, tre; e il quarto sia l’occhio vostro. Adunque voi, dove misurasti la equalità del terreno, sappiate che l’acqua nulla si muove, ma si sta in collo s’ella non ha la china sua almeno per ogni miglio un terzo di braccio, e questo non vi satisfarebbe s’ella non corresse a dirittura, però che trovando intoppo di volte soprasta e fermasi. Se la ripa dov’ella batte sarà ferma e soda, l’acqua fa come la palla nel muro, quale mandata a costo al muro poco si sparte lungi dal muro, s’ella viene mandata discosto dal muro, ella molto discosta donde ferì nel muro e fugge in là in traverso. Così l’impeto dell’acqua, s’ella trova il suo opposito poco obliquo, poco si deduce; s’ella lo truova molto atraversato, ella si deduce assai, e batte e rode la ripa contraria. Onde molti che non intendono, pur riparano indarno alla sua ripa quando doverriano levare o smussare il suo contraposto o sopra sé fare pari un altro traversato, onde l’acqua ruinando contra il suo contrario imparasse pigliare il corso diritto. Ancora l’acqua rode sotto dov’ella cade e dov’ella fa alcuno refluo, però che il peso cadendo el refluo commuove, e l’acqua intorbidata correndo il porta via. Questi principi per ora bastino.
Questa equilibra misura ogni peso in questo modo: quanto el filo piombinato A E si scosta dalla cera D, tanto quel peso a cui sarà più vicino pesa più che l’altro dell’altro capo. Conoscesi quanto sia, così. Quante volte dal capo del dardo sino al filo AE entra nella parte che resta del dardo, tante volte l’uno di questi pesi entra nell’altro. Verbigrazia: sia il dardo lungo piedi sei; sia dal capo B un peso di libre quattro, e dal capo C un peso di libre due; troverrete il filo A E sarà vicino alle libre quattro, tanto che quella parte sarà di tutto dua e l’altra sarà quattro piedi. Potrei con questa equilibra mostrarvi misurare ogni distanza, ogni altezza, ogni profondità. Ma queste per ora credo bastino. Eccovi l’essemplo del pesare le cose come qui incontra sarà il disegno.
Ordinate un ponte simile a questi levatoi, e accommodatelo in modo con le sue catene ad alto ch’egli stia ataccato a un capo d’una trave lunga, qual sia atraversato sopra l’arco della porta, simile come s’adattano i ponti levatoi. E sia da questo luogo della trave dov’è posata sul suo bilico sopra della porta sino alle catene, meno che del detto bilico sino all’altro suo capo che vien dentro dalla porta; e chiamisi il capo delle catene A, e il capo dentro B, el bilico C. Al capo B ponete una tagliuola, e accommodate il capo della fune che lavorerà per questa tagliuola, giù entro della porta a un certo naspetto che la carchi, e chiamisi D questo luogo. All’altro capo della fune attaccherete la vostra statera accomandata con uno de’ sua uncini in terra in questa forma, e chiamisi questo capo E, come vedete la pittura.
Quando el carro e’ buoi saranno su questo ponte, tirate giuso il capo E della fune, e accomandate la statera al luogo D. El ponte andrà in alto. Basta se va quattro dita suso. Dico che se una volta annovererete quante libre del carro porti una oncia della vostra stateretta, a quella regola peserete poi sempre tutte l’altre. E sievi ricordo quanto vi dissi testé qui sopra, che la parte più lunga della trave A B quante volte ella empie la minore, tante libre porta a numero una libra che gli sia posta in capo; e la tagliuola simile, quante volte la fune va giù e su, tante volte si parte il peso per modo che una libra porta quattro e sei secondo il numero dello aggirarsi.
Ricordami che ancora io vi ragionai in che modo si possa dirizzare una bombarda sanza vedere dove abbi a dare la pietra. Parmi di non lo preterire, più tosto per mostrarvi una pratica della vostra equilibra, che per ragionare di cose aliene della dignità e autorità vostra. Farete adunque così.
Fate pesare e notare quanta polvere e che pietra e coccone e zeppa, e segnate bene tutto il sito della bombarda com’ella stia posta e adiritta. El modo di segnarla certo è questo. Fate una tacca sull’orlo di fuori della bombarda alla bocca alto in mezzo, e un’altra simile alla coda. Di qua e di qua a capo e a piede ficcate in terra stecchi, e notate quanto la bombarda sia discosto da essi stecchi. Poi suspendetevi sopra la vostra equilibra, e dirizzate la sua dirittura per sopra le tacche che son fatte nella bombarda, e notate dove batte el filo piombinato in la equilibra, e quanto ciascuno de’ sua capi stia lontano e vicino alle dette tacche. E per dirittura del capo dove ella sta posta, mirate il contrario luogo opposito al luogo dove volete dare, e dove la mira della vostra equilibra batte, ponetevi segno. Fatto questo, diesi fuoco alla bombarda. Voi vedrete dove ella diede, e menderete lo alto e ’l basso e il costiero la seconda volta movendo il segno che voi ponesti adrieto, e a quello segno così mosso dirizzando la vostra equilibra, e sotto l’equilibra movendo la bombarda. Vorrebbesi che questo segno fusse tanto distante quanto il luogo dove volete dare. A trovarlo aoperate le pratiche di sopra. Eccovi la pittura di questo che ho detto fino a qui. Qual ragione molto gioverebbe a chi usa la balestra, ma non mi estendo in che modo.
Voglio alle cose dette di sopra aggiugnere certo instrumento atto, come per voi consider⟨er⟩ete, molto a questi bisogni, e massime a chi aoperassi il trabocco e simili macchine bellice. Ma io l’aopero a cose molto delettevoli, come a commensurare il sito d’un paese, o la pittura d’una terra, come feci quando ritrassi Roma. Adunque insieme vi darò questa pratica.
Misurate il sito e ambito d’una terra e di sue vie e cose in questo modo. Fate un circulo su una tavola larga almeno un braccio, e segnate questo circulo in parte tutto atorno equali quanto voi volete, e quante più sieno, meglio sarà, purché sieno distinte e nulla confuse. Io soglio dividerlo in parte dodici equali, tirando diametri tutto per entro al circulo. Poi el lembo, cioè il dintorno, tutto divido in parte quarantotto, e queste quarantotto parte chiamo gradi. E più divido questi gradi ciascuno in parte quattro, e chiamoli minuti. A ciascun grado scrivo el numero suo simile a questo qui dipinto.
Quando vorrete fare la vostra pittura, porrete questo instrumento in luogo piano e alto donde voi possiate vedere molti luoghi della terra quale voi volete ritrarre, come sono campanili, torre e simili. E abbiate un filo con un piombino, e scostatevi da questo instrumento due braccia, e mirate a una a una le cose note in modo che ’l vedere vostro passi a uno riguardo per il filo piombinato e per mezzo del centro del cerchio, e dirizzisi alla torre qual voi mirate. E secondo il numero che ’l vedere taglierà all’estremità del circulo verso dove voi mirate, così voi fate memoria su qualche vostra carta di per sé. Verbigrazia: fingete d’essere sulla torre del castello col vostro instrumento e mirate la porta lassù, e vedrete che ’l vedere passa pel venti gradi dove è la divisione due minuti. Scrivete sulla vostra carta: porta di sopra venti gradi e due minuti. E non movete l’instrumento, ma movetevi voi e mirate gli anguli. Forse il mirar vostro batterà sopra dove starà scritto nell’instrumento trentadue gradi e niuno minuto; più scrivete anguli trentadue. E così simile tutti gli altri, sanza muovere l’instrumento. Fatto questo, andrete altrove in luogo pur simile e veduto da questo primo, e porrete il vostro instrumento, e statuiretelo che proprio stia sulla linea medesima di quel numero per quale voi prima lo vedesti al diritto sul vostro instrumento, cioè che se da quella torre prima sino a qui una nave avesse a navicare, verrebbe per quel medesimo vento segnato 20.2, o 32.0, e simile. E qui farete pure il simile come voi facesti al castello: noterete dintorno e farete di tutto memoria su un’altra cartuccia.
Item più andrete a un altro terzo luogo, e pur farete il simile, notando tutto e di tutto facendo memoria. Pongovi la pittura di questo modo che dovete osservare; la qual pittura sarà dimonstrativa, come è detto.
Adunque farete così. Comincerete sulla vostra tavola dove volete fare la pittura, e fate un punto dove vi pare atto alla figura di tutta la pittura, e questo sia il sito d’uno di quelli luoghi donde voi notasti le cose. Verbigrazia: sia il castello; scrivete qui sopra el fatto punto: EL CASTELLO. E in su questo punto ponete un piccolo instrumento di carta largo mezzo palmo, partito e fatto simile a quello grande col quale voi notasti le cose, e assettatelo che ’l suo centro stia proprio in su questo punto, e di qui dirizzate tutte le vostre linee secondo che trovate scritto nella vostra memoria. Simile fate un secondo punto dove vi pare nella linea testé da voi notata alla tavola, qual linea vi nomina uno degli altri due luoghi dove voi mirasti le cose, e in su questo punto secondo ponete pure un simile instrumento piccolo di carta, e assettatelo che risponda alla linea al numero qual nomina sulla vostra memoria CASTELLO, cioè che l’uno e l’altro instrumento sieno a una linea insieme rispondenti l’uno all’altro secondo che essi insieme si nominano. E dirizzate ancora quinci tutte le linee al numero loro notati da voi in sulla vostra carta, e dove la linea del primo instrumento vi chiama, verbigrazia Santo Domenico, si taglia insieme con la linea del secondo instrumento, qual pur chiami Santo Domenico, ivi fate un punto e sopra scrivete SANTO DOMENICO. E simile fate di tutte l’altre cose. S’egli accadrà che queste due linee dette non si taglino bene insieme in modo che molto sia chiaro il suo angulo, ponete un altro simile piccolo instrumento sul terzo punto donde voi notasti le cose, e questo assettate simile agli altri che fra loro rispondano le loro linee, e questo tutti vi manifesterà a pieno. Il dimonstrare queste cose a parole non è facile, ma la cosa in sé non è difficile, ed è molto delettevole, e con questo si fanno più cose, come per voi considererete.
Con questo diedi modo di ritrovare certo acquedutto antiquo, del quale apparivono alcuni spirami ed erono le vie precluse entro al monte. Con questa via intenderete che si può notare ogni viaggio e avolgimento di qualunque labirinto e d’ogni diserto sanza pericolo d’alcuno errore.
E con questo potete misurare le distanze molto a punto, e se volete misurare quanto sia a dirittura dalla Torre dello Asinello sino al Castello, così faremo.
Ponete il vostro instrumento racconcio come di sopra dicemmo, pel quale numero si vegga la Torre detta, e notatelo, e poi mirate un altro luogo alquanto distante da questo dove testé sete. Verbigrazia, voi sete dall’uno de’ capi del corridoio del ponete un certo segno all’altro capo, e lì miratelo, e notate i suo gradi e minuti. Poi ponete il detto instrumento su quest’altro capo del corridoio da voi notato, e assettatelo come noi dicemmo, che risponda a uno la sua linea per diritto del corridoio, e di qui mirate pure la detta Torre, e notate al vostro instrumento e suoi numeri. Fatto questo, abbiate in sala o altrove in piano uno spazio, e come volessi fare la pittura detta di sopra, fate vostri punti, e dirizzate le linee con l’instrumento proprio come di sopra dissi, e dove le si tagliano, segnate in questa forma.
Dico che quante volte lo spazio dall’uno di questi punti segnati all’altro entra in una di queste linee segnate dal punto dove si tagliano, tante volte entra lo spazio dall’uno de’ capi del corridoio sino all’altro nello spazio qual sia dal luogo di quel punto sino all’Asinello. Vedetelo lì notato la figura a numeri. Se dall’uno punto all’altro è once dieci, e da questo punto sino a lì dove si tagliano le linee sono once duecentoventi, direte che da quello luogo suo del corridoio sino alla Torre dell’Asinello sono ventidue volte quanto è da uno de’ capi del corridoio all’altro. E questo vi servirà bene a piccole distanze, ma alle distanze maggiori bisogna maggiore instrumento. E io voglio dar modo che con tre ciriege misurerete quanto sia a dirittura da Bologna a Ferrara.
Misurate ogni gran distanza così. Poniamo caso che voi vogliate misurare quanto sia a dirittura dal monasterio vostro sino a Bologna. Andate in su qualche prato grande dove si può vedere Bologna, e ficcate in terra due dardi diritti come dicemmo di sopra, ma ponetegli distanti l’uno dall’altro mille piedi o più quanto vi pare, purché l’uno vegga l’altro e ciascun di loro vegga Bologna, in modo che tra loro tre, cioè Bologna e li due dardi, faccino un triangulo bene sparto. Fatto questo, cominciate da uno de’ dardi quale forse sarà più presso verso Ferrara, e ponetevi con le spalle verso Ferrara col viso verso questo dardo, e mirate verso il secondo dardo la giù, addirizzando il vedere vostro per questo primo qui dardo; e su quella linea che farà in terra il vostro vedere, lungi dal dardo venti piedi ponete un segno, e se piace a voi, sia una ciriegia. Poi volgetevi col viso verso Bologna, e mirate per dirittura di questo medesimo dardo, e in terra simile nella linea qual farà lì il vostro vedere, lungi trenta piedi ponete una rosa o quello vi piace. Arete adunque notato in terra uno triangulo, del quale uno angulo verso Ferrara sarà el dardo, verso il mare sarà una ciriegia, verso Bologna sarà una rosa. Chiamasi adunque el dardo qui A, la ciriegia B, la rosa C. Misurate quanto sia da B ad A, e quanto da A a C, e da C a B, e notate bene queste misure appunto. Fatto questo, ite al secondo dardo, e volgete il viso verso Ferrara, e scostatevi venticinque piedi, e per questo secondo dardo mirate a dirittura il dardo primo, e per questa dirittura, quale fa il vostro mirare, ponete una ciriegia presso a questo dardo primo quanto stava B presso ad A. Poi volgete il viso verso Bologna, e per la dirittura di questo dardo mirate Bologna, e in terra su quella linea ponete una rosa distante dal dardo proprio quanto fu nel primo triangulo distante C da A, e terrete un filo da questo dardo fino alla rosa. Fatto questo, tornate dove ponesti la ciriegia, e per dirittura di questa ciriegia mirate Bologna, e notate bene dove questo mirare testé batte in terra e taglia il filo posto e tirato fra ’l dardo e la rosa, e qui ponete una bacchetta. Arete qui notato un altro triangulo, quale uno angulo sarà il dardo, chiamisi D, l’altro sarà la ciriegia, e chiamisi E, el terzo sarà lo stecco, chiamisi F. E per meglio esprimere, eccovi a simile la pittura.
Dico che qui vi conviene considerare che voi avete tre trianguli, l’uno è A B C, l’altro D E F, el terzo è quello il quale gli anguli suoi sono l’uno Bologna, l’altro el dardo A, l’altro la ciriegia E. Misurate quante volte entra la linea E D nella linea E F nel suo piccolo triangulo, tante volte E A entrerà in tutta la linea E persino a Bologna nel suo gran triangulo. Per meglio esprimere, eccovi del tutto l’essemplo a numeri. Sia DE dieci piedi, e sia EF quaranta piedi. Dico che come dieci entra in quaranta quattro volte, così la linea e spazio E A enterrà volte quattro nella linea e spazio fra E e Bologna; e se E D enterrà trenta volte in E F, da qua dove voi operate sino a Bologna sarà trenta volte quanto sia da A sino ad E. Ma perché non si possano sempre vedere ad occhio le distanze, e giova sapere proprio quanto la cosa sia distante, vi darò modo di misurare quanto sia da Ferrara sino a Milano giacendo e dormendo, e in tanta misura arete certezza per insino ad un braccio. Farete così.
Abbiate un carro; quanto le ruote sono maggiori d’ambito, meglio fia. In sul motto grosso della ruota, in quale stanno fitti e’ razzi, e nel quale entro pertusato passa quello ch’e’ Latini chiamano axis, cavate una fossetta non maggiore né più profonda se non quanto essa riceva una sola pallotta. E fate una cassa col suo pertuso sopra al vostro motto del carro, in modo che nessuna pallotta esca se non quando volgendosi la ruota una sola n’entri nella sua fossetta. Empiete questa cassetta di pallotte, e sotto fatevi dove, quando volgendosi la ruota lasci la pallotta riceuta nel pertuso fatto sotto, sia ricolta, o sacco o che si sia. Credo per vostro ingegno intendete come secondo il numero delle pallotte cadute vi saranno note le volte della ruota, e a voi sia noto quanto volge la ruota. Conterete adunque tante pallotte, tante ruote, e tante volte, tante braccia. Eccovi l’essemplo dipinto.
Questo medesimo modo si può adoperare a conoscere la via per mare, facendo la ruota che in scambio de’ razzi sieno pale simile a quelle de’ mulini, e appenderla al lato della nave; del resto farvi el simile ch’io dissi di sopra, una fossicella nel fuso dentro quale entrasse nella nave. Ma voglio darvi certo modo raro a conoscere quanto la vostra fusta vada per ora a qualunque vento la muova. Fate così.
A conoscere quanto navichi una vela, ponete il vostro pennello, fatto non di piume ma di legno, fitto nella sua astola, e abbiate una assicella sottile quanto un cuoio, lunga un piè, larga quattro dita. Appiccatela con due guercetti giù basso alla coda del pennello ultima, in modo ch’ella si muova non qua e qua verso man destra o sinistra, quale fa il suo pennello e come fanno gli usci, ma su e giù come fanno le casse quando l’aprite o serrate; e sievi una parte d’uno arco quale penda in giù attaccato in modo che quando questa assicella starà più alta o più bassa, voi possiate ivi nel detto arco tutto segnare e annotare. E per più chiarezza vostra eccovi la similitudine di questo pennello e asse e arco.
Questo non bisogna persuadervi che quando non trarranno venti, questa assicella penderà giuso a dirittura, e quando sarà poco vento, questa poco s’alzerà, e quando sarà forte, ella starà sullevata assai. Convienvi avere adunque notato e ben conosciuto altrove a luoghi noti a voi quanto la vostra fusta corre per ora e per tanto vento che l’assicella s’alzi a questo o a quest’altro segno, con queste vele tanto alte che così adiritte, con questo carico, con tanti timoni in acqua e simile; e questi segni e notazioni poneteli che vi sieno ben certissimi e presenti. Adunque navicando porrete mente quante ore corse la vostra fusta pel vento del tal segno, con l’altre circunstanze a voi note, e così arete certa notizia del vostro navigio, e non converrà arbitrare per altre conietture le miglia come fanno oggi e’ marinai.
Ancora prenderete piacere di questo che gli antichi scrissono, come Ierone, principe di Siracusa, fece certa opera d’oro di molto peso e di gran magistero, quale fatta rispondea nella bilancia al peso dell’oro quale egl’avea dato a’ maestri. Ma intese ch’e’ maestri artefici dell’opera l’avevono ingannato e non era tutto il lavoro d’oro ma era misto d’argento. Irato Ierone non volea però guastare il lavoro, ma volea certificarsi. Commise ad Archimede matematico questa causa. Archimede, uomo suttilissimo, sanza muovere o guastare nulla tutto vide manifesto in questo modo. Fece due masse d’un medesimo peso quanto fu l’opera fatta de’ maestri, e di queste due masse l’una fu puro oro, l’altra puro argento. Posele nell’acqua in vasi ad una grandezza e a una forma simili e pieni ad un modo, e vide che differenza restava di questa acqua nel vaso quando ponendovi questa massa l’acqua traboccava fuori e si versava. E così posevi poi l’opera, e proporzionando i pesi loro insieme trovò certo il vero in tutto el lavoro. Fu ingegno molto acuto.
Quanto pesi l’acqua a proporzione dell’oro non scrissono gli antichi, però che l’acque son varie. Ma truovo bene scritto quanto a proporzione della cera pura pesino tutti e’ metalli. E dicono che un dado o palla o qual forma si sia di certa grandezza di cera e pesi un’oncia, questa medesima sendo di rame puro peserà oncie otto e denari sedici, e se sarà di rame ciprino, peserà oncie otto e denaio uno; se sarà stagno, peserà oncie dodici; se sarà piombo, peserà una libra e denari sei; se sarà oro, peserà una libra e oncie sette e denari nove. Di qui si può facile comprendere per che cagione l’oro pesi nell’acqua più che l’ariento, e la ragione è evidente. Sì che qualunque corpo essendo pari a misura con l’acqua e in se pesi meno, questo stia tanto sollevato e a galla quanto il suo peso sarà minore, e starà pari immerso nell’acqua quanto pari tanta quantità d’acqua sarà di peso pari a lui. E quelli corpi che in sé pesano più che l’acqua, staranno sotto, e quanto più peseranno, tanto più veloci descenderanno e meno occuperanno dell’acqua, sento tutti d’una figura e forma. Con questa ragione mostrai a questi dì a questi architetti qui quanto pesi certa colonna di quale essi contendevano fra loro. Presi alcuni pezzi di simile pietra e alcuni di marmo del quale io ho noto certo il peso suo, e posili nell’acqua e compresi la loro differenza. Potrei in simili cose molto estendermi, ma queste per ora bastino. Se altro mi chiederete, lo farò volentieri. Le misure de’ corpi, come sono colonne quadre, rotunde e aguzze, di più faccie, sperice e simili, sono materie più aspre a trattare. Pur quando a voi dilettasse, potrò ricorvele. Dubito non poterle dire se non come le dissono gli antichi, e loro le dissono in modo che con fatica e cognizione di matematica e appena si comprendano. Dicovi che molte cose lasciai e non dissi, benché fussino molto dilettevoli, solo perché i’ non vedea modo poterle dire chiaro e aperto come cercavo dirle, e in queste durai fatica non poca ad esprimerle e farmi intendere.