Lodi monografia storico-artistica/Capo V

Capo V. — Governi, statuti e costumanze della città di Lodi

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Capo V. — Governi, statuti e costumanze della città di Lodi
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CAPO V


GOVERNO, STATUTI E COSTUMANZE

DEL COMUNE DI LODI.

Più volte in questa Monografìa si accennò al governo, alle leggi ed alle costumanze del comune di Lodi, il quale, se si tenne, in generale, alle condizioni degli altri italici, ebbe pur esso qualche carattere distintivo. Il comune lodigiano, sorse ancor esso come gli altri sull’ordito del municipio romano, quantunque non ne fosse certamente una continuazione; poiché il concetto politico n’era affatto diverso. La sapienza amministrativa dei Romani avea trovato modo di lasciare intatta alla metropoli la pienezza del potere politico, ed alle città soggette forze sufficientinon solo per reggere da se gli affari interni, ma anche perchè i principii di libertà vi ponessero salde radici, e vi riuscì così bene che le istituzioni de’ suoi municipi non furono mai per intero distrutte. Il decurionato, e quella qualunque rappresentanza degli interessi cittadini che incontriamo dappertutto anche dopo la caduta dell’impero romano d’Occidente, era uno scheletro di governo comunale; i collegi delle arti colle loro consuetudini ed ordinamenti erano in embrione le forze associate del comune co’ suoi statuti; le milizie urbane, poche, disordinate, intermittenti, accennavano pure alla possibilità d’un armamento comunale. Già dicemmo altrove più opportunamente come e quanto gli avvenimenti giovassero a fecondare e sviluppare que’ germi del comune, che senz’essi forse sarebbero periti. I nuovi e gravi bisogni, creati alle città dalle ultime invasioni barbariche (specie degli Ungheri e Saraceni) e dalle continue lotte fra i pretendenti al dominio d’Italia, alle quali i principi era impossibile provvedessero, crebbero l’attività cittadina, rinvigorirono gli animi e i corpi, fecero riprender l’armi che da secoli posavano, e non solo ai cittadini plebei, ma eziandio ai volghi sparsi nel contado ed ai coloni, i quali affrettarono così la propria emancipazione. Per tal modo avvenne che le antiche corporazioni d’arti, la divisione amministrativa ed ecclesiastica per porte, quartieri, sestieri, parrocchie, ecc., l’ordinamento amministrativo, i magistrati municipali per annona, censo, opere pubbliche, e via discorrendo, diventarono gli ordini fondamentali, sui quali si costituì la difesa; e il governo che la rappresentava, salendo perciò ad importanza affatto nuova, e le città per le politiche vicissitudini sempre più abbandonate a se stesse in questo lavoro, finirono per conoscere ad un tempo le loro forze e l’insufficienza e debo [p. 59 modifica]Pagina:Lodi monografia storico-artistica 1877.djvu/67 [p. 60 modifica]Pagina:Lodi monografia storico-artistica 1877.djvu/68 [p. 61 modifica]Pagina:Lodi monografia storico-artistica 1877.djvu/69 [p. 62 modifica]Pagina:Lodi monografia storico-artistica 1877.djvu/70 [p. 63 modifica]Pagina:Lodi monografia storico-artistica 1877.djvu/71 [p. 64 modifica]Pagina:Lodi monografia storico-artistica 1877.djvu/72 [p. 65 modifica]Pagina:Lodi monografia storico-artistica 1877.djvu/73 [p. 66 modifica]Pagina:Lodi monografia storico-artistica 1877.djvu/74 [p. 67 modifica]Pagina:Lodi monografia storico-artistica 1877.djvu/75 [p. 68 modifica]prietario od affittuario dei fondi nella giurisdizione nel comune di Lodi può usare dell’acqua di Muzza, estraendola con bocchello, denunciando e facendosi inserivere per la quantità derivata, e pagando due fiorini d’oro per ogni oncia. I bocchelli devono esser fatti secondo gli ordini dell’affittuario di Muzza, di pietra all’altezza della soglia della levata, e non ponno avere scavi laterali al bocchello, nè chiuse od opere nel canale.

Le levate si ponno fare dietro ordine degli ufficiali di Muzza, all’altezza della soglia dei bocchelli: tutte le soglie dei bocchelli serviti da una levata, devono essere di eguale altezza. Chi vuole derivare acqua dalla Muzza, ha diritto di aprire i condotti d’acqua di derivazione e quelli di scolo anche sui fondi altrui per servitù coattiva di acquedotto, pagando il prezzo o l’affitto dei fondi occupati a stima di due prodi vîri, eletti dalle parti, o dal podestà in caso di disaccordo. Cessando l’uso delle acque delle roggie di derivazione o di scolo, il proprietario ricupera il terreno restituendo il prezzo. Chi apre roggie deve costruire ponti sulle vie attraversate, in pietra se maestre o secondarie, in legno se minori; provvedere allo scolo delle acque senza danno altrui, e non può far debordare le acque sulle strade e fondi altrui. Volendo attraversare altre roggie o scolatori, deve farlo con edifici in pietra da mantenersi senza danno del corso dei cavi presistenti.

Niuno può usare dell’acqua di una roggia senza consenso del proprietario o proprietari di essa. I coutenti di una roggia non ponno operare con chiuse o tagli nelle rive, ma devono tenere incastri idonei a poterne usare senza danno dei soci della roggia. Tutti i proprietari di una bocca in Muzza, o gli utenti di essa, in proporzione d’utenza, sono obbligati a sostenere le spese di conservazione e dello spurgo del cavo, di riparazione degli edifici e ponti; a pagare le multe cui sottostasse la roggia, se anche non volesse in quell’anno servirsi della roggia; mancando a ciò, oltre i danni e le multe, gli si ritira l’acqua. Ogni contravvenzione delle prescrizioni di Muzza è d’ordine pubblico, se anche interessa i rapporti tra coutenti e danni dati ai privati; è punita con multa a favore del comune e degli ufficiali sorveglianti, oltre la rifusione dei danni ai privati. Le contravvenzioni sono denunciate appena rilevate, e punite sommariamente, data però la difesa, dal podestà e suoi giudici.

Le leggi penali erano molto severe; ma in alcune parti assai meno crudeli che altrove; crudelissime tuttavia se le confrontiamo colle moderne. Gli accusati per danni arrecati dovevano venir condannati od assolti entro un mese. Nessuno punivasi nel corpo se non nei casi preveduti dalla legge. Gli agnati erano tenuti responsabili per alcuni delitti commessi da chi tenevasi fuori della giurisdizione di Lodi.

Nella maggior parte dei casi la pena consisteva in una multa a profitto del comune. Nessuna condanna poteva pronunciarsi senza previa difesa, meno alcuni casi previsti dagli statuti: alla difesa l’accusato stesso non poteva rinunziare. In tempi di continue lotte civili e di tanta prepotenza era partito nonchè savio necessario, provvedere ad un numero di casi particolari molto maggiore che non in tempi di governo assai più forte e meglio ordinato come i nostri, e moltiplicare le disposizioni principalmente per quelle offese che potevano dar luogo a litigi ed incitamento a lotte cittadine. Epperò punivasi con multa an[p. 69 modifica]che il semplice insulto, ed avevano sanzioni penali la graffiatura, la morsica- tura, il gettar a terra una persona, lo stracciare l’abito o rubare il cappuccio ad alcuno, ecc. ecc.

Erano puniti nel capo gli omicidi, i parricidi, gli incendiari, coloro che avessero rapito e violato donna onesta, le adultere, gli avvelenatori, i falsificatori del suggello o d’altro segno della comunale autorità. I sodomiti venivano dannati al rogo. Ai falsificatori di pubbliche scritture tagliavasi la mano destra. Ai testimoni falsi era comminata la stessa pena del colpevole, o per lo meno l’incisione od amputazione della lingua o il tormento della mitria; le stesse pene in generale per quelli che li producevano in giudizio.

I ladri potevano essere presi impunemente da qualunque, coll’obbligo però di consegnarli tosto all’autorità. Chi promoveva la fuga d’un ladro od omicida era punito colla stessa pena del colpevole. Chi rubava nel contado per un valore di L. 50, od in città per L. 25, e chi dava ricetto ad un tal ladro, veniva appiccato. L’assassino1 veniva trascinato alla forca a coda di cavallo, indi appiccato.

Erano comminate pene contro i pubblici uffiziali che devastassero le proprietà private in altri casi all’infuori di quelli previsti dalle leggi, e pei cittadini che violassero la tranquillità pubblica; le pene erano relativamente miti, nuovo accenno alle tristi condizioni della pubblica giustizia a que’ tempi. Però chi tentasse qualche cosa contro l’onore e la giurisdizione del comune, avea confiscati i beni; chi incorresse nel bando per ribellione o trattasse coi nemici era punito nel capo. Chi fosse accorso a prender parte ad un tumulto, se era cittadino veniva punito ad arbitrio del podestà, se forastiero avea mozzo un piede. Mutatosi il governo da repubblicano in monarchico, il principe subentrò nelle prerogative del comune, e chi tentasse qualche cosa contro il dominio di quello cadeva sotto pene gravissime e torture, concedendosi perciò alle autorità assoluti poteri e perfino di ommettere ogni procedura: la servilità poi dei riformatori entrava in tutte le particolarità a maggior sostegno della tirannide.

  1. Intendevano gli statuti per assassino colui che per danaro o promessa di danaro uccideva o faceva uccidere alcuno.