Lo sciopero generale, il partito e i sindacati/Sciopero generale ed organizzazione di classe

Sciopero generale ed organizzazione di classe

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Lo sciopero generale come forma di lotta rivoluzionaria Verso la Dittatura del Proletariato
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Sciopero generale

ed organizzazione di classe



I.


Riallacciata a questi fatti, la quistione dell’organizzazione nei suoi rapporti con il problema dello sciopero generale, assume tutto un altro aspetto.

L’atteggiamento assunto su questa quistione da molti capi dei sindacati si riduce ordinariamente ad affermare: «noi non siamo ancora abbastanza forti per arrischiare un esperimento delle nostre forze così ardito come lo sciopero generale». Ora, questo criterio è insostenibile. È impossibile, infatti, stabilire con un calcolo aritmetico in quale momento il proletariato «sarà assai forte» per non importa quale lotta. Trent’anni addietro i sindacati tedeschi contavano 30.000 soci; numero che, evidentemente, secondo quella tale scala di misura, non permetteva di pensare ad uno sciopero generale. Quindici anni più tardi, i sindacati erano otto volte più forti: 237.000 soci. Eppure, se allora si fosse domandato ai capi dei sindacati se l’organizzazione del proletariato fosse ormai matura per uno [p. 41 modifica]sciopero generale, essi avrebbero risposto sicuramente che essa ne era ben lontana e che bisognava anzitutto che si contassero a milioni gli operai organizzati. Oggi i lavoratori organizzati sono quasi due milioni, ma l’opinione dei capi è sempre la stessa: evidentemente, ciò può durare sino all’infinito.

Si suppone tacitamente che soltanto quando tutta la classe operaia della Germania, sino all’ultimo uomo ed all’ultima donna, sarà entrata nell’organizzazione, soltanto allora sarà abbastanza forte per arrischiare un’azione di massa; è d’altronde probabile che allora si scoprirà, secondo la vecchia formula, che tale azione è «superflua».

Ma questa teoria è addirittura utopistica: per la semplice ragione ch’essa soffre di una contraddizione interna e che si aggira in un circolo vizioso. Prima di potersi lanciare in qualche lotta diretta di classe, gli operai dovrebbero essere tutti organizzati. Ma le circostanze, le condizioni dell’evoluzione capitalista e dello Stato borghese fanno sì, che nel corso «normale» delle cose, senza violente lotte di classe certe categorie — e, veramente, le categorie più importanti, le inferiori, le più schiacciate dal capitale e dallo Stato — non possono essere organizzate.

D’altra parte, i sindacati, come tutte le altre organizzazioni di lotta del proletariato, non possono mantenersi e durare altrimenti che nella lotta e per questo non si deve intendere la guerra dei topi e delle ranocchie nelle acque stagnanti del periodo parlamentare borghese, bensì periodi di lotte in massa, violente e rivoluzionarie. La concezione stereotipata, burocratica e meccanica, vuole che la lotta sia solamente un prodotto dell’organizzazione giunta ad un certo livello della sua forza. L’evoluzione dialettica vivente fa, al contrario, nascere l’organizzazione come un prodotto della lotta.

Noi abbiamo già veduto un esempio grandioso di questo fatto in Russia, ove un proletariato quasi per niente organizzato in un anno e mezzo di tempestose lotte rivoluzionarie si è creato una vasta rete d’istituzioni. Un altro esempio ci è dato dalla stessa storia dei Sindacati tedeschi. Nel 1878, il numero degli organizzati era di 50.000. Secondo la teoria degli attuali capi dei sindacati, quella organizzazione era ben lungi dall’essere «abbastanza forte» per intraprendere una violenta lotta politica. Eppure, i Sindacati tedeschi, per quanto deboli fossero: allora, intrapresero la lotta — contro la legge di repressione anti-socialista — e non solamente si mostrarono «abbastanza forti» per uscirne vittoriosi, ma nella lotta moltiplicarono le loro forze: dopo la disfatta della legge, nel 1891, comprende[p. 42 modifica]vano 277.000 soci. Veramente, il metodo col quale hanno vinto allora, non risponde all’ideale di un lavoro incessante e pacifico di api; essi cominciarono col naufragare tutt’insieme nella lotta, per rimontare a galla alla prima ondata. Questo è appunto il metodo specifico di crescenza, che conviene alle organizzazioni di classe: mettersi alla prova nella lotta ed uscirne con una vita nuova.

Esaminando da vicino le condizioni tedesche e la situazione delle diverse categorie operaie, si vede chiaramente che un periodo di tempestose lotte politiche porterebbe ai Sindacati non la minaccia temuta della rovina, ma, al contrario, nuove prospettive inattese di estensione, di rapidi progressi della loro sfera d’influenza.

II.

Ma la quistione ha un altro aspetto, ancora. Il piano d’intraprendere scioperi in massa che abbiano carattere di seria azione politica, com i soli elementi organizzati, è assolutamente illusoria. Se lo sciopero — o meglio, gli scioperi — in massa, se la lotta in massa deve avere un risultato, occorre che diventi un vero movimento popolare, ossia che trascini nella lotta gli strati più profondi del proletariato.

Già nella forma parlamentare, la forza della lotta di classe proletaria non risiede nel piccolo nucleo organizzato, ma sulla vasta periferia che lo circonda del proletariato iniziato al sentimento rivoluzionario. Se il Partito volesse impegnarsi nella lotta con i soli organizzati, si condannerebbe da sè stesso alla nullità. E se il Partito tende naturalmente a fare entrare, per quanto sia possibile, nelle sue organizzazioni tutto il contingente dei suoi elettori, tuttavia l’esperienza dimostra che non il Partito con il suo sviluppo aumenta la sua massa di elettori, ma che, al contrario, gli strati operai ogni volta nuovamente conquistati durante la battaglia elettorale costituiscono il terreno propizio per la seminagione delle organizzazioni. Ossia, non l’organizzazione fornisce truppe per la battaglia, ma la lotta fornisce, in una proporzione ben più grande le reclute per l’organizzazione. Evidentemente, ciò è più vero nell’azione politica diretta della massa, che nella lotta parlamentare. Per quanto il Partito socialista, come nucleo organizzato della classe operaia, sia l’avanguardia direttrice di tutto il popolo lavoratore, per quanto la chiarezza politica, la forza, l’unità del movimento operaio derivino precisamente da questa organizzazione del Partito, mai il movimento di classe del proletariato deve essere concepito [p. 43 modifica]come movimento di una minoranza organizzata. Ogni vera grande lotta di classe deve basarsi sull’appoggio e sulla collaborazione delle masse più estese, ed una strategia della lotta di classe che non contasse su questa collaborazione, ma fosse limitata alle marcie ben eseguite della piccola parte di proletariato iscritto, sarebbe in precedenza condannata ad un pietoso fiasco.

È dunque impossibile che gli scioperi, le lotte politiche di massa, possano essere intraprese dai soli organizzati e che vi si possa contare sopra una «direzione regolare» emanante da un organismo centrale del partito. Ma in questo caso si tratta meno — appunto come in Russia — di «disciplina», di «educazione» e di una previsione accurata dei concorsi e delle spese, che di un’azione di classe veramente rivoluzionaria, risoluta, in grado di guadagnare e di trascinare quelle masse proletarie che pur non essendo organizzate sono rese rivoluzionarie dalle loro condizioni e dalla conseguente disposizione mentale.

L’apprezzamento esagerato o falso del compito dell’organizzazione nella lotta di classe proletaria si completa di solito con il deprezzamento della massa proletaria non organizzata e della sua maturità politica. Ma è invece in periodo rivoluzionario, nella tempesta delle grandi lotte di classe, con la loro agitazione, e soltanto allora, che si manifesta tutta l’azione educatrice che esercitano la rapida evoluzione capitalista e le influenze socialiste sulla classe operaia; azione, di cui le liste delle organizzazioni e le stesse statistiche elettorali non dànno, in tempi normali, che una idea molto debole.

Noi abbiamo veduto come in Russia il più piccolo conflitto parziale tra operai e padroni, la minima brutalità degli organi governativi locali potesse immediatamente suscitare una grande azione generale del proletariato. E ciò che cosa significa? Significa che il sentimento di classe, l’istinto di classe, è talmente vivo nel proletariato russo, che anche una piccola quistione, riguardante un piccolo gruppo di operai, è sentita da esso di primo colpo come una quistione generale, come una quistione di classe. In Germania, in Austria, in Italia, i più violenti conflitti sindacali non provocano alcuna azione generale della classe operaia, neppure di quella parte ch’è organizzata, mentre in Russia la più piccola occasione scatena una bufera. E ciò vuol dire soltanto una cosa: e cioè che adesso l’istinto di classe — per quanto paradossale possa sembrare — nel proletariato russo, giovane, senza educazione, debolmente illuminato e più debolmente organizzato, è infinitamente più forte che nella classe operaia organizzata, educata ed [p. 44 modifica]istruita della Germania o di ogni altro paese dell’Europa. E non si tratta di una virtù speciale, ma di un semplice risultato dell’azione rivoluzionaria immediata delle masse.

Nell’operaio tedesco istruito, la coscienza di classe istillata dalla social-democrazia è una coscienza teorica latente; nel periodo di dominazione del parlamentarismo borghese, essa non può agire, ordinariamente, come azione diretta di massa; essa è la somma ideale delle quattrocento azioni parallele nei collegi durante la lotta elettorale, di numerose lotte economiche parziali, ecc. Nella rivoluzione, quando la massa comparisce sulla scena politica, la coscienza di classe è pratica ed attiva. Perciò, un anno di rivoluzione ha dato al proletariato russo l’«educazione», che trent’anni di lotta parlamentare e sindacale non possono artificiosamente dare al proletariato della Germania.

Certamente, anche in Russia, questo sentimento vivente ed attivo di classe nel proletariato può diminuire sensibilmente una volta chiuso il periodo rivoluzionario ed istituito uno Stato parlamentare borghese, o piuttosto può trasformarsi in un sentimento intimo, latente. Ma, in senso inverso, nella Germania, durante un periodo di energiche azioni politiche, il sentimento rivoluzionario di classe, vivente, capace di agire conquisterà altrettanto sicuramente gli strati più estesi e più profondi del proletariato, e ciò con tanta maggiore rapidità e forza, quanto più intensa sarà stata l’opera educatrice del Partito socialista.

Questa opera educatrice, alla quale si aggiungeranno gli effetti stimolanti e rivoluzionari di tutta la politica tedesca, si manifesterà in questo: la bandiera del Socialismo, in un serio periodo rivoluzionario, troverà di colpo pronti a seguirla tutti quei battaglioni che adesso sono in uno stato di apparente stupidità politica e rimangono insensibili a tutti i tentativi di organizzazione intrapresi dal Partito e dai Sindacati. Sei mesi di periodo rivoluzionario compiranno in queste masse attualmente inorganizzate l’opera di educazione che non hanno potuto terminare dieci anni di riunioni pubbliche e di diffusione di opuscoli. E quando le circostanze saranno giunte in Germania a quel grado di maturità ch’è necessaria ad un periodo rivoluzionario, quelle masse che oggi sono arretrate e senza organizzazione costituiranno naturalmente, nella lotta, l’elemento più radicale, più temibile, e non già un elemento trascinato a rimorchio.

Se avverranno scioperi generali in Germania, non saranno, quasi sicuramente, i lavoratori meglio organizzati — e senza dubbio non i lavoratori del Libro — che mostreranno la più grande capacità di azione, ma gli operai [p. 45 modifica]organizzati peggio o niente: i minatori, i tessili, fors’anche i contadini.

III.

Per ciò che riguarda il còmpito di «direzione» e l’ufficio del Partito rispetto agli scioperi generali in Germania, noi arriviamo alle stesse conclusioni che nell’analisi degli avvenimenti in Russia. Lasciamo da parte lo schema pedantesco di uno sciopero generale di protesta eseguito dalla minoranza organizzata sotto il comando del Partito e dei Sindacati; consideriamo il quadro vivente di un movimento popolare scoppiato con la forza di un fenomeno naturale, il quadro di un’opposizione di classe e di una situazione politica spinta all’estremo ed esplodente in tempestose lotte di massa, tanto politiche quanto economiche, in scioperi generali: la missione del Partito socialista consisterà evidentemente non nella preparazione e nella direzione tecnica dello sciopero, ma anzitutto nella direzione politica dell’intiero movimento.

Il Partito socialista è l’avanguardia più istruita e più cosciente del proletariato. Esso non può e non deve attendere, da fatalista, con le braccia conserte, l’arrivo della «situazione rivoluzionaria», attendere che cada dal cielo il movimento popolare spontaneo. Al contrario, ha il dovere, come sempre, di precorrere l’evoluzione delle cose e di cercare di affrettarla. Ma come può farlo? Non gettando in aria, al momento opportuno o no, d’improvviso, la «parola d’ordine» di uno sciopero generale; ma anzitutto facendo comprendere alla più grande parte del proletariato l’avvicinarsi inevitabile del periodo rivoluzionario, le condizioni sociali che lo producono e le sue conseguenze politiche. Se queste masse proletarie devono essere guadagnate ad un’azione in massa del Socialismo e se, viceversa, il Socialismo deve, in un movimento di massa, prendere e mantenere la direzione reale e guidare tutto il movimento nel suo senso politico, occorre che sappia, con tutta chiarezza, con tutta precisione, dare al proletariato, nel periodo delle lotte, la sua tattica ed il suo fine.