Lirica (Ariosto)/Stanze/Frammento X

Frammento X

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IX

(Furioso, XXXII)

.    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    
Dirò un’altra ragion: poniamo vegna
Lanfusa o un’altra qui che vesta maglia
che di beltá si poca parte tegna,
come d’ardir e di gran forza vaglia,
e che si sia del nostro albergo degna
fatta come io per forza di battaglia,
non credo che volesse che da un volto
quel che le dá virtú le fosse tolto.

X

1
     Se voi, madonna, giá piú di veduto
me non avete, io ben veduto ho voi;
vostro sembiante ho nel cuor sempre avuto,
qual prima il viddi, il viddi sempre poi;
e dirò piú ch’altra non ho potuto
vedere; Amor, tu’l sai, dillo se vói;
e di ch’ogni altro lume in veder questo
bel lume vinco e son cieco de! resto.

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2
     V’ho sí ne’ miei pensier leggiadra e bella
sí viva e vera; ho sí di voi nel cuore
reai costumi, angelica favella,
andar celeste e star degno d’onore,
ch’io vi contemplo e riconosco quella
medesma in me che vi vede altri fuore;
voi veggio, con voi parlo e voi sempre odo;
son con voi sempre e di voi sempre godo.
3
     Dunque, se ’l cuor sempre vi vede e tocca,
che mi può dar di piú l’occhio o la mano?
S’egli parla con voi, che s’han la bocca
o li orecchi a doler ch’io sia lontano?
Voi sète in me, ed io son quella ròcca
de la qual trarvi ogni disegno è vano;
ché la difende Amor la notte e ’l giorno
e con fuoco e con strali entro e d’intorno.
4
     Deh, quanto, aimè! quanto sarei felice,
che piacer saria ’l mio, che gaudio immenso,
se quel che la ragion approva e dice
dicesse ancora ed approvasse il senso!
Ma che s’ha egli a far, se nulla lice
a lui gioir di tanto ben ch’io penso?
Quante cose in disegno, oimè! son belle,
che poste in pruova poi non son piú quelle!.
8
     Che li miei sensi di voi privi sieno
pur patirei se ben non volentieri;
e forse ancor volentieri, se almeno
fussino i gaudi de la mente intieri;
che come gli occhi e ’l bel viso sereno
cosí vedessi ancor vostri pensieri;
sì che fussi sicur che tal fuss’io
nel vostro cuor qual voi sète nel mio.

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6
     Se sculto avesse Amor ne’ pensier miei
vostro pensier, come ci ha il viso sculto,
ancor ch’io creda che lo troverei
palese tal qual io lo stimo occulto;
pur sí sicur da gelosia sarei,
che ad or ad or non vi farebbe insulto,
e dove a pena or è da me respinta,
rimarria morta o rott’almeno e vinta.
7
     Son simile all’avar, ch’ha il cuor sí intento
al suo tesoro e sí ve l’ha sepolto
che non ne può lontan viver contento,
né non sempre temer che gli sia tolto.
Qualor, madonna, io non vi veggio o sento,
sono in mille timor subito involto;
e, benché tutti vani esser li creda,
non posso far di non mi dargli in preda.
8
     Quando il sol men appar, l’ombra è maggiore;
di che nasce talor vana paura;
poi se vibra nel ciel chiaro splendore,
l’ombra decresce e ’l timido assicura.
Io lontano al mio sol vivo in timore;
torna il mio sol, piú quel timor non dura;
l’un sol almen non arde ove non splende;
presso o lunge quest’altro ognor m’incende.
9
     U’ non è il sole ogni fiammella luce,
ché non si vede poi che ’l giorno arriva;
u’ non è il sol che di mia vita è duce,
fiammeggia il van sospetto e in me s’aviva;
ma, quando aggiorna la mia diva luce,
la debil fiamma del splendor è priva.
Deh! che val che ’l mio sol spenga ogni lume,
se in me resta il calor che mi consume?

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10
     Come la notte ogni fiammella è viva,
e riman spenta subito ch’aggiorna;
cosí, quando il mio sol di sé mi priva,
mi leva incontro il rio timor le corna;
ma non si tosto all’orizonte arriva,
che ’l timor fugge e la speranza torna.
Deh! torna a me, deh torna, o caro lume,
e scaccia il rio timor che mi consume!
11
     Se ’l sol si scosta e lascia i giorni brevi,
quanto di bello avea la terra asconde;
fremono i venti e portan ghiacci e nievi,
non canta augel né fior si vede o fronde;
cosí qualor avvien che da me levi,
o mio bel sol, le tue luci gioconde,
mille timori, e tutti iniqui, fanno
un aspro verno in me più volte l’anno.
12
     Deh! torna a me, mio sol; vieni e rimena
la desiata dolce primavera;
sgombra i ghiacci e le nievi, e rasserena
la mente mia sí nubilosa e nera.
Qual Progne si lamenta o Filomena,
ch’a cercar esca ai figliolini it’era,
e trova il nido voto; o qual si lagna
turture c’ha perduto la compagna.

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