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vi - stanze 173

6
     Se sculto avesse Amor ne’ pensier miei
vostro pensier, come ci ha il viso sculto,
ancor ch’io creda che lo troverei
palese tal qual io lo stimo occulto;
pur sí sicur da gelosia sarei,
che ad or ad or non vi farebbe insulto,
e dove a pena or è da me respinta,
rimarria morta o rott’almeno e vinta.
7
     Son simile all’avar, ch’ha il cuor sí intento
al suo tesoro e sí ve l’ha sepolto
che non ne può lontan viver contento,
né non sempre temer che gli sia tolto.
Qualor, madonna, io non vi veggio o sento,
sono in mille timor subito involto;
e, benché tutti vani esser li creda,
non posso far di non mi dargli in preda.
8
     Quando il sol men appar, l’ombra è maggiore;
di che nasce talor vana paura;
poi se vibra nel ciel chiaro splendore,
l’ombra decresce e ’l timido assicura.
Io lontano al mio sol vivo in timore;
torna il mio sol, piú quel timor non dura;
l’un sol almen non arde ove non splende;
presso o lunge quest’altro ognor m’incende.
9
     U’ non è il sole ogni fiammella luce,
ché non si vede poi che ’l giorno arriva;
u’ non è il sol che di mia vita è duce,
fiammeggia il van sospetto e in me s’aviva;
ma, quando aggiorna la mia diva luce,
la debil fiamma del splendor è priva.
Deh! che val che ’l mio sol spenga ogni lume,
se in me resta il calor che mi consume?