Lirica (Ariosto)/Appendice seconda - Liriche apocrife/Stanze/IV. - Perché tanto odio contro di me,...

IV. - Perché tanto odio contro di me,...

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IV. - Perché tanto odio contro di me,...
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IV

Perché tanto odio contro di me, che mi consumo d’amore per voi?

1
     Qual fiero sdegno a sì gran sdegno mossa,
a sì grand’odio v’ha per qual offesa?
Per qual cagion da me sete rimossa,
da la vostra sì bella ed alta impresa?
Com’esser può ch’un sdegno in voi piú possa
del grand’amor ond’eravate accesa?
Cresca pur sdegno in voi odio, ed orgoglio,
tal son, qual sempre fui, tal esser voglio.
2
     È possibil, cor mio, vita mia bella,
c’abbiate per cagion debole e frale
l’amor cangiato in odio, e messo quella
dolce fiama da cui nasce il mio male?
Quello che per voi m’arde e mi flagella,
mi consuma, m’accora e mi fa tale,
ch’io bagnerò di pianto ambe le gote
sino alla morte, e piú, se piú si puote.

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3
     Io mi credea per certo che dovesse
durar sino alla morte l’amor nostro,
per quel che giá voi mi avevate spesse
volte promesso e a piú d’un segno mostro.
Ora m’accorgo senza cause espresse
ch’altrove avete volto il pensier vostro,
volta la fè, qual sempre osservar soglio,
o siami Amor benigno, o m’usi orgoglio.
4
     Posso, ben lasso, ne dir che sia vero
ch’amor di donna poco tempo dura,
che muova facilmente il lor pensiero,
e de la data fè poco hanno cura.
Le mie favole di mostrarvi spero,
per sin che il corpo in vita e l’alma dura,
che non furono mai sií di fè vuote,
o me fortuna in alto o in basso ruote.
5
     Tocca, Amor, col stral d’oro il duro core
col qual toccasti il mio debole e infermo,
che mille volte il dí renasce e more,
e rompa il giaccio duro, acciò piú schermo
non faccin le fiamelle, o sia l’ardore
di tua possanza, come suol, piú fermo;
e fra le grazie, qual io aver soglio,
immobil son di vera fede un scoglio.
6
     Non merta l’amor mio, mia pura fede,
ch’io ho alzato di costei l’inclito nome,
riportar aspro premio, empia mercede,
per cui s’accrescon le dogliose some.
E forte come il pin, s’al vento siede,
che rinovato ha piú di cento chiome,
son stato in mar scoglio che non si scuote,
che d’ogni intorno il vento e il mar percuote.

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7
     Donna crudel, crudel posso ben dirti
se non ti muove il pianto e le parole;
non convien questo a generosi spirti
ch’un cor gentil esser crudel non vuole,
qual premio avrò sol . . . di servirti?
Lasso non fui alla tempesta e al sole
e vacuo di martir, di duolo eterno,
né giá mai per bonaccia, né per verno.
8
     Se mi farai morir, misera, or come
farai, che tal fallir vendetta chiama,
c’ho date all’auree e all’anellate chiome
e alla estrema beltá perpetua fama?
E te amerò fin all’usate some,
Febo gentil, che Dafne onora ed ama.
Né per timor de cieli o dell’Inferno
luoco mutai, né mutarò in eterno.