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liriche apocrife | 313 |
III
Vita penosa d’amore.
Se il fuoco c’ho nel petto fusse fuoco,
l’avrei con l’acqua del mio pianto spento;
se ’l pianto mio fusse acqua, a poco a poco
l’avrei scemato con l’ardor ch’io sento;
ma Amor, che del mio mal prendesi giuoco,
vuol che tra dui contrari io viva in stento.
Fugite, amanti, Amor, poi che può tanto
che cangia l’acqua in fuoco, il fuoco in pianto.
IV
Perché tanto odio contro di me, che mi consumo d’amore per voi?
1
Qual fiero sdegno a sì gran sdegno mossa,
a sì grand’odio v’ha per qual offesa?
Per qual cagion da me sete rimossa,
da la vostra sì bella ed alta impresa?
Com’esser può ch’un sdegno in voi piú possa
del grand’amor ond’eravate accesa?
Cresca pur sdegno in voi odio, ed orgoglio,
tal son, qual sempre fui, tal esser voglio.
2
È possibil, cor mio, vita mia bella,
c’abbiate per cagion debole e frale
l’amor cangiato in odio, e messo quella
dolce fiama da cui nasce il mio male?
Quello che per voi m’arde e mi flagella,
mi consuma, m’accora e mi fa tale,
ch’io bagnerò di pianto ambe le gote
sino alla morte, e piú, se piú si puote.