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il paradiso | 295 |
La bellezza di questo canto è tutta nella prima impressione che riceve Dante alla vista delle anime celesti, che si traduce nella dolcezza e vivacitá dello stile:
O ben creato spirito che a’ rai Di vita eterna la dolcezza senti, Che non gustata non s’intende mai, Grazioso mi fia se mi contenti Del nome tuo e della vostra sorte. |
Ma queste figure monotone si animano all’improvviso quando rivolgono lo sguardo alla terra. Il paradiso si trasforma in una tribuna, dalla quale si ammaestra e si riprende; l’ordine divino diviene come tipo e modello delle cose umane. Innanzi tutto vediamo comparire un sistema generale, che comprende il sistema politico di Dante. È l’impero personificato in Giustiniano ordinatore delle leggi, e giá ricordato nel purgatorio:
Che vai perché ti racconciasse il freno Giustiniano, se la sella è vuota? |
«Il pubblico segno», come Dante lo chiama, è l’aquila di cui Giustiniano fa la storia dal punto che lasciò Troia fino a’ tempi di Dante. La storia è rapida in fino a Giulio Cesare, le cui imprese descrive con particolare compiacenza. Calmo e grave, finché narra fatti passati, si anima ad un tratto e si appassiona quando giunge a’ tempi di Dante, dove l’indignazione l’ironia il disprezzo escon fuori:
E non l’abbatta esto Carlo novello Coi Guelfi suoi; ma tema degli artigli Che a piú alto leon trasser lo vello. Molte fiate giá pianser gli figli Per la colpa del padre; e non si creda Che Dio trasmuti l’armi per suoi gigli. |