Lezioni e racconti per i bambini/I Pesci
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I Pesci.
Bambini, disse la signora Lucia ai suoi tre figliuoletti, il babbo vuole offrirvi un divertimento a vostra scelta per domani, che è domenica. Siete stati buoni durante tutta la settimana, avete fatto con diligenza le vostre lezioni e vi siete meritati dei bei voti sui registri scolastici. È dunque giusto che raccogliate il frutto del lavoro e della buona condotta. Che cosa volete fare domani?
— Andiamo ai burattini! gridò Giorgio, andiamo ai burattini! Sono tanto graziosi!
— Benedetto te e i tuoi burattini! disse l’Ernestina facendo il broncio. Non capisco come ci si possa divertire a vedere dei fantocci di legno, che si muovono tutti d’un pezzo e ripetono sempre le medesime cose! Florindo discorre con Rosaura, Pantalone giunge all’improvviso, con un gran bastone in mano, si empie la scena di soldatini e tutto va a finire in legnate e in urli! Bel gusto!
— Andiamo al Politeama, disse Gigino, c’è la Compagnia equestre e ci divertiremo. Miss Aissa fa la ginnastica sul dorso del cavallo e sfonda venticinque cerchi ricoperti di carte! Andiamo al Politeama, mamma!
— Un biglietto al Politeama costa caruccio, disse la mamma, e quando pensiamo che siamo in cinque, bisogna rinunciare a un divertimento poco adatto alla nostra condizione. Spendere sette o otto lire per due ore di piacere, quando con quei denari si può alleviare la miseria d’una disgraziata famiglia mi pare un peccato....
— O dunque, disse Giorgio, come la passeremo questa benedetta domenica?
— Cercate, bambini.
— L’ho trovata! esclamò l’Ernestina, l’ho trovata! Il babbo le domeniche va a pescare. Perchè non lo preghiamo di condurci con lui?
— Benone! Benone! dissero tutti in coro, eccettuato Gigino, alla pesca! alla pesca!
— Sì! sì! riprese l’Ernestina tutta contenta di vedere adottata la sua proposta. Il babbo pesca sempre, e noi, mai. Anch’io voglio pescare.
— Anch’io! Anch’io! disse Giorgio saltando.
— È un divertimento che non costa nulla, disse l’Ernestina.
— Non solo non costa nulla, rispose la mamma, ma se il babbo ve lo permetterà, e non c’è ragione di dubitarne, noi daremo il prodotto della nostra pesca alla famiglia del povero Cecco muratore; quei disgraziati, a volte, non hanno neanche da sdigiunarsi con un po’ di pane secco.
— Oh sì, mamma, disse Giorgio, ti è venuta una buona idea!
— Io voglio pescare tanti, tanti pesci, esclamò l’Ernestina. Così, se non li potranno mangiar tutti, li venderanno e prenderanno dei soldi!
— Pensate, riprese la mamma, che bisognerà levarsi molto presto: almeno alle quattro! Vi desterete, dormiglioni?
— Oh Dio! disse Gigino, con un muso lungo lungo, se bisogna levarsi avanti giorno, mi pare che non ne valga la pena. Che c’è egli di straordinario a veder pescare? A Livorno non si fa altro!
— Tu hai sempre la smania di buttare all’aria ogni cosa, disse l’Ernestina. Perchè lui viene da casa del nonno, ed è stato a veder pescare finchè gli è parso, pretenderebbe che noi restassimo con l’acqua in bocca! Grazie tante! Una volta per uno non fa male a nessuno, signorino. Eppoi se la mamma sarà contenta, potremo andare a letto, subito dopo desinare. Così non perderemo nulla.
— Sta bene, risposero gli altri, stasera a letto alle ventiquattro e domattina in piedi al levar del sole.
— Ma se il babbo non fosse contento? obiettò Gigino, che pur di mandare a monte la partita, si sarebbe attaccato ai veli di cipolla.
— Il babbo sarà contento, rispose la mamma, guardandolo severamente, ci penso io a parlargliene.
Il babbo, infatti, non trovò nulla da ridire e fu molto contento di poter procurare un piacere ai suoi bambini. E perchè nulla mancasse alla festa, fu deciso che anche la mamma vi prenderebbe parte.
Eccoli dunque tutti, fuori del guscio! Sono un po’ assonnati, hanno gli occhi un po’ gonfi, ma sono vispi e allegri come tante lodolette. Il sole dorava già le cime dei campanili, gli uccellini cantavano, un ventolino fresco e odoroso bisbigliava tra le foglie delle acacie, e i contadini s’incamminavano al mercato con le loro ceste cariche di ciliegie e di fiori. Tutte le porte, tutte le finestre erano sempre chiuse; la nostra lieta famigliuola era certo, per quella mattina almeno, la più sollecita.
E non si misero in cammino a mani vuote: anzi, siccome l’appetito sarebbe venuto a tutti, così tutti portavano qualche cosa; i tre bambini avevano un paniere per uno, dove c’era del pane, del vino, della carne e delle frutte.
Il babbo aveva una specie di borsa a tracolla, nella quale aveva riposto l’occorrente per pescare: e, così diviso, il peso delle provviste non incomodò nessuno.
La mamma sola aveva le mani libere: tanto il babbo che i fanciulli non avevano voluto caricarla neanche di un gingillo: le volevano troppo bene per esporla alla più leggiera fatica. Non avreste fatto lo stesso anche voi, bambini?
Il babbo andava avanti con Giorgio, che portava sulla spalla le reti e le lenze per sè e per i suoi fratellini. In cima a ognuna di queste lenze, pendeva un pezzettino di legno, intaccato alle due estremità, e al quale era avvolto un lungo filo bianco e un sugherino rosso. E siccome la lenza era flessibile, il pezzettino di legno rimbalzava a ogni passo e faceva fare delle grosse risate all’Ernestina che camminava dietro a loro.
La mamma veniva ultima con Gigino, sempre un po’ musone.
Infatti per lui che era stato più di un anno a Livorno, dove ci son tanti pescatori, quel passatempo non doveva riuscire molto attraente.
— Che hai, Gigino? disse la mamma. Perchè codesta cera da mortorio?
— Perchè io non mi diverto punto, rispose Gigino. Non potevano scegliere un’altra cosa? I burattini, per esempio?
— Sai bene che l’Ernestina non li può soffrire. Ci si sarebbe annoiata, e ci saremmo, credilo pure, annoiati tutti.
— Ma mi sarei divertito io, riprese Gigino.
— Pensa, rispose la mamma, che se avessimo fatto a modo tuo, saremmo stati, in quattro, a provare la noia che provi tu solo. Non è meglio contentare i più? E tu, in sostanza, ti saresti potuto divertire in mezzo alla contrarietà di tutti?
Gigino non rispose. Sentiva che la mamma aveva ragioni da vendere.
— Andiamo, figliuolo, fai oggi quel che dovrai fare spesso, quando sarai diventato un uomo: sacrifica i tuoi gusti particolari a quelli della maggioranza e godi del piacere che con la tua condiscendenza puoi procurare agli altri.
Gigino non ebbe bisogno d’altre esortazioni per esser persuaso dei suoi torti. Strinse la mano della mamma e le disse sorridendo: — Sarò buono, buono, buono!
— Ecco il fiume, ecco il fiume! gridarono i ragazzi, e fecero per prender la rincorsa.
— Non qui, bambini, non qui! disse il babbo. Non vedete che questo luogo non è abbastanza quieto e appartato? Quelle lavandaie e quei renaioli che vanno e vengono non possono che fare impaurire i pesci.
— Come, babbo! O che i pesci si accorgono di chi è sulla spiaggia?
— Sicuro, disse Gigino. Anche i pesci hanno gli occhi.
— E degli occhi bonissimi, riprese il babbo. E non solo ci vedono, ma odono ogni rumore: procurate dunque di parlare sottovoce, perchè ci siamo.
Infatti, la comitiva fece sosta. Erano giunti sulla riva, dove molti salici fronzuti formavano come una gran cupola verdeggiante che avrebbe riparato i nostri amici dalle carezze troppo ardenti del sole di luglio.
— Qui staremo benone, disse il babbo. Alla svelta! Ognuno deponga gl’impicci e posi le sue provviste a’ piè di quell’alberone.
— Si deve mangiar subito? chiese Gigino.
— Come subito? ribattè il babbo. Mangiare senza prima aver lavorato? Oggi voi siete degli uomini, e gli uomini prima di mangiare, lavorano.
Dopo tre ore, i panieri che avevano contenuto la refezione dei nostri amici, erano pieni di pesce.
— Io vorrei sapere, disse Gigino, perchè tra tutte queste anguilline e pesciolini d’argento, non c’è neanche una sogliola, una triglia, un gambero o un’acciuga. A Livorno se ne pescavano sempre!
— Tu dimentichi, rispose il babbo, che nell’acqua dolce non vivono i medesimi pesci che sono nell’acqua di mare.
— Babbo, perchè i pesci, quando sono fuori dell’acqua, muoiono?
— Perchè essi non possono respirare l’aria che a traverso l’acqua, mentre noi non possiamo respirare che l’aria pura.
— O che i pesci respirano?
— Ma certo!
— Curiosa! O che hanno i polmoni?
— No: essi sono provvisti di un organo respiratorio, diverso dal nostro: e sono le branchie, specie di pettinini con gran numero di denti molli e fitti, nascosti in fondo alla bocca e fatti, quasi starei per dire, per stracciare l’acqua e separarne l’aria.
— Babbo, perchè i pesci hanno la lisca?
— Giorgio, perchè hai la spina dorsale? La lisca non è altro che lo scheletro del pesce. E i pesci saranno dunque da mettersi tra gli animali vertebrati; essendo appunto stati nominati vertebre gli ossicini dei quali è composta la spina dorsale. I pesci, gli uccelli, gli anfibi, i rettili, e i mammiferi sono le cinque classi in cui vengono ripartiti gli animali vertebrati.
— È vero, babbo, che i pesci sono stupidi? chiese l’Ernestina.
— Io non li credo meritevoli di questo brutto epiteto, rispose il babbo: perchè numerose esperienze c’insegnano che un certo intendimento lo hanno anche loro: ma è un fatto che fra gli animali, i pesci non sono i più accorti. La loro pelle coperta di scaglie è insensibile: il loro sangue è freddo e circola lentamente intorno a un cuore imperfetto; la loro testa è così compressa, che ci è appena posto per un cervelluccio molto piccino. I pesci non hanno gioie, non hanno amicizie, nè vincoli di società o di famiglia; è perciò un’ingiustizia il chiedere a questi poveri animali più di quello che il loro organismo può darci.
Ma questi pesciolini che serviranno alla cena del povero Cecco, non possono darvi un’idea dei mostri giganteschi che popolano l’Oceano: Avete però veduto disegnato più volte il terribile pesce cane, la balena, qualche polipo e altri e altri ancora.
Tutti i pesci si riproducono per mezzo delle uova: ma tra i pesci non dovete contar la balena, la quale, quantunque viva nei mari, appartiene ad un altro ordine di animali, detti cetacei e si riproduce come gli altri mammiferi.
Così ebbe fine la partita di pesca. La nostra comitiva se ne tornò a casa di bonissimo umore, lieta per la bella mattinata trascorsa, ma più ancora pel dono caritatevole offerto al povero Cecco.