Lezioni di eloquenza/Lezione II/Secolo XVIII

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Lezione II - Secolo XVI
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SECOLO XVIII.


La Francia aveva cominciato a fondere la sua lingua. Vennero i Francesi in Italia, e disseminarono termini loro propri. Allora gli scrittori si provavano di conciliare lo stile di [p. 134 modifica]Machiavelli con quello del vocabolario Francese. Algarotti per primo imparò lo stile de’ Gesuiti pieno di maniere Francesi, come possiamo vedere nel suo saggio sulla lingua italiana. I Gesuiti poi non volendo imbastardire la lingua, e amando ad un tempo lo spirito di novità, la ornarono di mille inutili fioretti. Roberti ne porge esempio ne’ suoi scritti, e particolarmente nella sua lettera sul canto de’ pesci. Il professore Zola soleva chiamare Roberti un lumacone inargentato, che, dappertutto dove passa, lascia un argento falso. Parole tronche e caricate di ornamenti soverchi, e quel torno leccato di periodi, sono i suoi difetti principali.

Conosciuta la vanità de’ superflui ornamenti, si lasciarono, ritenendosi però ancora il vizio di troncare le parole; il che è assoluto errore, massime ne’ plurali. In fatti se ben si osservi la nostra lingua letteraria nella maggior parte, non vuolsi che troncare per assomigliarla e confonderla col dialetto plebeo.

Finalmente Cesarotti è comparso in una età, in cui questo barbarismo si detestava; ma per singolarizzarsi, e per sciogliersi dalla schiavitù dei cruscanti, si diede a favorire la lingua francese. In fatti se noi ci proviamo di tradurre, a cagion d’esempio, la sua storia d’Omero nella [p. 135 modifica]lingua francese, non duriamo fatica a darle quella sintassi propria del parlare gallico, perchè già in se la contiene; nè avremo bisogno di cercare nel vocabolario le analoghe parole, bastando, direi quasi, di scrivere quell’italiano colle desinenze francesi per farne una buona traduzione.

Dietro il Cesarotti sono venuti i toscanelli, che scrivono tutti male. Se non che l’Alfieri con quel suo genio libero, non ammaestrato nelle scuole de’ Gesuiti, ha scritto in vera lingua italiana, richiamando il gusto di Dante e di Machiavelli. Dunque presentemente la lingua nostra si trova più generalmente insegnata in tre scuole tutte cattive. La prima è quella del Boccaccio, e suoi satelliti, Della Casa, Bembo ecc. La seconda è la Gesuitica, a capo della quale stanno Roberti e Bettinelli. La terza scuola è la Cesarottiana, o francese.

Bisogna di conseguenza studiare que’ pochi I. Che hanno scritto con lingua esatta e di pronuncia intera. II. Quelli che mantennero nella lingua italiana la più giusta analogia che può avere colla latina: III. Che finalmente conservarono quella sintassi che più esige la eleganza congiunta alla naturale chiarezza dell’ [p. 136 modifica]espressione, come abbiamo già osservato in quel verso di Dante;


Ambo le mani per dolor mi morsi*1.



Note

  1. * Alle tre sovra indicate scuole una quarta ora puossene aggiugnere a nostro avviso (sarà questa, quella del secolo XIX) di cui sono corifei Gaspere Gozzi e il prelodato Alfieri, quella cioè che ha arrestato il torrente del Gallicismo, e che si onora degli illustri nomi di Pietro Giordani, di Vincenzo Monti, di Giulio Perticavi, di Luigi Lamberti, di Dionigi Strocchi, di Paolo Costa, di Giovanni Marchetti, di Michele Colombo, di Antonio Cesari, di Pietro Lombardi, dello stesso Ugo Foscolo, di Giovanni Batista Niccolini, di G. di Montrone, di Pellegrino Farini ed altri che scrissero con purgatissimo stile, e più o meno si adoperarono e tuttavia si adoperano all’emendazione de’ buoni studi italiani, della quale aveva il secol nostro sommo bisogno, onde restituire alla già sconcia letteratura un ingenuo aspetto ed una veste veramente italiana, spogliandola del falso e del vano con che i corruttori pretendeano nell’età scorsa di abbellirla e magnificarla.