Lettere (Sarpi)/Vol. II/246

CCXLVI. — A Giacomo Gillot

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CCXLVI. — A Giacomo Gillot
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CCXLVI. — A Giacomo Gillot.1


Ricevei i gratissimi regali della S.V., che mi recano infinito obbligo di ringraziamenti; le sue Opere voglio dire, che sarebbe stato una colpa tener nascoste.

Dopo premure e travagli grandissimi, ho trovato le bolle manoscritte dei Gesuiti; poichè le stampate guardano gelosamente, concedendo gli esemplari di esse solo ai più fidati, e non senza chiederne conto. Non m’era avvenuto mai di vedere gli Atti dei [p. 413 modifica]Concilii di Pisa, che sarebbe di vantaggio della Chiesa il meditare e divulgare. Il principio, infatti, che il papa non può esser giudicato da alcuno, è scaturigine e fonte di tutti i mali. Mai però non consentiranno che in Italia si vedano quegli Atti; e se potessero ardere quelli di Costanza e Basilea, se ne ingegnerebbero; e lo tenteranno finalmente, e al più presto.

Ho letto con piacere l’Apoteosi di Giulio; e mi maraviglio come fosse a quel tempo chi tanto sapesse. L’autore arieggia Erasmo,2 od uno più savio di lui. Io non posso non ammirarlo, amarlo e venerarlo; chè questa politica dissertazione è lavoro perfetto, e svela la dottrina dell’autore, la prudenza e il giudizio, che è l’anima della sapienza. Oh, chiunque sia, ch’egli viva a lungo, e produca a pubblica utilità frutti d’ingegno e di scienza!

Dalle lettere del Barclay ho rilevato la sua pietà; ed è lavoro pieno d’eleganza. Oh! come bellamente toccò nella prefazione quanto ci sorpassino gli avversari, e come noi siamo da meno di loro. Sul resto, Ella ben sa com’io la pensi. Noi pigliamo sempre a far guerre difensive, e a dispetto anche di quelli che soprattutto importerebbe ci sostenessero. Stupisco come il cancelliere non facesse le voglie del Nunzio, quando tutto va costì a’ versi dei Gesuiti; i quali non mi paiono più tanto potenti, dacchè [p. 414 modifica]sono costretti dal timore a ritrattare quel che scrissero sul padre di Barclay. E pur non valgo a capire la bramosia del figlio a voler casse quelle parole. Forsechè non tornavano a onore del padre? Io prima del Barclay scrissi, che sebbene quasi tutti i principi avessero concesso esenzioni ai cherici, mai però non si potrebbe trovare ch’essi fossero per alcuno liberati, o dimostrare che fosse lor lecito liberarsi dalla suprema e principal potestà. La qual cosa non imparai da alcuno, ma misi fuora come frutto delle mie sole osservazioni, senza pur sapere ch’altri l’avesse detta. Non credei, peraltro, di poter essere tacciato di novità; quando e la novella asserzione è corroborata dalle antiche leggi e dai decreti de’ principi; e la contraria opinione, comunque vecchia, fa ai cozzi con quelle. Non so però intendere perchè il Barclay aggiunga, non aver io a dovere avvertito coloro a cui premeva di saper questo. Ma torno all’argomento.

Vedo che i Gesuiti vi assalgono non solo insidiosamente, ma anche con aperta forza. Ho inteso con grandissimo dispiacere il procedimento che si è tenuto verso il signor Richer; ma penso ch’egli non debba perciò perdersi d’animo; in quanto che, sebbene sia stato oppresso in guise nuove e inaudite dal partito nemico al vero, i suoi nemici avranno perpetua infamia dalla vittoria, e l’aver dovuto soccombere procaccerà ad esso l’affetto di tutti i buoni. I consigli non si misurano secondo i successi, ma secondo le ragioni; e quand’egli diè fuori il suo opuscolo e confessò d’esserne autore, fece cosa che pareva conducente alla pubblica utilità. Se il fatto non ha risposto a’ desiderii, ciò avvenne forse per [p. 415 modifica]provvidenza divina, affinchè egli, colpito da un privato infortunio, sostenesse con più calore la comune causa. Il che voglia il Cielo che sia.

I documenti comprovanti la regia autorità sui pontefici, che la S.V. ha raccolti, riusciranno sopra ogni altro un lavoro profittevole a tutto il mondo, procedendosi a questi tempi più per esempi che per argomentazione. È forza sudar molto in questa materia, ed altre di tal natura. Poichè il richiamare gli abusi a’ loro principii, vale lo stesso che confutarli.

Non so poi s’io debba rammaricarmi o sentire allegrezza per aver voi ricettato la Congregazione dell’Oratorio. Anche le piccole contagioni non sono da spregiare. Di qui vennero i Baronii, i Bozy e gli altri, che non riconoscono altro Dio all’infuori del papa. Non sono però amici dei Gesuiti, ma piuttosto rivali.3 Pur finalmente inchino a crede di doverne far festa. I morbi non vengono in declinazione se prima non toccarono il colmo.

Mi congratulo con la V.S., per il bene dell’universale, che metta l’ultima mano alla raccolta degli Atti del Senato. Ho in animo di communicarle assai cose in proposito; ma conto poterlo fare nel seguente anno, in cui speriamo d’accogliere nel Regno l’egregio legato4 del nostro Principe. Qui nulla di nuovo, tranne le giornaliere trame de’ Gesuiti e loro compagni curialeschi. Ma non sono faccende da consegnarsi a lettere: ad essi è permesso dir tutto; [p. 416 modifica]a noi giova sopra ogni cosa il silenzio. Ma questo ancora ci farà pro, e mi meraviglio come fino a qui i loro sforzi sieno andati vuoti d’effetto. Ma quegli è sicuro cui Dio protegge. E io lo prego continuamente perchè doni felice esito a tutti i disegni della S.V. illustrissima, e le comunichi tutte le ricchezze della sua grazia, insieme colla buona salute; e porga a me una volta occasione d’allegrezza nel dimostrarle, comecchessia, la mia servitù. E le bacio le mani.




Note

  1. Stampata tra le Opere ec., pag. 20. Nel suo testo latino va priva della data; ma tutto conduce a crederla di tempo non molto lontano dalla precedente.
  2. Si sa che Erasmo, allora giovane e allevato nella severità religiosa, trovandosi nel 1500 in Bologna e vedendovi passare papa Giulio II col profano contegno d’un condottiero d’eserciti, ne fu altamente scandalezzato, e di questo suo sentimento lasciò memoria in taluna tra le sue scritture che sono tra le più satiriche contro gli abusi della religione in quel secolo. Vedasi il recente opuscolo di C. Cantù, intitolato: Erasmo e la Riforma in Italia.
  3. Così era in quei giorni, e più non è, disgraziatamente (anche per l’ingenua fede), ai dì nostri. Un gran senso, e terribile a meditarsi, è pure nelle parole con che il Sarpi conchiude questo memorabile paragrafo.
  4. Il sempre decantato e sperato ambasciatore Barbarigo.