Lettere (Sarpi)/Vol. II/191

CXCI. — A Giacomo Leschassier

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CXCI. — A Giacomo Leschassier
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CXCI. — A Giacomo Leschassier.1


Come sopportai di molto mal animo l’interruzione avvenuta nella nostra comspondenza, così con mio sommo contento vidi la lettera di Lei scritta il dì 6 di ottobre. Cresciute sono, pur troppo, Signor mio eccellentissimo, le forze e il coraggio dei nostri nemici; talchè ci è forza retrocedere con maggior cautela, e spesso con dissimulazione; non già di quella de’ Gesuiti, ch’è pura e pretta menzogna, ma sì dell’altra che consiste nella riservatezza e nel silenzio. Spero che a cotesto nostro [p. 258 modifica]ambasciatore si dia ben tosto un successore, e forse la sorte cadrà sopra un ottimo personaggio, la cui mercè potremo scriverci con piena sicurezza. Frattanto, siccom’io ricevo di quando in quando lettere dal signor De l’Isle, così le avrò più gradite quando mi vengano in compagnia delle sue: mi duole tuttavolta che se queste dovranno prima esser mandate ad Orléans, affinchè qua tornino, e le mie far dovranno altrettanto cammino, noi avremo le vivande a cena già compita. Finchè tuttavia non ci sarà concesso di conseguire ciò che vogliamo, sarà opera di saggezza il voler ciò che possiamo.

Sono di recente accadute in Roma due morti assai memorabili. La prima, di Guglielmo Rebaudi, che dopo avere abiurata la religione riformata, visse colà in questi ultimi anni. Costui servì la Curia a dritto ed a torto, nel bene come nel male; e siccom’era valentissimo nel detrarre all’altrui fama, così scrisse più cose contro i riformati e in favore dei romaneschi. Tra le altre compose un opuscolo contro il re della Gran Bretagna, intitolandolo: Il Re e la Legge d’Inghilterra debellati; nè io mi ricordo di aver mai veduto nulla di più petulante di codesto opuscolo. Alla fine, per essersi scoperta una certa pasquinata contro un uomo di prima sfera e regio ministro di Francia, a istanza dell’ambasciatore del re, fu gettato in carcere; e ricercati e presi tutti i suoi scritti, se ne trovò tra gli altri uno contro il pontefice, fatto non col proposito di divulgarlo, ma per isfogo di male affetto ingegno: e per tal cagione, il misero venne decapitato.2 [p. 259 modifica]L’altra morte è quella dell’abbate Du Bois; il quale com’è a Lei noto, avendo predicato dopo la morte del re contro i Gesuiti, lasciatosi poi corrompere dai lor doni, erasi riparato sotto le loro tende. Per qual cagione e da chi questo sciagurato fosse già mandato a Firenze, credo che le sia noto. Vennegli poscia il capriccio di andare a Roma, nè volle farlo senza munirsi di un salvocondotto; lo chiese, di fatto, e fermossi in Siena finchè lo avesse ricevuto. Con questo, dunque, sottoscritto di mano del pontefice, entrò in Roma il dì 9 di novembre; ma il dì 10 fu gettato in carcere, e il 24 fu pubblicamente impiccato in Campo di Fiore. Il perchè la pubblica fede del pontefice non gli abbia giovato, si pretende essere la legge stessa della Inquisizione, dalla quale nessuno può esimersi per qualsivoglia autorità; e siccome costui non è il primo che venga ingannato dalla fede romana, così non sarà nè anche l’ultimo.

Voglio svelare all’amico un segreto. I Gesuiti, accortissimi, prevedono fin d’ora quai danni seguir possano alla loro società, accadendo la morte del loro generale. È a tutti noto quali conseguenze seco porti il cambiamento di chi governa in un regime affatto monarchico e nuovo; e per ciò stanno deliberando sul destinare un successore al generale [p. 260 modifica]vivente, il qual successore si rimanga in condizione di privato, ma pure in guisa che il morto metta subito in possesso il vivo, come un padre fa del figliuolo. Guardi mo’ se costoro prevedono e sanno provvedere a ogni cosa!

Non voglio trattenerla più a lungo con queste mie ciancie. Mi congratulo sommamente ch’Ella sia stata sempre bene, sempre sana, e prego Iddio che ciò segua anche per l’avvenire; e che la S.V. continui ad amare chi tanto, com’io fo, l’onora e riverisce. D’ora innanzi le manderò lettere scritte di questo carattere, che a V.S. saranno a leggersi più facili, e a me più sicure a mandarsi.3 Stia sana.

Di Venezia, il 6 dicembre 1611.




Note

  1. Edita in latino, fra le Opere dell’Autore ec., tom. VI, pag. 97.
  2. Di questo miserabile, più degno di spregio che di mannaja, non poteronsi trovar notizie oltre a quelle che si leggono in queste Lettere. Ma dopo tali racconti (e s’abbia a mente quello del Borghese, che pare si millantasse d’esser parente un po’ troppo stretto del papa), come potrà più difendersi la decantata clemenza dell’Inquisizione romana? come non confermarsi più sempre che l’orgoglio sopra ogni cosa rende ferini i cuori degli uomini, e ancora (non vogliamo dir maggiormente) quelli dei preti?
  3. Questo può spiegare eziandio come il Sarpi nelle sue Lettere parli talvolta di sè come di terza persona.