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lettere di fra paolo sarpi. | 259 |
tra morte è quella dell’abbate Du Bois; il quale com’è a Lei noto, avendo predicato dopo la morte del re contro i Gesuiti, lasciatosi poi corrompere dai lor doni, erasi riparato sotto le loro tende. Per qual cagione e da chi questo sciagurato fosse già mandato a Firenze, credo che le sia noto. Vennegli poscia il capriccio di andare a Roma, nè volle farlo senza munirsi di un salvocondotto; lo chiese, di fatto, e fermossi in Siena finchè lo avesse ricevuto. Con questo, dunque, sottoscritto di mano del pontefice, entrò in Roma il dì 9 di novembre; ma il dì 10 fu gettato in carcere, e il 24 fu pubblicamente impiccato in Campo di Fiore. Il perchè la pubblica fede del pontefice non gli abbia giovato, si pretende essere la legge stessa della Inquisizione, dalla quale nessuno può esimersi per qualsivoglia autorità; e siccome costui non è il primo che venga ingannato dalla fede romana, così non sarà nè anche l’ultimo.
Voglio svelare all’amico un segreto. I Gesuiti, accortissimi, prevedono fin d’ora quai danni seguir possano alla loro società, accadendo la morte del loro generale. È a tutti noto quali conseguenze seco porti il cambiamento di chi governa in un regime affatto monarchico e nuovo; e per ciò stanno deliberando sul destinare un successore al generale
mannaja, non poteronsi trovar notizie oltre a quelle che si leggono in queste Lettere. Ma dopo tali racconti (e s’abbia a mente quello del Borghese, che pare si millantasse d’esser parente un po’ troppo stretto del papa), come potrà più difendersi la decantata clemenza dell’Inquisizione romana? come non confermarsi più sempre che l’orgoglio sopra ogni cosa rende ferini i cuori degli uomini, e ancora (non vogliamo dir maggiormente) quelli dei preti?