Lettere (Sarpi)/Vol. II/188
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CLXXXVIII. — Al signor De l’Isle Groslot.1
L’ultima mia fu del 25 ottobre, e per questo spaccio ho ricevuto le due congiunte di V.S. del 1 e del 23 ottobre. Il signor Barbarigo mi scrive di aver ricevuto la censura della Sorbona, e il libro di Servino per inviarmeli; ma volendoli prima leggere, me li manderà per il seguente dispaccio, di modo che fra quattro giorni li avrò: e ne ringrazio V.S., essendo cose che molto desideravo vedere.
Io sento con dispiacere la differenza avvenuta nell’Assemblea, ma più mi penetra il timore che le cose non passino più innanzi, perchè li scoperti traditori non torneranno mai buoni, e la contagione potrà infettar degli altri. Poca speranza vi è che possino esser ridotti, perchè la sanità non è contagiosa, ma il morbo solo. Nondimeno dobbiamo credere che Dio non avrebbe permesso questo male, se non per farlo terminare in bene.
Si trova in questa città Giacomo Badoero, venuto per andar a Roma, per quello che io credo, assai incottonato:2 averà però bisogno di esser savio, acciò non li avvenga l’incontro occorso a Reboul.
L’occorenza di Sassello è stata tale, che poteva svegliar eziandio sordi, ma letargici no. In somma, qui tutti sono uniti a mantener l’ozio, salvo che il duca di Savoia; ma ho gran dubbio ch’egli non l’intenda bene. Li Spagnuoli lo hanno messo in diffidenza con li figliuoli. Adesso ha posto guardia al primo (e questo è certo), altri dicono acciò non fugga, altri acciò non si faccia cappuccino.3
La cosa successa in Palermo è stata tollerata. Di quella del vicario Padovano si è parimente taciuto; ma fatto fare ufficio al duca di Modena, al quale non è data soddisfazione.
Di Castelvetro altro non s’è detto, se non ripreso il Nunzio perchè non abbia protestato. Il papa è risoluto di vivere allegramente, e attendere a fare quiete al presente. Il duca di Savoia ha fatto intendere alli Cappuccini, che nel suo Stato non vuole di loro, se non sudditi naturali suoi. La cosa dispiace, ma si sopporterà. Trattano li Spagnuoli di fortificar Cisterna, ch’è un luogo confine tra il ducato di Milano e il Piemonte; e quello che importa, ch’è feudo del vescovato di Pavia,4 onde dispiacerà e al duca e al papa. Questo lo sopporterà, e quello non può resistere.
Abbiamo la morte della regina di Spagna,5 e avviso che la vita del duca di Lerma sia in pericolo; del quale se la morte succedesse, saria senza nessun dubbio con gran mutazione dello stato presente, non però con pericolo di guerra, ma d’un genere di negozio in un altro.
La nostra cifra sì come è tanto sicura, ch’è impossibile levarla, così ha questo difetto, che un minimo fallo di chi la scrive la rende inintelligibile, e anco chi la interpreta ha bisogno di star molto diligente.
Quanto al successore di Barbarigo, egli non è per andar a Torino se non dopo pasqua; onde fino a questo mentre potremo pensar diverse cose: e chi sa che forse adesso a Barbarigo non toccasse Francia? Saranno tre, de’ quali egli è uno; l’altro è amico mio; del terzo non avrei confidenza; i quali hanno d’andar in Francia, Spagna e Inghilterra. Ma la ventura sarà se de’ duoi me ne toccherà uno, e il terzo vada in luogo simile a sè. Ma tornando al futuro, di Savoia non li mancherà persona che li scriva, come per mestiere, le occorrenze; ma questi non le sanno giudicare. Il suo desiderio sarebbe di persona prudente, che quando vi è cosa degna e non volgare, li somministrasse quel giudicio che il presente può far più che l’assente. Ma di questo nel tempo intermedio averemo occasione di trattare. Io non l’ho veduto ancora questi due giorni, per fargli relazione di quello che V.S. mi scrive in questo particolare, e so li sarà gratissimo.
Io non credo di dover dir altro a V.S., se non che il gentiluomo polacco che fu qui, e mi vidde per parte di monsieur Duplessis,6 avendomi portato sue lettere, alle quali anco risposi per mezzo di V.S., mi disse bene che monsieur Duplessis mi mandava il libro, ma non sapeva per che via. Io non ne ho nuova ancora; ma ne ho ben veduto un altro, e lodo sopra modo l’arte e la fatica la quale, senza dubbio, o da lui o da qualche altro sarà aumentata, perchè la materia è tanta, che ha bisogno di maggior estensione. E di qui lo giudico, perchè a me conviene starci molto attento, con tutto che possedo questa materia, sopraffacendosi le cose l’una l’altra, essendo (come diciamo noi in termine marinaresco) stivate7 molto; onde le persone di mediocre o poca intelligenza difficilmente potranno farne loro profitto. Non ho voluto mancare di dirle questo mio giudicio, perchè del rimanente, quanto alla verità delle cose e quanto al giudicio dell’autore in scriverle e applicarle, non vi si può aggiungere niente.
Le dirò questo per fine. Senza nessun dubbio, Badoero va a Roma a fare qualche male ad instanza de’ Gesuiti. E qui, per non abusar più la pazienza di V.S. in leggere le mie impertinenze, farò fine baciandole la mano, e pregandola, se gli occorrerà scrivere a monsieur Duplessis, farli per mio nome riverenza, dicendogli che di quello che gli scrissi, non gli dirò più altro fin che da lui non ho risposta. La salutano il signor Molino e il padre Fulgenzio.
- Di Venezia, li 8 novembre 1611.
Note
- ↑ Edita come sopra, pag. 411.
- ↑ Cioè imbevuto delle opinioni e massime insinuate dal gesuita Cotton. Vedasi al fine di questa stessa Lettera.
- ↑ Può darsi che la diversa natura di Vittorio Amedeo da quella di Carlo suo padre, gli destasse talvolta il pensiero di ritirarsi dai pubblici affari: contuttociò, il proposito che qui si accenna, ha sembianza di cicaleggio volgare.
- ↑ Nella Lettera CLXXXVI lo avea detto feudo del vescovo d’Asti.
- ↑ Margherita d’Austria, figlia dell’arciduca di Gratz. Codest’albero asburghese copriva allora (com’è noto) co’ suoi rami la faccia della terra.
- ↑ Vedi al principio della Lettera CLXXXI.
- ↑ Gli editori oltremontani avevano qui fatto sticciate; ma il termine marinaresco veneto, ed anche italiano, che qui vuolsi per similitudine usato, è stivare.