Lettere (Sarpi)/Vol. II/166

CLXVI. — Al nominato Rossi

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CLXVI. — Al nominato Rossi
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CLXVI. — Al nominato Rossi.1


Per mano del signor segretario Anselmi ho ricevuto quella di V.S. delli 23 novembre, con le allegate stampe e scritture. Il Tocsin2 è una bella composizione, ma un poco troppo poetica. Non credo che farebbe quel frutto qui presso noi che han fatto l’Anti- Cottone e le due rimostranze, una per nome dell’Università e l’altra diretta al Parlamento; le [p. 181 modifica]quali, essendo state portate qui in italiano, sono state lette con avidità, gusto e frutto.

La copia del processo fatto a Ravagliac ha bene alcuni punti molto considerabili, e dovrebbe istruire chi governa cotesto regno, quanto importi che non vadano attorno false dottrine; chè Ravagliac non sarebbe venuto a quella parricidiale risoluzione, se non avesse creduto (come ho detto) che il papa fosse Dio. Tengo che questa copia di processo sia vera, ma con qualche opinione che vi sia qualche cosa di più, che non sia pubblicata perchè non fosse conveniente. Ma benchè sia saputa da quelli a chi appartiene, mi pare ancora che la somma sapienza de’ Gesuiti alcune volte venga meno; poichè, prendendo facoltà di poter insegnare in codesta città, non è stato opportuno col libro del Bellarmino pubblicare che sorte di dottrine insegnerebbono; e mi pare che si dovevano ben contentare col buon mercato fatto loro nella causa di Mariana, senz’aggiugnerne una nuova.3 [p. 182 modifica]

Qui è sparsa fama (la quale ha origine dal signor ambasciatore Sciampignì) che sia pronunziato arresto del Parlamento contro il libro creduto di quel cardinale; di che io sto con desiderio aspettandone la confermazione con lettere del corriero, il quale a quest’ora non è ancora giunto. Se l’avviso sarà vero, il signor presidente d’Harlay avrà con le sue ultime azioni corrisposto a tutte le passate, e mostrato l’istesso valore nella vecchiezza che nella virilità. Io desidero che al presidente di Thou succeda il disegno, sebbene in quel particolare favorisca i Gesuiti, sperando che non farà l’istesso negli altri che si trattano. Faranno questo di bene, che la nobiltà (massime i grandi) saranno tutti uniti, nè vi potrà nascere pericolo di novità. Mentre che le città [p. 183 modifica]si ricorderanno l’incomodo della guerra ed i comodi della pace, staranno salde.

La conservazione di Sully mi piace sommamente,4 per gli avvisi che possono ricevere i riformati, e per qualche contrappeso che potrà fare a Villeroi. Se alle altre contrarietà che hanno i Gesuiti s’aggiunge anco l’istanza de’ riformati acciò siano scacciati, sarà facil cosa che si veda il fine dell’impresa. Senza dubbio, nelle cose che passeranno, bisognerà che gli Ugonotti sieno rispettati, ed essi faranno bene a non perdonare e a domandare; massime che tutto quello che sarà in lor favore, sarà in servizio di Dio ed utilità del re.

Se quelli della società pel Canadà fossero informati del travaglio che i padri Gesuiti dànno ai Portoghesi nell’Indie Orientali, non li riceverebbono mai in compagnia. Ho veduto con gusto i capitoli: così prego Dio favorisca quella società, se sarà senza Gesuiti.

Per venire alle cose nostre, Italia è piena di allegrezza per la concordia col re di Spagna, essendosi già fermata ogni provvisione di guerra, e dovendosi fra pochi giorni disarmare una parte e l’altra: il che piaccia a Dio che sia a sua gloria. Ma di Germania non abbiamo nuove di quiete, perchè l’imperatore, pieno di sospetto, non vuol disarmare le sue genti. Il duca di Sassonia ha avuto promesse da’ suoi [p. 184 modifica]sudditi di un milione di fiorini, e consulta con quelli del suo sangue quello che debba fare. La differenza tra i palatini per l’amministrazione dell’elettorato, sebbene non pare che voglia partorir guerra, almeno impedirà concordia. Già Neumburgo ha mandato in istampa un giusto volume delle sue ragioni: per il che si può dubitare che la lega di Halla possa svanire, essendo senza capo e con membra divise. Il papa ha pagati ventiquattromila fiorini alla lega cattolica, e sta con disposizione che disarmino, così pel desiderio che ha di pace, affinchè qualche scintilla di quell’incendio non saltasse in Italia, come anco per timore di non essere importunato per contribuir maggior somma.

Scrissi a V.S., per lo spaccio passato, la morte repentina successa in Roma del già arcidiacono di Venezia. Allo scritto aggiungo, che quel giorno, delli 25, fu invitato a desinare da Marcantonio Tani, cameriere intimo del pontefice, col quale anco desinò molto allegramente; e la notte seguente, successe la sua morte in poche ore, avendo egli evacuato circa quaranta volte l’umore, il sangue e l’anima.

Io credo che all’arrivo di questa il signor ambasciador Foscarini sarà sulla partita; onde sarà necessario di trovare qualche via di continuare la nostra comunicazione. Io me n’ingegnerò: non so se mi riuscirà il desiderio ec. Prego Dio Nostro Signore che le doni ogni prosperità, e le bacio le mani.

Di Venezia, il 21 dicembre 1610.




Note

  1. Edita in Capolago ec., pag. 238.
  2. Così crediamo di dover leggere, benchè la prima stampa abbia: “Torsin.„
  3. “Lo scopo principale di questo libro si è di dare ai sudditi il permesso di ammazzare i re... Esso fu stampato alcuni mesi prima che avvenisse il parricidio di Enrico IV, e i nemici del bene e della quiete della Francia l’hanno fatto introdurre in questo Stato in un momento che, a cagione della reggenza, credevano infiacchite le sue forze.„ (Discorso del primo presidente del Parlamento alla regina reggente.)
         Il libro del Bellarmino fu, per ordine del Parlamento, effettivamente bruciato per mano del carnefice.
         Lo stesso destino ebbe quello di Giovanni Mariana, gesuita spagnuolo, intitolato: De Rege et Regis institutione, stampato a Magonza nel 1605; del quale ecco l’opinione su Iacopo Clemente, assassino di Enrico III:
         “Iacopo Clemente, domenicano, nato a Sorbona, piccolo villaggio degli Edui (l’Autunnese), studiava teologia in un collegio del suo ordine; ed essendo stato instrutto dai teologi (gesuiti) ai quali si era diretto, che si può legittimamente ammazzare un tiranno;... con un pugnale avvelenato, che teneva nella mano nascosto, ferì profondamente Enrico III nel basso ventre. Oh insigne confidenza del proprio coraggio! oh azione memorabile! I cortigiani, dal caso insolito commossi, lo assalgono, l’abbattono a terra, e saziano la loro crudeltà e sevizia, opprimendolo di ferite; le quali egli sopportò senza dir parola, anzi con gioia, siccome appariva dal suo volto, perchè sfuggiva ad altri tormenti i quali sicuramente aveva preveduti; lieto solo in questo, anche tra le battiture e le ferite, che col suo sangue aveva redento a libertà, la patria comune. L’assassinio del re gli procurò un gran nome.„ (Lib. I, cap. 6, pag. 53.)
         Il capitolo 7 del medesimo libro incomicia cosi: “È davvero misera la vita di quelli la condizione de’ quali è, che chi gli uccide sale in altissima grazia e riputazione de’ posteri. E in fatti, non è picciola gloria quella di esterminare dalla comunità degli uomini questa genía pestifera ed esiziale ec.„ (intende i principi, ch’egli chiama sempre tiranni.) — Ora si dica se Fra Paolo non aveva ragione di detestare una società che faceva pompa di così inique massime. La rivoluzione di Francia fu niente altro che l’effetto della dottrina de’ Gesuiti. — (Bianchi Giovini.)
  4. Il duca di Sully (Vedi la nota 2 a pag. 22) non si ritirò per allora dalla corte, nè la bigotta reggente nè il suo vile favorito avrebbero mai trovato il coraggio che sarebbe stato necessario a cacciarnelo. Egli bensì volle uscirne spontaneo, per non dover piaggiare a un Concini, nella età ancor fresca di 51 anno, e dopo averne spesi ben 14 amministrando sapientemente le finanze del regno.