Lettere (Sarpi)/Vol. II/154

CLIV. — Al nominato Rossi

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CLIV. — Al nominato Rossi
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CLIV. — Al nominato Rossi.1


Ho ricevuto, con augumento d’obbligo, quelle di V.S. delli 7 e degli 8, ma insieme con dolore ch’io non vaglia2 nulla in servizio suo, prendendo Ella tanti incomodi per causa mia. Non posso se non pregare Dio che, per sua bontà, esso le doni la ricompensa.

Abbiamo avuto l’avviso dell’acquisto di Giuliers, e da tutti s’attribuisce la principal lode di quell’impresa al conte Maurizio:3 e veramente, bisogna [p. 132 modifica]confessare che non v’è altrettanta virtù e risoluzione in Europa, quanta negli Stati. È ben parsa meraviglia che le genti franzesi, essendo state le ultime ad arrivare, sieno anche state prime a partire, e con tanta fretta; ma io credo che alcuno era attorno Giuliers, il quale però non desiderava che fosse acquistato: in somma, pochi sono i buoni.

Accostandoci al verno, sarà facile che si raffreddino anche i rumori di guerra: non so se potranno esser estinti; e quanto s’aspetta all’Italia, io tengo per così dubbio il successo, che non mi dà l’animo di pendere più allo sperar la pace, che al temere la guerra; anzi tengo che i medesimi interessati siano incerti altrettanto quanto i privati. Sanno bene quello che vorrebbono, ma non quello che riuscirà, essendo le cose tanto scompigliate, che chi le maneggia le intende meno degli altri. Spagna, se potrà, vorrà pace; Savoia, se potrà, vorrà guerra: e sebbene hanno il medesimo desiderio che i primi, nondimeno, avendo gli stessi interessi con loro, faranno la stessa risoluzione. La Repubblica, sebben speri pace, non insiste molto: crescono nondimeno così le provvisioni del duca, come quelle di Milano. Vivono i soldati nel Milanese a spese dei popoli, ed è certo che la spesa monta a ducentoventimila scudi il mese. Non si intende però che di Spagna pensino a maggior provvisione che di quattrocentomila scudi, i quali disegnano mandare insieme col contestabile di Castiglia, che viene per governatore di Milano e capitano dell’esercito, con tanta autorità quanta aveva il conte di Fuentes. Questo soggetto è uomo di molta prudenza nelle cose politiche;4 ma in guerra non ebbe [p. 133 modifica]molta buona fortuna in Franca Contea, dove una volta la maneggiò.

In Germania sono accomodate le differenze tra l’imperadore e Matthias;5 perchè Cesare, protestato dalli soggetti, s’è accomodato alla necessità, e sarà esempio per verificare la sentenza di Livio: Regiam majestatem difficilius a summis ad media reduci, quam a mediis ad ima præcipitari, Ma la lega ecclesiastica, ch’era reduce a Monaco, ha fatto una risoluzione che non è da preti e Tedeschi, avendo deliberato d’assoldare quindicimila fanti e cinquemila cavalli, sebbene gli Spagnuoli di questo numero pagheranno tremila fanti e mille cavalli.

Non spero troppo che la conferenza di Colonia possa terminar in pace per gl’interessi del duca di Sassonia; il quale si vede tanto innamorato nella sua pensione, che per ottenerla non resterà di valersi anco degli aiuti degli Spagnuoli; senza che, i commissari imperiali e la dieta di Praga sono più atti a seminare la guerra dove fosse pace. Ma tutto è in mano di Dio, al quale piacerà forse, contro l’aspettazione, ridurre ogni cosa a pace; come prego che faccia, s’è per bene della santa Chiesa.

L’arrivo di tanti ambasciadori straordinari costì potrà muover materia di discorsi e di opere. Il duca di Feria seminerà il Diacatholicon; nè quello d’Inghilterra potrà far tanto di bene, per la freddezza del paese e del padrone.

Ho avuto molto a caro di saper, con tutt’i suoi particolari, quello ch’è stato trattato nel [p. 134 modifica]Parlamento sulla causa de’ Gesuiti: i quali però io tengo che, quantunque fossero perditori, vinceranno; perchè finalmente riceveranno la condizione d’assoggettarsi agli statuti dell’Università, di che però non ne faranno niente. Il solito loro è di entrare ad ogni condizione, perchè hanno ben essi l’arte di farsi padroni di quelli che gli avranno legati con regole. Qua si contenterebbono di venire a vogare per galeotti con i ferri ai piedi; perchè, entrati, saprebbono bene e sciogliersi loro e legare gli altri. Non è meraviglia che procedano con tanta petulanza in Francia: anco in Roma ne usano. Avevano eretto nella loro chiesa una compagnia spirituale di sbirri solamente (i quali sono in quella città in gran numero), sotto pretesto d’insegnar loro la dottrina cristiana e gli esercizi spirituali; e s’erano fatti così presto padroni, che il governatore e la Corte non potevano più maneggiarli: onde, per querela ch’esso governatore fece al papa, la compagnia è stata disfatta.6

Ho letto con gusto l’Anti-Cottone;7 il quale però avrei voluto in qualche parte più pungente, poichè non è vizio la immodestia contro i petulanti; e non è dubbio alcuno che la libertà francese in iscrivere contro i disordini che nascono per favore de’ potenti, fa di molto bene, aprendo gli occhi a quelli che sono di buona natura e non perspicaci, ed impedisce che [p. 135 modifica]la materia non si corrompa tutta. Dubito solamente che, stimandosi essi onnipotenti, non si mettano in rabbia per le contraddizioni che lor vengono fatte, e non diano in qualche precipizio; perchè sono di tanta audacia, che non guarderanno a rovina per vendicarsi delle offese che par loro ricevere.

La nuova che V.S. mi ha dato della mutazione del presidente Thou,8 mi ha così stordito, e mi ha fatto restare in ambiguo di diverse cose. Sebbene, io voglio dire con Seneca: — Convien piuttosto chiamare l’ebrietà virtù, che Catone vizioso. — Però non si può scusare il vizio mio di annoiare V.S. così lungamente. Farò fine baciandole la mano.

Di Venezia, il 28 settembre 1610.




Note

  1. Edita in Capolago ec., pag. 229.
  2. La prima stampa ha, con errore che a noi sembra palpabile: ch’ei non voglia.
  3. Giuliers venne in quell’anno occupata dalle forze dei principi protestanti della Germania, sostenute dai Francesi e dagli Olandesi.
  4. Rivedasi la Lettera dei 14 settembre al De l’Isle, p. 118.
  5. Fu però illusorio, se non proditorio, quell’accomodamento; giacchè nel 1611 le discordie e la guerra ardevano più che mai.
  6. Di questo fatto che solo basterebbe a caratterizzare le tendenze, a tutti perniciose, della setta gesuitica, torna a parlarsi, con altre circostanze, nella Lettera che segue.
  7. Anti-Cotton è il titolo di un’acerbissima opera satirica, in cui volevasi provare che i Gesuiti erano rei del parricidio di Enrico IV, e pubblicata in quell’anno a Parigi.
  8. Non ci è dato d’intendere questa allusione, perchè nulla troviamo nella vita del virtuoso De Thou, che possa giustificarla. Forse era nato il sospetto ch’egli potesse abbassarsi ad indegne ritrattazioni od a piaggiare i cattivi, quando trattavasi di nominarlo successore dell’Harlay, di cui si è detto a pag. 112. Ma non sembra che il De Thou si avvilisse, come tanti fanno in Francia ai dì nostri; nè la regina, consigliata da Roma e dai Gesuiti, potè indursi a conferirgli quella suprema magistratura.