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132 | lettere di fra paolo sarpi. |
confessare che non v’è altrettanta virtù e risoluzione in Europa, quanta negli Stati. È ben parsa meraviglia che le genti franzesi, essendo state le ultime ad arrivare, sieno anche state prime a partire, e con tanta fretta; ma io credo che alcuno era attorno Giuliers, il quale però non desiderava che fosse acquistato: in somma, pochi sono i buoni.
Accostandoci al verno, sarà facile che si raffreddino anche i rumori di guerra: non so se potranno esser estinti; e quanto s’aspetta all’Italia, io tengo per così dubbio il successo, che non mi dà l’animo di pendere più allo sperar la pace, che al temere la guerra; anzi tengo che i medesimi interessati siano incerti altrettanto quanto i privati. Sanno bene quello che vorrebbono, ma non quello che riuscirà, essendo le cose tanto scompigliate, che chi le maneggia le intende meno degli altri. Spagna, se potrà, vorrà pace; Savoia, se potrà, vorrà guerra: e sebbene hanno il medesimo desiderio che i primi, nondimeno, avendo gli stessi interessi con loro, faranno la stessa risoluzione. La Repubblica, sebben speri pace, non insiste molto: crescono nondimeno così le provvisioni del duca, come quelle di Milano. Vivono i soldati nel Milanese a spese dei popoli, ed è certo che la spesa monta a ducentoventimila scudi il mese. Non si intende però che di Spagna pensino a maggior provvisione che di quattrocentomila scudi, i quali disegnano mandare insieme col contestabile di Castiglia, che viene per governatore di Milano e capitano dell’esercito, con tanta autorità quanta aveva il conte di Fuentes. Questo soggetto è uomo di molta prudenza nelle cose politiche;1 ma in guerra non ebbe
- ↑ Rivedasi la Lettera dei 14 settembre al De l’Isle, p. 118.