Lettere (Sarpi)/Vol. II/144

CXLIV. — Al signor De l’Isle Groslot

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CXLIV. — Al signor De l’Isle Groslot
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CXLIV. — Al signor De l’Isle Groslot.1


Abbiamo di che ringraziare Nostro Signor Iddio benedetto, il quale ha ispirato animo di unione a cotesta nobiltà, per sostentare il governo del regno percosso da sì orribil caso. Il tutto è che la causa la quale al presente l’ha stabilito, continui, acciò duri anco lo stabilimento. È stato facile che l’ambizione dei grandi abbia dato luogo all’affetto di commiserazione verso il re assassinato e la famiglia desolata; ma rimettendosi questo affetto, l’ambizione tornerà: la quale avrà ancora aiuto dai disgusti che nasceranno tra i partecipi del governo alla giornata. Il mantenere quieta cotesta generosa nazione senza una guerra esterna, è stato sempre difficile: forse sarà più difficile adesso, poichè la [p. 89 modifica]guerra con tanta avidità desiderata già più anni, gli è stata mostrata e subito sottratta dalla vista. Nè il mettersi in una guerra sarà senza pericolo, dovendosi dar le armi in mano ad uno che sarà sempre da temere, sia qualsivoglia. E l’unione del popolo, mentre non è infetto di Diacatholicon, si conserverà; ma quando i Gesuiti useranno l’arte, di che avranno gran comodo, nascerà il pericolo. Bisognerà tener per fermo, che il bene di Roma e di Francia sono incompatibili;2 e se la regina non intenderà questo punto, le cose passeranno male. Il bene di una è la concordia di detti principi; e il bene dell’altra è guerra di religione.

Io temo che la naturale superstizione e l’arte de’ Gesuiti impedirà dal conoscere il bene. Dio sopra sta a tutte le cose, e muta i cuori secondo il suo santo beneplacito. Qui si aspettava ch’essendo il regno armato, e non mancando de’ danari raccolti, facesse risoluzione di proseguir la guerra oltre i disegni e fini del re defunto, per vendicare anco la sua morte. Io ho sempre creduto, in contrario, che per ritrovarsi il re pupillo, fosse necessario attendere alle cose interne e lasciar affatto il pensiero delle esterne. Sebbene mi verrà risposto che anco il re di Spagna è sotto tutela, e molto più di cotesto; poichè egli uscirà un giorno, ma quello non ne uscirà mai. Ma vi è gran differenza dalla flemma [p. 90 modifica]e pazienza degli Spagnuoli alla vivacità de’ Francesi.

Il papa ha dichiarato d’assistere alla Francia per stabilimento del governo; ma vi è bisogno della prudenza d’Ulisse, la quale otturi l’orecchie a tutti gli sciolti, e leghi tutti quelli che possono udire: altrimenti, non vi è rimedio all’incanto.

Il principe di Condé partì in posta verso la Fiandra: credo che dagli Spagnuoli sia conosciuto per da poco, e non sperando gran cose, abbino gettato quel tiro alla buona fortuna.

Io stupisco che l’autore di tale assassinio sia stato fatto morire senza aver avuto la confessione intiera de’ mandanti e consiglieri:3 il che mi pare si doveva procurare se non bastava con tormenti, anco con perdono. Credo bene che non sia stato tralasciato niente, ma mi resta molto oscuro questo successo; se però non sia, che non avendo comodo di vendicarsi, venga riputato meglio il mostrare di non sapere.

Le cose d’Italia passano con molta maraviglia e dispetto di quelli che osservano che il conte di Fuentes,4 quale vivendo il re e armandosi potentemente per tutta Francia, restava senza fare provisione alcuna, ora reinfoderate le armi francesi, faccia sollecita provvisione, così facendo passar Svizzeri e Tedeschi, come battendo il tamburo negli Stati suoi. Credono alcuni che questo sia per muover le armi al duca di Savoia e ad altri; ma i più avveduti hanno opinione, che sia per avere a [p. 91 modifica]discrezione e lui e gli altri Italiani, e fare che condiscendano ai partiti che proporranno.

Pare che vi sia qualche moto ne’ Grisoni, perchè passando per gli Stati loro, i capi de’ Tedeschi che si levano in Tirolo, siano stati fatti prigioni, come quelli che senza licenzia hanno ardito di transitare. Io dubito che sarà occupata la Valtellina, e il duca di Savoia fatto spagnuolo, e la Repubblica e l’Italia serrate. Propongono al duca la guerra di Genova. Certamente, se la mano potente di Dio non rivolta le cose, come spesso suol fare, i pericoli sono grandi.

Ma per passare alle cose nostre, io ancora son molto in pena, come si potrà continuare la nostra comunicazione dopo la partita del signor Foscarini; nè per ora so trovar alcun rimedio, salvo che per il tempo che il Barbarigo5 starà in Torino, che sarà ancora circa un anno, usando il mezzo suo per questo tempo. Forse nascerà qualche altra occasione. Verranno due ambasciatori straordinari per le condoglienze e gratulazioni col nuovo re; sarà loro segretario Agostino Dolce, persona colla quale tengo grande amicizia: se allora V.S. avrà qualche libro che meriti, potrà, serratolo e sigillato, farlo consegnar a lui, che ritornando lo metterà appresso le cose sue per portarmelo. Sarebbe lunga cosa se io raccontassi a V.S. i mali causati dalla lettera, per esser [p. 92 modifica]molti e grandi; ma Dio perdoni a chi favoriva più i nemici che gli amici. Cessata in parte quella occasione, mi son risoluto di mutare la trattazione con monsieur di Thou; e già per il corriere passato gli scrissi una lettera, dalla quale credo resterà soddisfatto.

Io non farei fine di trattar con V.S., senza rispetto della noia che gli do; ma instando l’ora di spedire le lettere, farò fine, pregando Dio, che doni ogni felicità a V.S.; alla quale bacio la mano.

Di Venezia, il 22 giugno 1610.




Note

  1. Dalla raccolta di Ginevra ec., pag. 254.
  2. Questo concetto medesimo è nella Lettera CXLVI (pag. 97), la quale è tra quelle che taluni (per qualunque siasi scopo) si sforzeranno di mettere tra le apogrife. Nulla noi volemmo occultare nè palliare; nulla accrescere nè sminuire: somministriamo i documenti e i materiali che ci occorsero, ai filosofi per giudicar l’animo, ai biografi per iscriver la vita del Sarpi.
  3. Il supplizio di Ravaillac, accompagnato dalle più orribili circostanze, aveva avuto luogo due settimane soltanto dopo commesso il delitto; cioè presso il fine di maggio.
  4. Vicerè o governatore spagnuolo del ducato di Milano.
  5. Chi fosse questo Barbarigo, si ha dalla Lettera CXLVII (pag. 98-99). Il Griselini ancora (pag. 155) parla di un Barbarigo, amico assiduo e uno dei consolatori della vecchiezza del Sarpi, in grazia del quale Fra Paolo fece tradurre da Fra Fulgenzio il celebre Saggio sull’amicizia di Michele Montaigne: ma non sembra che le cose dal nostro e dal suo biografo accennate possano riferirsi ad una persona medesima.