Lettere (Sarpi)/Vol. II/130

CXXX. — Al signor De l’Isle Groslot

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CXXX. — Al signor De l’Isle Groslot
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CXXX. — Al signor De l’Isle Groslot.1


Quella di V.S. delli 17 febbraio, mostra con quanta perspicacia Ella esamini le cose umane, e quanto sia acuto il suo giudicio in penetrarle. Io veramente, conforme a quello che V.S. giudica, sarei di parere quasi risoluto, che non dovesse esser guerra, poichè non è dubbio esser abborrita da chi ha in potere il farla o non: ma perchè Dio conduce spesso gli uomini a fine contrario al loro disegno, per questa causa resto con qualche sospensione.

Li medesimi avvisi della buona disposizione dei [p. 38 modifica]principi di Germania ad intendersi insieme, sono anco qua, e tenuti per certi.2 Nondimeno, ancora la maggior parte reputa che si debba venir a conclusione delle cose di Giuliers senza guerra; e questo perchè li Spagnuoli non vogliono, e gli altri Austriaci senza loro non possono implicarvisi; e sempre che una parte vuol cedere, l’altra è costretta a cessar dalla guerra.

Il cardinale Delfino3 è venuto a Venezia più per gli affari particolari di casa sua, che per altro. Ch’egli sia per muover parola in loro favore, V.S. non lo creda, perchè nè egli lo farebbe, nè alli Padri riuscirebbe in alcun conto. Dio guardi che entrasse in pensiero di confermare il loro bando, perchè questo sarebbe un metter in dubbio la ferma validità del già fatto; il quale è con tanta solennità e strettezza, che chi pensasse aggiungerne di maggiore, la diminuirebbe. Per ancora di loro non è stato parlato. Vero è che spesse volte hanno tentato di entrare nello stato di Urbino, e quel duca non ha consentito loro l’ingresso, se bene li ha onorati eccessivamente: nè di ciò allega altra causa, se non che li popoli suoi sono poveri, e non potrebbono sostener quella spesa.4 Il che non è falso, perchè quei popoli sono dei più poveri d’Italia; e se li Padri siano di molta o poca spesa, Vostra Signoria lo sa.5 [p. 39 modifica]

Io sto con grandissima attenzione a vedere, se la guerra si rompesse tra noi e li loro amici, come essi si porterebbono con noi, e come noi con loro.

Sino al presente ho creduto, che il principe di Condé avesse qualche fondamento della sua azione: or credo tutto il contrario, e non gli pronostico così poca mala ventura, come già a Carlo della medesima casa. Se il marchese di Cœuvre sarà fatto maresciallo, si potrà dire: Primum, species digna est imperio.

Credo che V.S. avrà ricevuta la cifra, la quale però io non adopererò prima che non abbia da lei avviso certo. Quello che li manderà la presente, le dirà anco qualche cosa di quel che le scrivo.

Il signor Domenico Molino e il padre maestro Fulgenzio li baciano la mano.

Di quell’altro Fulgenzio non si parla più, e credo che per lui il mondo sarà presto finito. Quell’altro Marc’Antonio,6 che partì di qua quando V.S. vi si ritrovava, è in malissimo stato, per non avere di che vivere, e per il timore ch’il male d’altrui gl’insegna avere. Prego Dio che li doni pazienza: il quale anco prego che doni a V.S. ogni contento di spirito, e grazia di vedere qualche riformazione delli nostri abusi, li quali sono della natura di che dice Ippocrate: Quæ pharmacum non curat, ferrum curat. Con che le bacio la mano.

Insieme con la primiera, verrà la risposta del [p. 40 modifica]gentiluomo Inglese a quella che mandò V.S. Quel Vincenzo Lucconi agente di Mantova,7 è mandato dal suo padrone per negozi a Praga.

Di Venezia, il 16 marzo 1610.




Note

  1. Stampata in Ginevra ec., pag. 230.
  2. L’anteriore stampa legge: “per arti.„
  3. Veneziano, ed uno dei cardinali intervenuti al conclave nel quale fu eletto Leone XI. “In loro favore,„ due righe appresso, è da intendersi: in favore de’ Gesuiti, che non lasciavano di procacciare con ogni mezzo il loro ritorno a Venezia.
  4. Vedasi la nota 1 alla pag. 209 del tom I.
  5. Sono bene di poca spesa (tre buoni franchi al giorno) le loro novelle figliuole, dette Suore della Carità, che oggi servono santamente, e per mêra e schietta penitenza, negli Spedali d’Italia!
  6. Sospettiamo che debba leggersi “Pietr’Antonio,„ e che voglia parlarsi dell’arcidiacono Rubetti; di cui vedi la Lettera XLIV ec.
  7. Di questo agente, senza però dirne il nome, parlasi anche nella Lettera CXXIV.