Lettere (Sarpi)/Vol. II/121

CXXI. — A Giacomo Leschassier

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CXXI. — A Giacomo Leschassier
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CXXI. — A Giacomo Leschassier.1


Dopo letta la sua lettera del primo dicembre, recapitatami ieri, presi tosto l’Haymon e scorsi tutta la donazione di Childeberto: essa servì moltissimo allo scopo mio, essendo che il borgo in quella donazione nominato appartenga ancora all’abbate donatario. Noi pure in Italia interpretiamo siffattamente le vecchie donazioni, che vi s’intende la giurisdizione, come la chiamano i fiscali. Le rendo perciò infinite grazie.

Circa l’appellazione dagli ecclesiastici che hanno giurisdizione, i romaneschi hanno lite con noi, e insieme coi Milanesi. Si appoggiano i primi al capitolo Romana SS. debet de appell.; gli altri al contrario si appoggiano sul diritto e sulla consuetudine di tutti i regni. Fra i giureconsulti, pochi ne abbiamo che sentano con noi. Il Covarruvias, perchè prova e difende ciò, è dai Gesuiti dipinto nell’inferno. I Francesi toccano brevemente la cosa, come incontroversa2 presso di voi; altri, quando dicono: abbiamo il testo nel corpo del diritto, si pensano di aver trionfato. Dio volesse che noi facessimo di Bonifacio3 quel conto che si fa dai vostri! Nella Collezione di lui sono molte cose che ci dànno molto da fare: ma noi ce [p. 6 modifica]ne difendiamo colle esposizioni e colle limitazioni; giacchè non ci è dato il respingerle apertamente, come si converrebbe.

Se l’anglico giuramento proposto dal re ai Cattolici venuto ci fosse nella sua nudità, e non frammisto alle controversie proprie del secolo, sarebbe stato dai più periti approvato. Ma poichè e il re e coloro i quali scrissero di quello, sorpassarono i limiti del giuramento medesimo, n’è proceduto che chi ne approva gli articoli, dimostri come di accoglierne tutta la dottrina, e però dia di sè mal sentore. Dio volesse che quel re avesse pur trattato le regie cose, e si fosse dalle teologiche astenuto! Stimo tuttavia ch’egli abbia operato prudentemente, perchè forse così giovava agl’interessi suoi propri, ed era da trattarsi di tal modo co’ suoi sudditi; ma per le cose nostre, diverso è il modo che ci bisogna. Noi non vogliamo mescolare il cielo colla terra, nè le umane cose colle divine. I sacramenti e quanto vi ha di religioso, lasciar vogliamo a lor luogo: solamente si conviene ai principi lo affermare la loro potestà mediante le divine scritture e la dottrina dei Padri.4 L’autore del libretto Tortura Torti si raccomanda in questo, che dalle controversie, quanto più può, sta lontano. Nulla giova più ai romaneschi, che quando dir possono che non già essi, ma la religione medesima viene assalita.

Il pontefice tratta con questa Repubblica così delicatamente e dolcemente, che nessuno degli antecessori ha mai fatto altrettanto. Non sono ancora [p. 7 modifica]tre mesi, che un abbate5 venne condannato all’esilio, sotto pena del capo. Non è ancora passato un mese, un certo prete e parroco venne impiccato in pubblico e senza farvi precedere la degradazione;6 nè tuttavia il papa mosse lamento. Ma noi ci addormentiamo in queste piacevolezze, delle quali sarebbe a desiderarsi che non avessimo gustato giammai. Spinto da’ suoi consigli, mi posi ad esaminare diligentemente gli articoli dell’anglico giuramento;7 affinchè possano rivendicarsi dalla infamia che ad essi è data dai nostri, pensando questi che ancora le buone parole sieno da sinistra intenzione pregiudicate; nè badar vogliono a queste, ma solo alla persona che le proferisce.

Delle cose dei Turchi non abbiamo nulla di nuovo; salvo che alcuni sospettano che vi sarà guerra in Ungheria, perchè l’ambasciatore di quel principe fu trattato in Praga tanto disumanamente e barbaramente, che peggio non poteva farsi.8 Non ammesso alla presenza dell’imperatore, nè degnato di risposta; anzi gli fu ingiunto di uscire dai confini in un tempo stabilito: e tutto ciò senza saputa dell’imperatore (che vive ignaro di ogni cosa), e per le brighe dei legati del papa e del re di Spagna; i quali vorrebbero riaccender la guerra in quel regno, appunto perchè i Tedeschi col nemico alle porte non pensino a riformare le cose civili. Il che Dio voglia che riesca a bene; mentre non manca chi pensa che [p. 8 modifica]se le cose volgeranno alla guerra, molti fra gli Ungheresi staranno pel Turco. Ma già mi vedo al fine del foglio; nè voglio, come altre volte, riuscirle tedioso con troppe ciance. Stia sana, e continui come fa ad amarmi, sebbene immeritevole.

Di Venezia, li 5 gennaio 1610.




Note

  1. Stampata in latino tra le Opere ec. dell’Autore, tom. VI, pag. 69.
  2. Stimiamo errore dell’edizione latina il leggersi in essa: in controversiam.
  3. Cioè di papa Bonifazio VIII, in quanto egli fece raccogliere le Decretali emanate dopo Gregorio IX, e a quel nuovo libro pose il titolo di Sesto.
  4. Ecco una professione la più esplicita che mai possa desiderarsi, del fine che il Sarpi erasi proposto nelle sue controversie con Roma.
  5. Marcantonio Cornaro. Vedi la Lettera XCVII ed altre.
  6. Lettere CXII e CXV.
  7. Forse nel nuovo libro del re inglese di cui parlasi alla pag. 201 del tom. I.
  8. Vedi vol. I, pag. 369.