Lettere (Sarpi)/Vol. I/27
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XXVII. — Ad Antonio Foscarini.1
Il giorno 8 di questo, scrissi a Vostra Eccellenza una mia per via di Fiandra, dove le diedi conto della lettera che l’ambasciadore inglese portò, e come, dopo partito esso, il tutto fu mal inteso da qualche maligno. E tanto fu vero. Aggiugnerò nondimeno, che venne risposto all’ambasciadore medesimo, interpretando tutto bene con gli amici del re d’Inghilterra. Ho anche inteso dopo, che all’ultimo la cosa è stata ben intesa.
Io sono forse impertinente a scrivere cose siffatte, ma mi par bene che V. E. sappia ogni cosa. Una persona prudente com’è V. E., non si turba mai quando intende un’azione sua buona e necessaria essere mal interpretata da’ suoi emuli; anzi, sapendola, tanto più usa la prudenza, quanto vede maggiore malignità negli avversari. Ella è sopramodo commendata qui per gli avvisi che dà buoni e solidi; ed in questo continuando, ella riuscirà il più famoso ambasciadore che questa Repubblica abbia già molt’anni mandato; e questo ella non può fare se non insinuandosi e penetrando, come fa. Ma perchè i principi non hanno caro che persona investighi curiosamente quello che vogliono tener segreto, conviene far questo occultamente e dissimulare la curiosità; anzi fingere il trascurato, e mostrar di non vedere quello anche che si nota e si osserva benissimo. Certo è che non può far bene il pubblico servizio, se non essendo grato al re: ma alla sua maestà potrebbe non riuscir cosa grata una curiosità che fosse aperta; anzi più facilmente ella penetrerà quando nessun crederà ch’ella osservi, e meno si guarderanno da lei se farà il trascurato.
Ecco ch’io sono troppo libero in parlare con un mio signore e padrone, e forse non so quello ch’io mi dica. La colpa di questa mia libertà è di V. E., che me l’ha concessa; e la causa perchè ardisco di scriverle questo, si è una lettera veduta da me di persona affezionata alla Repubbica ed a lei, la quale avvertisce questo: che sarebbe bene ch’ella ascondesse alquanto la curiosità, e cercasse di penetrare i segreti più securamente.2 Io la prego che queste mie parole non la facciano meno curiosa, ma solo le facciano dissimulare e fingere il trascurato... Il signor presidente Thou e monsignor De l’Isle sono persone con le quali si può trattar più alla libera: con tutto ciò, è bene anche con questi finger un poco il trascurato.
Ho ricevuto il libro, e quantunque sia difettoso di alquanti fogli, avrà padrone che se ne servirà a pubblico benefizio. Mi piacerà poi molto se monsignor Casaubono finirà l’opera delle libertà ecclesiastiche, ma più se v’entrerà buona occasione nel darla fuori, come forse spero. Ma che gliene pare del nostro fra Fulgenzio minorita,3 che se n’è andato a Roma con molte dobble? Crederà aver fatto un nobile acquisto, e lo magnificherà; ma l’evento mostrerà che forse hanno fatto bene per noi, e non per sè.
Dell’armata siamo in dubbio quello che sarà. Io credo bene che, in fine, terminerà in niente: con tutto ciò bisogna aver travaglio. Veggo che costì si tiene che sia per andar in Ponente; ma io sono di parer contrario, e credo in Levante. Certo è che i due vascelli dove sono le armi e gli stromenti da fabbricare, si trovano in Palermo, che non è via per Ponente.
Il Priuli, suo predecessore, ha fatto la relazione, qual’è piaciuta alla piazza. È passata una voce che sia morto il re di Polonia, ma non si sa ancora l’autore, e non si crede...
- Di Venezia, il 26 agosto 1608.
Note
- ↑ Tra le stampate in Capolago (1847), pag. 136.
- ↑ Potrà profittare di questa Lettera e delle altre a lui dirette dal nostro Autore, chi voglia da qui innanzi descriverci il moral carattere dell’infelice Foscarini.
- ↑ Diverso dal Micanzio servita e fedelissimo amico del Sarpi. De’ casi di questo Fulgenzio, cordeliere o francescano, si ha nelle seguenti Lettere un’istoria pressochè compiuta.