Lettere (Campanella)/XII. A Filippo III
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XII
A Filippo III
Da un oscuro e fetido «calaboso», cioè da una segreta de’ castelli napolitani, il Campanella supplica il sovrano di farlo venire in Ispagna o mandare a Roma. Tra lusinghe, vanterie e consigli afferma di esporre le sue ragioni, non perché indotto dalla brama di allungar la vita, ma di rendersi utile al genere umano. Non tralascia naturalmente di descrivergli le incredibili persecuzioni e sofferenze subite; nè dimentica soliti elenchi d’imprese e di libri da terminare in breve spazio di tempo, pena il capo qualora venga meno alle promesse fatte.
Potentissimo re,
A nome dell’omnipotente Sapienza oda queste parole per la salute universale ed esaminile bene. Amplifichi or mai Vostra Maestá cattolica i pensieri e fatti, ché giá è venuto il tempo — secondo il ciel dimostra nelle congiunzioni magne, nei solstizii, equinozii, obliquitá, eccentricitati ed apogei mutati in suo favore, e secondo ogni profeta dice, e filosofo e poeta di tutte nazioni — che l’imperio suo s’abbia con la fede universale in tutto l’universo spandere. Pare ad aristotelici questo impossibile, ma non a chi fece un padre solo del mondo, un re, un sole ed una legge naturale; e che disse per li suoi profeti: «erit rex imperans omnibus unus etc.», «et erit Idumaea possessio eius et omnes nationes etc.», «et omnes principes terrae adorabunt regem Israel etc.», «et gens et regnum qnuod non servierit tibi, peribit». La Vostra Maestá è il braccio dritto dell’imperio del Messia, e ’l sommo pontefice il capo: a Vostra Maestá tocca la spada del regimento di David, a Sua Beatitudine la legge.
Però non si sgomenti delle turbulenze ch’hanno a nascere sopra la terra grandissime; ché queste son occasion di trionfo e d’unir i principati divisi, avendo Dio con sé che disse: «me insulae expectabunt et brachium meum sustinebunt». Questo braccio portò la legge aspettata nell’isola e nel mondo nuovo, e pose il culto divino a torno del mondo; però lasci Vostra Maestá ogni ragion di stato umano e segua le promesse divine, ch’a lui sta dar e toglier li regni. Quanti seguino la ragion di stato, tutti roinano de subito, ché si credeno saper piú che Dio. Giá son finite le monarchie terrene, giá sta per ruinar l’anticristianesmo di Macometto: giá s’è visto far da spagnoli quel ch’è scritto: «exultabunt sancti in gloria. Exaltationes Dei in gutture eorum et gladii ancipites in manibus eorum ad faciendam vindictam in nationibus et increpationes in populis, ad alligandos reges eorum in compedibus et nobiles in manicis ferreis».
Ché non solo il Cortese ha fatto questo, ma per tutto il giro del mondo da spagnuoli s’è visto; e che sono come fuoco a mezzo la paglia e come leoni in mezzo alle pecore, secondo profetò Michea. Ed or sará quel che dice Zacaria: «suscitabo filios tuos, Sion, super filios tuos Graeciae, et ponam te quasi gladium fortium. Et dominus Deus super eos videbitur et exibit sicut fulgur iaculum eius: et Dominus in tuba canet et vadet in turbine austri». Tutte le apostasie delle nazioni d’Europa son permesse dal signor Dio per giustificar le imprese di Spagna; ed esser voluntá divina si vede: perché quando mai pensò Spagna col suo giudicio e forze trovar ed occupar un mondo nuovo? unir due corone di Castiglia e Portogallo che cingono l’universo? insertar casa d’Austria e di Spagna fra due corone d’Aragona e Castiglia, ed ereditar tanti regni ed unire senza guerra? e tanto oro ed argento acquistare senza pensarci?
Questo profetò Isaia: «me insulae expectabunt et naves maris in principio ut adducam filios tuos (praedestinatos ad fidem) de longe, argentum eorum et aurum eorum cum ei etc.»; «et aperientur portae tuae iugiter ut afferatur ad te fortitudo gentium et reges eorum adducantur». Qui parla alla chiesa, e Spagna è una parte di chiesa principale; e quanto acquista, professa d’acquistarlo al Messia e sottoponerlo al suo vicario. però sempre vincerá; e quante volte seguí la ragion di stato, come fece in Fiandra, ha perduto. Dunque, riconosca la spada e l’imperio da Dio e dal vicario, come fe’ Carlo magno, ché ogni cosa li verrá in mano, non pensando; ma se poi fará, come li figli di Carlo, a sé gloria ed usurpazione, perderá come quelli. Or si vede, altissimo re, che quel ch’io ho scritto e predicato, si verifica della ruina d’Italia e mutamento della santa chiesa, e tutto a gloria di Spagna che pigliará la sua difesa, e le rinoverá con l’aiuto di Dio in Terra santa. Faccia animo a’ suoi, predicando questa dottrina, ché li rumori presenti fan per lei.
Ma Domenedio per segnalare quel ch’io dico, m’ha lasciato travagliare otto anni, come ribello ed eretico. Accusa antiqua non solo contra i profeti, sendo scritto contra Amos profeta: «rebellat conira te Amos, o rex»; «et moriatur Ieremias quare prophetavit contra domum hanc», «et fugit ad chaldaeos», ora ad turcas; e di Isaia e Michea ed altri morti per ragione di stato si leggono sempre questi titoli: «benedixit Deo et regi»; e degli apostoli lo medesimo; e di nostro signor Gesú: «blasphemat etc.» e «contradicit Caesori»; pur di san Atanasio e Crisostomo e Tomaso etc.; ma anche contra tutti filosofi santi in legge di natura si legge questa querela, come Platone e Senofonte dicono in difesa di Socrate. Talché Vostra Maestá può stimar ch’io possa esser un di questi; e se spesso fui travagliato, fûr anche li santi piú spesso: ed è scritto: «vidi iustos quibus mala eveniunt, quasi opera egerint impiorum»; e la Sapienza dice che «timorem et metum et probationem induce t super eum, et cruciabit eum in tribulatione doctrinae suae donec teniet eum in cogitationibus suis».
Le cogitazioni mie, Sacra Maestá, da fanciullo furon sopra questa rinovazion di secolo; e mi mosse dalle parole di san Vincenzo, di santa Brigida, di santa Caterina, di san Gregorio, dell’abbate Gioachino e d’altri astrologi e filosofi d’ogni nazione; e perché parlai di questo a tempo che fûro in Calabria le inondazioni, terremoti e comete, e tanti officiali scommunicati, fui preso per sospetto non per le parole mie, ma di fra Dionisio Ponzio chi voleva uscir in campagna per ammazzar certi frati che fecero ammazzar suo zio, come per molti processi costa, e si servia delle mie parole, come gli eretici di quelle di san Paolo, per mover genti a quest’effetto, non per ribellare. Ma il fiscale don Luigi Sciarava, scommunicato, avvisato da quelli rivelanti ch’erano sequestrati per debito, si pensò che fosse ribellione fatta da clerici per le tante dispute ch’erano di giurdizione e cittá interdette e baroni; e fece un processo secreto, e ci pose anche il governator don Alonso de Roias e vescovi e prelati. E noi per scampar la vita alle prime furie, fu bisogno dir ch’eramo eretici per non parer esser mandati dal papa. Questa eresia poi si vide esser vanitá ed industria per venir a Napoli e non morir in Calabria senza processo; e tutti furo liberati.
Io non ho testimonio alcuno contra, se non Maurizio che fu ingannato sotto parola della vita dopo molti tormenti, quando andava a morire, e disse mille bugie: gli altri sono per detto fra Dionisio che negò ogni cosa, fuggí e si fece turco per disperazione, ma non credea a quella setta. Né deve a me pregiudicare, sendo scritto: «erunt duo in eodem ledo, unus assumetur, alier relinquetur», ed «ex nobis exierunt, sed non erant ex nobis, nam permansissent etc.». Si vede poi di me il contrario in tutta la vita; perché oltre li molti libri ch’ho fatto di teologia e filosofia contra gentili ed eretici, e con tanti travagli, chiamato da loro, mai non ho voluto passar in Germania. Ho di piú composto un libro della Monarchia cattolica, dove mostro per profezie umane e divine come oggi ha di succedere in persona del re di Spagna sopra tutto il mondo, di cui non è il re anima, ma la religione che può star tutta in tutto, ed in ogni membro, contra il detto d’Aristotele; e con politica mirabile discorro sopra tutti regni del mondo e del fin loro, e come Spagna ha da guidarsi per arrivarci presto e facilmente. Di piú scrissi un libretto Alli principi d’Italia che per util loro e di santa chiesa non dovessero contradire all’imperio spagnuolo, altamente anderanno a ruina; ed in che modo si pònno assicurar della gelosia ch’han di lui — un secreto stupendo. Scrissi pur la Tragedia della regina di Scozia contra Inghilterra in favor di Spagna.
Dunque io edificava questa monarchia, non la destruia; e non mi lasciâro li fiscali interessati in questo negozio presentar detti libri né difensar secondo la legge, e sempre mi tennero sotterrato; ed al presente sto intra un calaboso in continuo fetore cd oscuritá, mai non vedo sole né aria, né messa né sacramento. Le mura stillano acqua d’está e d’inverno, quando piove intra l’acqua; mangio poco e male, e dormo sempre di notte e giorno con li grilli, in man di un luogotenente amico di miei nemici, aggranditi sotto color di liberar il regno e lo ruinano, e mo’ pensano farmi morire a questa guisa. Né posso supplicar al viceré, ché non mi lasciano; né sono inteso.
Per tanto io appello di tutti questi aggravii a Vostra Maestá cattolica non de iure ma de facto, come san Paolo a Cesare; perché, sendo aggravato da suoi vassalli, né potendo il papa avermi in mano, ché temono non mi liberi subito, perché si sa in Roma e per tutto che questa fu una baia e tutti furo liberati gli altri, però secondo il canone «Regum est» tocca a Vostra Maestá ascoltarmi e farmi ragione. Ed in questa solennitá del nascimento del nostro felicissimo principe, dimando solo grazia d’esser ascoltato secondo la legge, e che mi possa difender di propria bocca, come pur fu concesso a san Paolo da Nerone, benché era tenuto per seduttor del mondo e destruttor dell’imperio romano; e supplico che non mi lassi morire in questa fossa diabolica contra l’onor di Vostra Maestá. Perché né anco il viceré sa come sto; ma il capitano luogotenente li dice bene ed in luoco bono per compiacere a nemici, e li memoriali miei non fôro creduti; e mo’ non mi lasciano scrivere, e questa faccio secretamente. Non ci è che voglia dir al viceré una parola per me: e l’orecchie sue stanno assediate da tanti nemici possenti che dubbitano non si scopra la falsitá della ribellion finta, e li latrocini ch’han fatto sotto questo nome, e di piú ch’io non sia esaltato per li doni che Dio m’ha dato; e si forzano a tutto potere ch’io non parli a Sua Eccellenza, dicendo che son pazzie e diavolarie le mie parole.
Ed io mi protesto avanti di Vostra Maestá che voglio rivelare cose di grandissima utilitá alla santa chiesa ed alla monarchia di Vostra Maestá, e che ho parole del cielo d’avvisarle.
E per prova di quel che dico, tengo, secondo il decretale, autoritá divina come quella di san Giovan Battista alli farisei, e miracoli piú grandi e stupendi di quelli di Moisè al re Faraone; e quando non li farò vedere a Vostra Maestá, mi condanno da me stesso al fuoco. Però veda per l’amor di Dio di farmi venir a Spagna, perché in questo paese non mi voleno ascoltare, perché s’adimpisca la profezia sopra a loro «quos dies Domini sicut fur in nocte comprehendit»; ma noi «non sumus noctis neque tenebrarum, vigilemus etc.». Mi fecero pazzo essi con tanti tormenti e con non lasciarmi difensare, e Dio con la pazzia mi ha difeso da quelli, ché resisteva alla sapienza. Questi son doni gratis dati anche a’ peccatori. Dicono pure ch’ho finto d’esser pazzo: io rispondo che David e Solone si finsero pazzi per lo stesso modo e son lodati da san Geronimo. Io non dico queste parole per allungar la vita, ma solo per il beneficio publico a cui son consacrato; e mi contento subito morire ch’averò fatto vedere questi miracoli a Vostra Maestá, e se non li farò, tanto piú. Sto come Ieremia in carcere dell’empio Ionathas, e ’l re Sedecia ha paura di parlarmi. Consideri Vostra Maestá che nelle cause importanti sempre errâro li giudici bassi ed han fatto morire li filosofi e profeti.
Però io dimando di venir inanti a lei e del suo consiglio: e veda che l’istorici nel futuro poi scopreno il vero; e gli animi semplici delli principi spesso sono ingannati dalli satrapi, come disse il re Assuero: pensi che ella pure può essere ingannata da chi cercò gloriarsi appresso lei. Ed alli principi nel negozio di stato ogni mosca pare cavallo. Ed in questo secolo tenebroso il cane può parer lupo, perché è venuto il tempo che disse san Pietro: «venient illusores iuxta proprias conscientias ambulantes et dicentes: ‘Ubi est promissio aut adventus eius? ex quo dormierunt patres, omnia perseverant ab initio crealurae'». Ed io dimostro contra filosofi ed astronomi di questo tempo che «non perseverant etc.». E santa Brigida dice che in questo tempo «veritas et honor prostet nelur, sapientes et senes non lerabunt caput». Ohimè, come è vero! Non disprezzi la Maestá cattolica una persona che li vuol parlare di parte di Dio, e mostrar con miracoli quel che dice. Perché Dio s’adirerá contra lei: ancora ch’io fossi falsario, deve al nome di tanto Signore ascoltarmi, e poi punirmi della falsitá per gloria sua e non dire col re Acham: «non petam signum etc.», ch’io dico con Isaia: «audi, domus David: nunquid parum vobis est molestos esse hominibus, quia molesti estis et Deo meo? propterea Dominas ipse dabit etc.».
Di piú io prometto a servizio di Vostra Maestá e di santa chiesa far le opere seguenti, sotto pena della vita se mento. Dalle quali ne resulterá quel che tutte le nazioni aspettano, di felicitarsi nella quinta monarchia di santi. È prudenza non credermi; ma malignitá non voler veder la prova, non che sciocchezza. Che n’ha Vostra Maestá uccidendo un fraticello? Ma molto n’ha si fará quel che promette: «excelletis in arte non debet mori de iure genti um»: e Platone e san Tomaso solo i membri inutili tagliano dal corpo della republica; ed io prometto utilitá incredibili a chi ha picciola anima. Solo avvertisco che li spagnoli non ascoltano volentieri le virtú di stranieri: e deveriano spagnolarli, come facea Roma, per vincere il mondo; e pensino ch’un italiano ha dato il mondo nuovo a Spagna, ed un la calamita per dominare il mare; ed un todesco gli archibugi per intrar a’ paesi inaccessibili; e ch’a Spagna toccano solo in questo tempo le arti della pace e della guerra.
Excudent alii spirantia mollius aera,
credo equidem: vivos ducent de marmore vultus;
orabunt causas melius etc.;
Tu regere imperio populos, romane [nunc: hispane] memento:
hae tibi erunt artes: pacisque imponere morem,
parcere subiectis et debellare superbos.
Prometto fra venticinque mesi far le seguenti opere, le certe certamente, le probabili probabilmente, a pena capitale, che non possono esser notate né di eresia né di senso stirato né di adulazione, ma fortificate con la ragion commune ed autoritá de santi e di sapienti di tutte nazioni; e risponder ad ogni contraddente usque ad satisfictionem animi... .
Prudentissimo re, mentre nullo può parlar per me, io son forzato vantarmi in questo giudicio: e Plutarco mostra che in tale evento non è presunzione, tanto piú che posso mostrar esser vero quanto dico, con l’esperienza. Colombo, quando disse voler trovar un mondo nuovo, fu burlato come pazzo, e da alcuni tenuto per eretico, perché sant’Agostino nega gli antipodi: e pur lo trovò e portò tanta gloria a Spagna; e quei chi fecero voltar le molina col vento e li spiedi col fumo, non erano creduti e lo han fatto. Dunque, non disprezzi Vostra Maestá questo meschino che forse è fatale strumento di sue glorie; e perché sappia ch’io son atto a far questo, oltre li predetti libri ch’ho composto di pensieri novi e non trascritti, scrissi anche con principii novi li sequenti libri ch’alla sua monarchia portino splendore: ed Alessandro conobbe questo quando la nova dottrina d’Aristotile accettò per farsi ammirabile. Nuoce la mutazione alli stati piccioli non capaci di grandezza e la mutazione di religione a tutti quando si peggiora: il che qui non avviene se non in meglio, soprastando la rinovazion del secolo....
Pertanto a Vostra Maestá ed al suo consiglio protesto che non è bene far perire inauditi li vassalli suoi che son atti alla sua grandezza ed alla gloria di Dio: e che mirino bene che da questo inganno, scoprendosi, saperanno assai meglio per l’avvenire guidarsi e nullo ardirá levar bugie; tanto piú che a gli avvisi celesti m’offero con prove celesti dar sicurtá e certezza, e come servo di Dio mi protesto che s’oda un chi parla a nome di tanto signore. Sapienti son in Spagna assai per essaminar queste veritá, e non sono interessati in tal negozio come in questo paese; o almeno mi lascino andar in Roma a dar conto di questo fatto e di me stesso: ché si son certi gli avversarii di tener ragione, sará fatta piú a loro che a me poverello, infamato e consumato e solo, che non ho altro che la lingua e la ragione per me, ma molto oppressa. Nostro Signor Dio doni intelletto a Vostra Maestá per beneficio universale. Amen.
Sappia che han riferito che vennero li turchi quell’anno chiamati da noi, e non fu vero; e fecero morire nel molo alcuni ladri sotto nome di ribelli, per dar ad intendere che scopriron la ribellione, e fu bugia. Or se in cose tanto manifeste fingono, che sará nel processo secreto?
[Napoli, aprile (?) 1607].
Fra Tomaso Campanella, |