Lettere (Campanella)/CVIII. Al cardinale nipote Francesco Barberini
Questo testo è completo. |
◄ | CVII. Ad Urbano VIII | CIX. Ad Urbano VIII | ► |
CVIII
Al cardinale nipote Francesco Barberini
Ripete quanto il 26 ottobre ha scritto ad Urbano VIII, ed aggiunge che il padre generale lo fa spiare e ne riferisce al viceré di Napoli che ha cosí il modo di perseguitare i parenti ed i compaesani di lui.
Eminentissimo e reverendissimo signore
e padrone colendissimo,
Vostra Eminenza non si scordi di farmi dar la solita pensione, perché forsi la merito piú di molti i quali Vostra Eminenza alimenta intra e fuor d’Italia; e crepo di fame, perché qui non si paga; e fatico contra eretici di Francia e di Anglia continuamente disputando, oltre l’amplificazion ed estension perpetua degli onori di Sua Beatitudine e di casa Barberina. Di piú, la prego che mi mandi le censure ch’ha fatto far il padre generale contra quel libro che solo dopo cento anni può rispondere a’ nemici della fede con dottrina che si può predicare in tectis, come Gesú Cristo ordinò: il che dell’altra non s’è potuto fare. Anzi li santi pontefici ordinâro che non si predicasse né disputasse. Segnale che non si potean confidare che sia quella etc. (?); ed or si può disputare con sommo gusto d’ascoltanti senza scandalo, mercé a san Tomaso ond’esce questa luce che m’è invidiata da coloro che fan la coscienza grossa, perché credeno che a noi fu predestinato il fine e l’opere ab aeterno con decreto invincibile etiam da Dio, onde il far bene o male non può mutar la sorte né il grado della sorte, come predicò Lutero.
E tutto questo è concesso dall’Alvarez, mastro del padre generale e del padre Mostro; e le risposte son piú confirmazion dell’opinion di nemici, perché il senso diviso in cui ci potrebbemo salvare non è mai non composto fra noi e ’l decreto predestinante o reprobante. Né si trovò, né si troverá chi si salvi o danni per questo senso. Dio li perdoni. Or se a Lutero li teologi tanto concedeno, li concederan li principi che l’opere pie verso la chiesa son inutili a mutar il decreto, e per inganno di papisti introdotte; e però li beni dati alla chiesa si dèn ritòrre, come cominciâro nel precedente secolo quelli che per tal dogma lasciâro predicare Lutero non per altro, ed adesso lo finiranno se non starmo in cervello.
Vostra Eminenza mi mandi le censure ché certo vincerò, e non mi lasci opprimere. Il padre generale spia le cose mie per mezzo del novo priore iniquo, a cui promette il provincialato; e poi le scrive a Napoli: e li parenti miei e li calabresi sono perciò oppressi. Vostra Eminenza s’informi, perch’io ho certa novella dalla bocca del viceré uscita, che si vanta saper ciò che dico, ed io pur taccio; ma questa gente per guadagnare il generale, avidissimo del mio male, scriveno mille finzioni di mie consulte. Dio proveda; di grazia, la pristina elemosina e Censure, secondo scrivo al signor conte di Castelvillano. Ho tirato questa gente all’obedienza di Carlo Magno verso la chiesa per la dottrina del libro stampato a Iesi; e Vostra Eminenza lo vol serrato ed aperti quelli di nemici chi da quello sarebben vinti.
Prego Dio per la vita di Nostro Signore e di sua casa a ben del popolo di Dio, e fo umilissima riverenza a Vostra Eminenza.
Parigi, 28 ottobre 1636.
Di V. E. clementissima servitor divotissimo ed obligatissimo |