Lettere (Campanella)/CVII. Ad Urbano VIII
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CVII
Ad Urbano VIII
Si lamenta che, mentre si provvede ad altri in Italia e fuori, si lasci morir lui di fame e di stenti da dieci mesi; e che non si ostacolino i peggiori libri degl’infedeli, ma i suoi, come il De praedestinatione, che risolve gli argomenti de’ nemici con veritá e sicurezza incomparabili.
«Usquequo, Domine, oblivisceris mei in finem?»: io che servo a Vostra Beatitudine nel secolo presente e nei futuri, non solo stendendo ma anche amplificando gli onor suoi nella memoria universale, son uscito dalla memoria di Vostra Beatitudine in manera che mi lascia morir di fame e di scommoditá, son diece mesi, sapendo quanto son poco durabili le proviste di questo paese. Né però l’incolpo, vedendo che non si provede alla somma delle cose con aver venti million d’uomini e ventisette million di scudi, e questo anno arrivâro a trentacinque; e piú pane e vino e carne che non ha il resto d’Europa cristiana — in queste tre cose, idest denari, uomini e pane; — e pur etc. Provedami dunque Vostra Beatitudine, come fa a tanti altri intra e fuor d’Italia: né pur son inutile a santa Chiesa, avendo ridotto li dottori e li principi all’obedienza di Carlo Magno omai: almen cosí confessano. Dio perdoni a chi osta etc. E pur il libro stampato in Iesi, che senza rumori può facilitar questo effetto dall’antico costume di principi, per gusto e soggestion di calumnianti sta serrato; e li libri nemici del papato aperti finché venga la commoditá, come han la voglia, di pigliarsi tutti beni temporali della chiesa e Roma, come fecero in settentrione: ché sol per questo dogma fu lasciato predicar Lutero. E quel che fo in Francia ed in Anglia contra eretici e mal catolici, Vostra Beatitudine d’altri può saperlo, benché il Ridolfi scrive contra me a tutti, e fa che questi riformati siano spioni suoi per riferir a chi egli adora, come potrá saper dal mio Responsale per mezzo del signor conte [di Castelvillano].
Di piú, la prego che mi faccia dar le censure che Rodolfi contra conscienza fe’ fare in Roma contra il mio libro De praedestinatione che solo con le parole di san Tomaso chiare, e finora contrafatte da loro, risolve gli argomenti de’ nemici, a’ quali dopo cento anni non s’è con veritá e sicurtá sodisfatto; onde li santi pontefici fûr astretti far decreti che non si predichi né se ne disputi in publico: segnale che in ciò non era ancor chiarita quella dottrina che Gesú Cristo ordinò sia predicata nei tempi, nelle piazze e nei tetti, come si può far ogge con questo libro a fronte scoverta. Se Vostra Beatitudine in ciò mi lascia opprimere, subito seguirá il mal frutto di tal opinione alla chiesa. Perché se Lutero ha vinto in dire che Dio con decreto invincibile ante praevisionem meritorum et demeritorum a capriccio altri ha predestinato, altri reprobato, onde nissuna opera nostra vale a mutar sorte né grado di sorte, sendo l’opere anche predeterminate, anzi fatte con noi da Dio efficacemente per arrivar al graduato fine della predestinazione e reprobazione immutabile: e li nostri tutto questo concedeno, e sfuggo» solo dicendo che noi avemo la libertá di far bene e male, ma con tutta quella pure andremo infallibilmente al fin della predestinazione e reprobazione, benché in sensu, dicunt, diviso potrebbe esser che no; ma però mai non potrá succeder altrimente, perché non si può mai l’uomo trovarsi in sensu diviso da questo decreto, né Dio può dividerlo, né si trovò né troverá alcun diviso; onde séguita a ogni modo quel che Lutero affirma, e di piú che l’opere pie verso la chiesa predicate da papisti son pie fraudi per arricchirsi, mentre queste opere non pònno farci mutar sorte.
Dunque per levar questa fraude predicata da loro si deven ritôrre a forza li beni temporali dal papato. O Padre Santo, non si può comandar al zoppo che camini bene se non se li concian le gambe. Né Vostra Beatitudine averá mai l’obedienza dai cristiani teologi e potentati se le gambe delle scienze non si risanano. «Nunquid resina non est in Galaad? etc.». Vostra Beatitudine mi faccia mandar le Censure e vincerò, perché sostento la causa di Dio che non è tiranno che ci condanni a capriccio, e di santa Chiesa che non s’inganna; e si ricordi che nell’ode del penitente ciò scrissi, e Vostra Beatitudine mi consolò, e con il conte di Brassach che di ciò e d’altro assai loda Vostra Beatitudine. Ed io prego Dio la conservi ad dies Petri, come ho visto qua in una profezia: se mi dá licenza la manderò, e l’avviserò cose del mondo.
Aspetto la lemosina e la Censura.
Parigi, 28 ottobre 1636.
Di V. B. |