Lettere (Campanella)/CIV. Al medesimo
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CIV
Al medesimo
Impugnato quel che dicono i suoi avversari contro il Centone, che al contrario può riuscire di non piccola utilitá contro gli ugonotti in Francia, non che in altri paesi dell’Europa, e vantati i servizi ch’egli rende alla chiesa, non tralascia, trovandosi in bisogno, di impetrare il solito assegno.
Ricordisi Vostra Beatitudine che io non posso errare in fide se non por malizia, essendo prima consumato in tutte le scienze umane le quali ho riformato secondo li due primi codici divini, che è la natura e la sacra scrittura, per vendicar la fede dal gentilismo; e di piú consumtnato nella teologia di padri tutti e di tutti scolastici, e nei sacri concili e canoni [non] che leggi tutte e bullari. E però deve piú che probabilmente credere che in quello Centon tomistico che m’impugnano gli emoli, non ho error né eresia, se san Tomaso non è eresiarca, delle cui parole otto e dieci volte replicate è composto. Quanto a quel che potrebbe far dubitare d’ignoranza e malizia per le censure che feci nel libro del padre Mostro, io di novo li rimando le sue proposizioni. Per amor di Dio, le legga, perché conosca come il padre Acquanegra le occultò — per zelo forse della religione o pensando dar gusto al cardinale Antonio — ai censori boni e le mostrò all’adulatori con dire ch’eran solo bizzarrie di parole e non eresie, e però qui si ne fa libro, giá che non cessan di perseguitarmi; e quanto fecero in Roma per mezzo di signori Nepoti per astraermi dall’animo di Vostra Beatitudine; e come stampâro l’Astrologia mia per farmi odioso a Vostra Beatitudine, pensando che ci fosse superstizione in quel secreto filosofale di schivar li mal’influssi.
Si ricordi anche Vostra Beatitudine che avanti ch’io venissi in Roma, fecero una censura falsa a nome del Bellarmino nei libri che mandai in Roma a stampare; ed io mostrai che le proposizioni che m’addossavan per male erano catolice e le contrarie eretiche, o che non eran ne’ miei libri. E cosí fu accettata dal Santo Offizio la risposta mia per bona; e dopo venendo a Roma il Mostro, ad istanza del cardinale Borgia e Scaglia, fece una censura d’ottanta proposizioni falsissima. Ed io dimandai per memoriale a Vostra Beatitudine che sia esaminato in presenza di cardinali con il libro e censure in mano, per mostrar che non eran nei libri miei quelle proposizioni, e che molte de industria eran mal interpretate e molte non intese, perché non sanno teologizare, e credeno piú a commenti ch’al testo sacro, e piú anche alle manuscritte lezioni di lor lettori ch’a commenti.
Ed io avevo visto secretamente queste false censure, però scrissi cosí a Vostra Beatitudine; e Vostra Beatitudine rispose che se ho risposto bene al Bellarmino, meglio responderia a loro. E subito Scaglia mi venne a visitare in Santo Offizio, che pria m’era contra; e mi si presentò e poi pregò ch’io non volessi veder le censure del Mostro, se ben io in secreto l’avevo viste, per schivar le nemicizie: e ciò poi io ho referito a Vostra Beatitudine. Però sia certa che adesso fan peggio: però supplico, e lo scrissi al padre commissario, che mi se mandin le censure per difendermi, e vedrá quanti inganni si fanno nella corte, non che in Napoli. E certo tutti avean damnato l’opinion di Vecchetti per eretica — ed era solo temeraria — s’io non avessi mostrato al padre Acquanegra molti dottori in favor del Vecchetti. Sa anche il padre maestro Marino la difenza che feci contra loro che dicevan a Vostra Beatitudine nell ’Astrologia, stampata da loro per farmi male, esser cento superstizioni; e fu pur approbata da’ censori datimi da Vostra Beatitudine.
Di piú, li dico che solo questo libro dopo tanti anni può risponder esattamente all’argomenti di ugonotti e fruttifica in tutto settentrione, come Vostra Beatitudine può veder leggendo solo l’epistola dedicatoria al re cristianissimo e ’l proemio del Centone. Ed in ambedui Vostra Beatitudine è nominata; e tenga per certo, e lo vedrá in quell’epistola, che, come ha detto a Vostra Beatitudine il conte di Brassac, piú ugonotti ha fatto l’Alvarez, mastro del nostro padre generale e del Mostro, che non Calvino, e tira le genti a[l] maometismo, se non speculativi, come Berardino Ochino fece: e si scandaliza la Sorbona di questo, e piú li inglesi. Li quali quasi tutti desideran la fede catolica, e molti io ne mando a Roma che riferiranno quel ch’io fo; e forse sarò chiamato dalla lor regina, alla quale scrissi che li suoi vassalli mi dicono che per non morir di fame, confiscati i lor beni, non si fan catolici; e che si sforzi solo impetrar libertá di conscienza e sará subito vittoriosa. Il resto scrivo al padre commissario; e scrissi a Vostra Beatitudine per il marchese di Covre e per il conte di Novaglia, quando mandai a Vostra Beatitudine i libri.
Aspetto le Censure e la solita lemosina, perché qua non si paga se non parte e con stenti; ed io moro di necessitá, e non merito. Si ricordi che tutti illuminatori del seculo son crucifissi e poi resuscitano, e però il secolo futuro lauderá Vostra Santitá in me. Di piú, mi vien imposto da un gran personaggio ch’io avvisassi a Vostra Beatitudine che, facendosi la pace con quelli vantaggi che cercan l’inimici di Francia, sará la mina della chiesa: perché essi han lasciato predicar Lutero, perché dicea che la chiesa non devea tener beni temporali, e donâro licenza a protestanti, con lo Interim, di spogliar le chiese d’Alemagna, per poter essi spogliar il papato, come cominciare nel sacco di Roma e, perché non consentîro gli altri principi, lasciáro; ma adesso torneranno a farlo — e mi disse il come — e Francia non potrá soccorrer poi al sacco di Roma e Mantua. E questa causa indusse Sisto V e Clemente VIII a benedir Enrico IV. Ricordisi che non ha servo piú leale, e che piú ami e glorifichi la sua fama di me. Quello ch’io fo con tutti dottori e principi per tirar la Francia all’obedienza antica di Carlo Magno, lo scrissi altrove; e quanto [è] utile la Monarchia stampata in Iesi e ’l frutto delle dispute, appresso se vedrá.
Umilmente bacio li santi piedi e li prego da Dio vita lunga per beneficio di santa Chiesa.
Parisiis, die XXII septembris 1636.
Di V. B. servo fedele, verace, |