Lettere (Andreini)/Lettera XXXII

XXXII. Delle difese d’uno Amante.

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XXXII. Delle difese d’uno Amante.
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Delle difese d’uno Amante.


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N’Amante misero, & infelice, come son’io che può egli fare? certo non altro, che sospirar, e piangere, compiacendosi di perder i sospiri, e le lagrime

[p. 29r modifica]dov’hà perduto il cuore. Io per me con ragione sospiro, e piango, poiche per esser tutto vostro, io non son punto mio. Io non son signor d’altro, e non hò altro potere che d’amarvi, e di servirvi, e quando per mia salute io volessi poter altro, vi giuro, ch’io nol potrei: ma io non voglio nè pur poter altro che quel, ch’io posso, cioè amarvi eternamente, ancorch’io fossi certo, amandovi d’esser sempre infelice; dunque poiche voi sapete l’amor mio, poiche vedete la mia costanza, e poiche conoscete la mia fede, io mi maraviglio, come habbiate potuto pensare, non che credere, ch’io con parole indegne e del merito vostro, e del debito mio, v’habbia ingiuriosamente offesa? Ohime, che la mia lealtà, e la nobiltà de’ miei pensieri, non meritavano un torto sì grande. Io biasmarvi? io parlar contra l’honor vostro? sia questa per mio difetto l’ultima carta, ch’io vi scriva. Sien queste per mio supplicio le ultime parole, ch’io formi, se parlando di voi dissi mai cosa, che in minima parte fosse lontana da i confini della modestia, e dell’obligo dovuto alla vostra honestà. Confesso bene d’havervi alcuna volta chiamata crudele, e nel profondo de’ miei dolori, vinto da soverchia passione, dissi non esser donna di voi nè più fiera, nè più aspra. Vi diedi titolo d’empia, e d’inessorabile, maledissi più volte lo splendore de gli occhi vostri crudel micidiale del viver mio, accusai la vostra bellezza, cagione delle mie immedicabili ferite: ma sovvente ancora nel mezo delle amorose maleditioni, vi dimandai humilmente perdono, [p. 29v modifica]riprendendo accerbamente il cuor mio, quando oppresso dalla crudeltà vostra di voi si doleva, perche ancorch’egli amandovi, e servendovi languisca, io voglio, che nel mezo delle pene vi ringratij, e vi lodi. Hora parvi anima mia, che ’l chiamarvi, come v’hò chiamata crudele sia un dar biasmo al vostro honore? al vostro honore, che più stimo della mia vita? ah, che si raddoppia il pregio dell’honestà ad una donna, quand’ella vien chiamata crudele: ma quando pur vogliate, che sia stato errore il nomarvi fiera, non v’accingete à darmene penitenza, perche pur troppo me l’hà data il ciglio vostro turbato, e lo spavento del vostro sdegno, contentatevi di quello, che sin’ad hora hò amaramente sofferto. Soccorretemi prima, ch’io mi lasci tutto alla disperatione cader in braccio, e rendetevi sicura, ch’egli è impossibile, ch’io viva in questo tormento, perche è forza, o che la vostra pietà termini il mio dolore, o che ’l dolore termini la vita.