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D’ISABELLA ANDREINI. 29

dov’hà perduto il cuore. Io per me con ragione sospiro, e piango, poiche per esser tutto vostro, io non son punto mio. Io non son signor d’altro, e non hò altro potere che d’amarvi, e di servirvi, e quando per mia salute io volessi poter altro, vi giuro, ch’io nol potrei: ma io non voglio nè pur poter altro che quel, ch’io posso, cioè amarvi eternamente, ancorch’io fossi certo, amandovi d’esser sempre infelice; dunque poiche voi sapete l’amor mio, poiche vedete la mia costanza, e poiche conoscete la mia fede, io mi maraviglio, come habbiate potuto pensare, non che credere, ch’io con parole indegne e del merito vostro, e del debito mio, v’habbia ingiuriosamente offesa? Ohime, che la mia lealtà, e la nobiltà de’ miei pensieri, non meritavano un torto sì grande. Io biasmarvi? io parlar contra l’honor vostro? sia questa per mio difetto l’ultima carta, ch’io vi scriva. Sien queste per mio supplicio le ultime parole, ch’io formi, se parlando di voi dissi mai cosa, che in minima parte fosse lontana da i confini della modestia, e dell’obligo dovuto alla vostra honestà. Confesso bene d’havervi alcuna volta chiamata crudele, e nel profondo de’ miei dolori, vinto da soverchia passione, dissi non esser donna di voi nè più fiera, nè più aspra. Vi diedi titolo d’empia, e d’inessorabile, maledissi più volte lo splendore de gli occhi vostri crudel micidiale del viver mio, accusai la vostra bellezza, cagione delle mie immedicabili ferite: ma sovvente ancora nel mezo delle amorose maleditioni, vi dimandai humilmente perdono, riprenden-


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