Lettere (Andreini)/Lettera XXXI
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Dell’Adulatione.
ma molto più si loda quel, che si brama di possedere. Voi altri più tosto favoleggiatori, che amanti, dite, che i capegli delle vostre amate son d’oro, che danno luce al Sole, che sciolti legano, e legati raddoppiano i nodi, che la fronte è la cote, e ’l varco d’Amore dov’egli arruota gli strali, e dove fa preda de i cuori, le ciglia archi, gli occhi stelle, Sole, od altro, che più faccia à proposito vostro, le guancie gigli, e rose, le labbra rubini, i denti perle, la gola candido latte, il seno alabastro, le mani avorio, con mille altre espresse bugie, che fanno tener poco avveduto, chi le scrive, e men’accorto chi le crede. Io per me sarei non meno di soverchio stolta, che credula, ogni volta, ch’io volessi creder cosa, che per se stessa hà tanto dell’incredibile. Io (come scrivete) son tesoro della Natura, e del Cielo? io in tutto perfetta? ah, che la perfettione è d’un solo: io son quella, che quando parlo, o canto sforzo le sfere, siche voltando adietro il lor corso, vengono ad udirmi? almeno sapessero questo gli Astrologi che non darebbono più la forza del lor contrario moto, alla violenza del primo mobile. Io non so come ’l Cielo non vi s’adiri contro, quando pazzamente dite, che s’egli volesse formar cosa di me più degna, non saprebbe farlo. Non v’accorgete (folle) che queste sono più tosto bestemmie che lodi? quando troppo arditamente scrivete, che tutte le virtù son raccolte in me, dimostrate, o di non conoscer ciò, che sia virtù, o di non saper ciò che sia bugia. S’io hò tutte le virtù, le altre non ne han nulla, come disse quel faceto morale. Se voi temerariamente vorrete d’una cosa mortale farne una celeste, chi non riderà di voi? à me parrebbe di far ingiuria grandissima alla Natura, & al Cielo, quand’io volessi dire, ch’Esopo avanzò di bellezza Narciso. Il lodar di soverchio, confonde tanto il vero con la bugia, che difficilmente si trova la verità, nè direi male, s’i’ dicessi non mai. Per questo Alessandro, il grande gettò nel fiume quel libro sparso delle sue non vere lodi, non volendo, che l’adulatione d’un scrittor bugiardo, togliesse alle vere attioni l’immortalità di bramata gloria: ma dovrebbono conoscer le accorte Donne, che sicome son finte, e simulate le vostre lodi, così son finti, e simulati i vostri martiri. Per finta lode, per finto affetto si dee dunque perder vero honore, e vera vita? poiche la vera vita della donna è l’honore, sicome il dishonore è dell’istessa la vera morte. Volgete dunque giovene poco savio, e troppo ardito queste vostre lusinghiere, e bugiarde parole altrove, & accorgetevi hormai, che ’n me non sono per far alcun frutto, sapend’io, che come più vi torna bene, fate hor d’una Laide, una Lucretia, hor d’un’Angelica, una Gabrina. La vera lode d’una donna è l’honestà, hor come volete arricchirmi di lode, se bramate solo d’impoverirmene?