Lettere (Andreini)/Lettera LVIII

LVIII. Del pianger l’humane miserie.

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LVIII. Del pianger l’humane miserie.
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Del pianger l’humane miserie.


I
O benedico Amore, ilquale non si sdegnò di purgare gli spiriti miei infermi con la sua fiamma divina, alzando sin al Cielo il mio basso intelletto, empiendo l’anima mia di bei desiri, di ferma costanza, e di salda fede, e benedico voi senza fine ò mia terrena Dea, in virtù di cui porto dolcemente piagato il cuore, e con tanto mio piacere son favorito dalla mano d’Amore, che scieglie sempre de’ suoi più degni strali, per far nuova, e tuttavia cara ferita nel mio petto, onde, e per lui, e per voi son fatto al Mondo d’alcun grido, e posso dir con ragione, che ’n cento, e cento luoghi risplende (vostra mercè) la mia fama. Io son hoggidì tenuto in pregio, da più elevati intelletti, poich’essi fermamente credono, ch’io non per bontà, non per virtù d’Amore: ma per mio sapere mi sia posto à servire così bella, e gratiosa Donna. Oh quanto dunque gli debbo, e quanto gli son obligato, poiche potendomi ferir il cuore, per donna vile, hà voluto (bontà sua) ferirmi, per la più degna, ch’oggidì viva: talche per lui sono risvegliati i miei sensi, che prima si stavano in un profondissimo letargo sepolti. Per lui dalla turba

[p. 58v modifica]del volgo me ne vò lontano; e (siami lecito il dirlo) per lui vò gloriosamente salendo il monte felicissimo della virtù, percioche la vostra singolar bellezza cantando, innalzo col vostro nome anche ’l mio. Prego dunque Amore, che benigno, voglia prestarmi tanta forza, ch’io porti co’ miei versi la mia bella fiamma, alla sfera del fuoco, la vostra gran bellezza al terzo Cielo, e i nostri nomi all’eternità delle stelle.