Lettere (Andreini)/Lettera LVII
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Che il luogo non cangia pensiero.
della Terra, così voi non rimarreste offesa dalla bassezza del mio demerito. Deh unico mio conforto saria pur secondo me, ragionevole, che credesse all’amor mio, chi è del mio amor cagione: ma ohime, che chi hebbe poter di cagionarlo, non ha voglia di ricompensarlo, ch’a me in vero parrebbe d’haver trovata medicina al male, s’ei fosse almen conosciuto. Voi crudele di me non vi curate, nè possono le mie parole movervi à pietà del mio dolore. Non possono le mie lagrime intenerir quel duro smalto, che fatto saldissimo scudo del vostro cuore, non cura le continue percosse delle cadenti mie lagrime. Non possono i miei caldi sospiri, scaldar quel petto, che già fatto per me, tutto di ghiaccio, il lor fuoco disprezza. Lasso me, gli altri sogliono odiar i nemici, & voi odiate me, perch’elessi d’amarvi, e par, che niun’altra cosa più v’offenda, che l’amor mio: ma sappiate, che, se per amarvi v’offendo, sarò sempre sforzato ad offendervi, come sarò sempre sforzato ad amarvi: ma, se per amare, e per desiderar il Sole, non s’impedisce pur un minimo de’ suoi raggi, come per amar, e per desiderar la bellezza vostra, v’impedisco, & v’offendo? certo non per altro avvien questo, se non perche havete fisso nella mente, che ’n me il fine d’un male sia principio d’un’altro, e pur dovria bastarvi il sapere, ch’io colpa vostra son fatto uccello infelicissimo notturno, ilquale dove habita non iscorge altro che orrore; ma stratiatemi pur quanto vi piace, ch’io spero prender vigore da’ miei martiri nell’istesso modo, che la fiamma prende forza dal vento. Fra tanto pregherò Amore, che punga quel bellissimo seno, gradita carcere del cuor mio, con uno strale d’amorosa pietà fabricato, dalla consideratione della mia doglia.