Lettere (Andreini)/Lettera IV
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Delle percosse della Fortuna.
dobbiamo un vivo cuore, nel quale non finta, e non morta: ma vera, e viva possiam vedere la nostra sembianza, amatemi dunque dolce Signora mia, se non per altro, almeno, perch’io io porto nel petto scolpito il vivo simulacro della vostra bellezza, e s’ella induce me ad amarla in voi non essendo cosa mia, com’esser può, che voi non l’amiate in me essendo cosa vostra? ogn’uno pure naturalmente ama le cose sue ancorche vili, hor quanto più le pregiate com’è la vostra bellezza singolarissima in terra? che non pur da voi, come vostro pretioso tesoro, dovrebbe in qualunque luogo risplenda esser amata, & osservata: ma dovrebbe esser amata, & osservata da ogn’uno, com’è da me: ma, se ogn’uno com’io ammiro, non ammira tesoro così degno, non è per altro, se non perche non è dato ad ogn’uno di conoscerlo come à me. Ah, che, se ogn’uno lo conoscesse, quelli, che vanno con tanto lor periglio solcando il Mare per trar dall’onde la condensata rugiada trasformata in perle cesserrebbono di creder loro stessi alla sua instabilità, e verrebbono con lor maggior contento à vagheggiar quelle, che nella bocca chiudete, e quelli, che infestando la Terra procurano con tanto lor disagio di trar dalle sue più occulte viscere il lucidissim’oro, tralasciando ogni fatica si compiacerebbono nel veder l’oro delle vostre chiome; e quelli parimente, che è dalla Terra, e dal Mare s’ingegnano di trar, e i rubini, e l’herba, che rassodata divien corallo verrebbono à vedere quei coralli misti co i rubini, che nell’uno, e nell’altro labro tenete: e quelli, che scorrendo vanno fino à i liti d’Oriente per tornar carichi e d’ebano, e d’avorio, con viaggio più breve si condurrebbono à veder l’ebano delle vostre ciglia, e l’avorio delle vostre mani; e quelli Astrologi, che ’l corso della vita loro consumando, studiano continuamente al raggio Lunare, il corso delle stelle, quando conoscessero la virtù, e la forza di quelle; che nella fronte portate verrebbono à contemplar quelle sole, c’hanno maggior poter in noi, che non hanno per avventura quelle del Cielo: che più? se l’Api istesse prive di ragione potessero haver conoscenza di voi, non volerebbono à i fiori d’Ibla: ma à quelli delle vostre guancie. Dunque se conosco in voi tante rare qualità non è maraviglia s’io v’amo; maraviglia è bene, se voi riconoscendo voi stessa in me, non amate me per cagion vostra.