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D’ISABELLA ANDREINI. | 4 |
legra notte, ch’io potessi col pensiero formarmi, hò havuta la più lagrimosa, che potesse per accidente avvenirmi, e la sua luce m’è stata tenebrosissima, onde non meno l’hò pregata à sparire, che la pregassi à venire: e mentre pieno di lagrime di lei mi doleva, ecco l’Aurora aprir le porte del Cielo, perche se n’esca il giorno; e voglia Amore, ch’egli in parte restori i dispiaceri della passata notte, concedendomi, ch’i possa raccontar in voce con qual angoscia me l’habbia passata, e com’ella mi sia stata cagione non men di noia, che d’infelicità.
Delle percosse della Fortuna.
Uando scoccò da be’ vostri occhi lo strale, che solo hebbe forza di romper la durezza del mio cuore, quell’istesso hebbe parimente forza di scolpir in lui la divina imagine vostra, talmente che ’l cuor mio è fatto come uno specchio della vostra bellezza, nel quale potete chiaramente mirarvi ad ogni vostro volere, il che dovrebbe poter in voi quel, che non può l’amor mio, e la mia fede; che, se l’uno, e l’altra non ponno muovervi ad amarmi, lo dovrebbe potere quella natural affettione, che ogn’uno à se medesimo porta; perche, se noi oltre all’amar noi stessi amiamo ancora quel marmo, quel metallo, quella carta, o quella tela che ci rappresenta l’imagine nostra spinti dalla propria affettione, quanto maggiormente amar dobbia-
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