Lettere (Andreini)/Lettera CXXXVI

CXXXVI. Del dolore nella morte della Moglie.

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CXXXVI. Del dolore nella morte della Moglie.
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Del dolore nella morte della Moglie.


H
Avendomi la cruda innessortabil Parca tolt’insieme con l’amata mia moglie la quiete, e ’l sonno, la passata notte fra l’altre in vece di posarmi e di dormire, passai lagrimando con questi dolorosi pensieri, ch’io mando a V. S. perch’ella conosca qual sia la dolente

[p. 136r modifica]mia vita senza colei, ch’era cagione d’ogni mia allegrezza. O Notte (incominciai) ò Notte, le cui negre tenebre son tanto all’oscura mia doglia conformi. O Notte le cui ombre son fide compagne de’ miei dolori. O Notte il cui profondo silentio è vero segretario delle mie lagrime, non mi lasciar sì tosto. Deh remanti pietosa Notte meco, e se desio di tuffarti nel Mare forse ti spinge à lasciarmi, non t’affaticar per arrivarci, essendoche senza far viaggio potrai à tua voglia bagnarti nell’Oceano del pianto mio, non richiamar il Sole, poiche troppo è contraria l’allegra sua luce à i dolenti come son’io, oltreche, se spuntar dall’Oriente il suo raggio è per benefitio de’ vivi, vana è per me la sua venuta, poich’io misero son morto nella morte della mia cara donna. Ah ben è vero, che tutti i miei piaceri cedono alla forza del martire. Gli allegri miei giorni se ne sono con la mia vita andati, & altro non m’han lasciato, che la memoria del ben passato, perch’ella mi serva per dolor presente. O dolore, che fai lamentar l’anima mia rinchiusa nel sepolcro, poiche la mia vita è consumata cessa di tormentarmi, deh non turbar la miseranda pace de’ morti, assai m’affliggesti mentr’i’ era vivo, assai mi facesti sentir i tuoi duri sproni, assai l’aspro tuo rigore provando, hò percossa, e ’mportunata l’aria con le mie querele, e pertanto pur la mia doglia mi perseguiti sin nella Tomba. Hora veggo quanto il dolce de’ piaceri sia amaro alla rimembranza, quando il cuore serbando il desio perde la speranza di più godergli, ò quanto è men male il dir io non [p. 136v modifica]hò mai havuto bene, che ’l dir io l’hò perduto. Ahi memoria congiurata à miei danni, hor perche mi rammenti le mie consolationi, in tempo, ch’esser non mi possono, che di tormento? non t’avvedi, che facendomi ricordare, com’io fui felice, non essendo più, il ricordarmi tal felicità mi fà esser doppiamente infelice? l’haver in mente i miei dì sereni accresce la doglia delle mie notti oscure. O dolcissima cagion del mio bene, ch’altro hora non sei che poca polvere, senza cui altro non son’io, che un tronco abbattuto dal fulmine, da qual felicità la tua morte m’ha tolto, e ’n qual miseria m’ha precipitato? (lasso) allhora che tu vivevi, niuno accidente per dispiacevole, ch’ei si fosse, poteva far, ch’io mi dolessi, perch’io mi conosceva accompagnato da così buona sorte, che sperando il tutto, nulla temeva, hora in pianto corverso temendo il tutto, nulla spero: ma che puoi temer hoggimai N. che sei fatto ricetto di tutte le avversità? che può temer un cuore che non può esser più misero di quel ch’egli è? che può temer uno, che non hà più che perdere? uno, che già disperato, ha disposto, e preparato l’animo ad ogni estremo male. O carissima Donna ohime, che la tua morte m’hà tolta ogni speranza, e m’ha lasciato ogni timore. Nel perderti hò perdut’ogni cosa, e temo grandemente di vivere. Il viver solo può far maggior la mia pena, attesoche mentre io giaccio sotto ’l gravissimo peso de’ martiri, e ch’io sopravivo à te, che fosti ogni mio bene, anzi sopravivo contra mia voglia à me stesso, il viver m’è proprio un flagello d’esser vissuto troppo. Poi [p. 137r modifica]rivolto à quella bellissima chioma, che per colpa di maligna febre fu da crudelissimo ferro tagliata, più che mai lagrimando misero dico. O bei capegli, che ’n dolce, e santo nodo mi legaste al mio carissimo mezo, se mentre adornaste quel capo, che ’n vostra compagnia haveva per ornamento, ancor la prudenza foste testimoni de’ miei piaceri, hora da lui divisi, sarete testimoni de’ miei dolori. O bei capegli, com’esser può, che privi di quella bella, e serena fronte ancor serbiate la bellezza, e lo splendore? com’esser può, che sciolti possiate ancor legarmi? ma che? anche i begli occhi son fredda cenere nel sepolcro, & ardente fuoco nel mio cuore; ma dite capegli ingrati à colei, che fu vostra, e mia donna, perche vi divideste da lei? forse per non soggiacer alla morte? ò folli se pensate lunge da lei, che fu vostra, e mia vita, haver vita giamai. Ahi falsi amici, perche non seguiste in morte colei, che tanto vi terse, e v’accarezzò in vita? perche negaste di chiudervi seco nel sepolcro? già non negano i raggi del Sole di tuffarsi nel Mare quand’egli vi s’immerge; & ingannato dal mio fisso pensiero, come se i capegli havessero senso, e voce, mi par d’udire, che così mi rispondono. O caro amico, perche così m’offendi? non ti sovviene, che per lasciar libera la nostra commune Signora, da quel rio morbo, che l’affliggeva, cedemmo al ferro? e che bisognò sforzatamente partire? hor noi non potendo lasciar altro segno della nostra fedeltà, malgrado di chi ne recise, lasciammo le nostre radici in quel bel capo, onde puoi vedere ch’è intervenuto à [p. 137v modifica]noi, come suol intervenire à quell’arboscello, ch’è nato nel seno d’un freddo monte, che percossi i rami dal fulmine conserva le radici intatte. Così puoi conoscere, che se la Morte hà potuto dissolver il mortale, non hà per ciò havuta forza di dissolver l’amore; dunque caro compagno e di singolar affettione, e d’incredibili affanni non ci accusar più: ma noi poveri, & infelici accarezza, e serba per eterni testimoni della nostra egual perdita. Finite queste parole m’avidi, che la notte m’havea lasciato, e ch’era apparso il giorno; e perch’io sò, che sì come un peso è più leggiero à due, che non è ad un solo, così un’affanno, che un’amico travaglia, conferito con l’altro amico viene ad alleggierirsi, presi partito di scriver à V. S. e così le scrivo i miei notturni discorsi, e le impossibili risposte, credendo fermamente, che per la nostra amicitia vi contenterete di lasciar il mio Signor N. i diporti della Villa, per consolarmi: ilche impetrando (come spero) sò, che mi sarà di grandissimo contento nel male: perche è gran conforto ad un misero, non potendo terminar il suo pianto, trovar alcuno, che almeno ’l consoli nelle sue lagrime.