Lettere (Andreini)/Lettera CXXXVII

CXXXVII. Delle lodi della Villa.

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CXXXVII. Delle lodi della Villa.
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Delle lodi della Villa.


D
Ovreste hoggimai risolvervi (Signor N. mio) di lasciar l’ingordo desiderio delle ricchezze, de gli honori, e delle speranze di corte, che non lasciano mai respirare chi pon loro affetto, e darvi in tutto ad una riposata, e tranquilla vita. Ognuno, che s’affatica, s’affatica per la quiete, e voi non volete mai provarla? Hora siete in età, che ’ncomincia ad haver bisogno di riposo, però lasciate in disparte il gridar co’ servi, i quali come per isperienza si vede, vogliono servir male, & esser pagati bene, non lasciando i padroni senza sospetto della robba, e tallhor della vita. E pur una pazzia degli huomini, che non hanno mai un giorno di quiete per acquistar facoltà, laquale quanto più cresce, tanto più fà crescer in loro l’affanno di non scemarla. Se voi sapeste quant’è felice colui, che lontano da i tumulti populari si contenta di goder in pace le proprie sue ricchezze (che per fargli provar vero contento debbono esser tali, ch’egli non ne senta necessità, e non ne patisca invidia) certo non procurereste di vender la vostra libertà, degna tenersi più che la vita, sarà per sodisfar al volere il più delle volte (voi m’intedete) de’ Principi, e de grandi riverisco i buoni, e m’atterro. Io per me da quel giorno, che mi diedi à così gioconda vita, & à starmene quietamente alla mia Villa mi son trovato, e mi

[p. 138v modifica]trovo d’hora in hora più contento, perche ’l pensiero delle cose incerte non mi turba. Io non mi curo di cibar il cuor mio d’una speranza vana. Un favore, o un disfavor d’un Signore non è cagione, che per allegrezza impazzi, o per dolore mi crucij. Perche pensate voi, che fosse tanto felice l’età dell’oro? certo non per altro se non perch’ella era lontana dalla speranza, e dal timore: ma benche questo sia secolo di ferro, chi toglie à noi, che nol facciam d’oro? ogniun per se stesso può farlo. Il viver fà l’età, e non l’età il vivere. Non vive nell’aureo tempo quegli, che lontano da tutte le vane speranze, da tutti i superbi fasti, da tutte le ansiose fatiche, non ha occasione di maledir la sua mal impiegata gioventù, quando fatto di biondo canuto, si vede per premio di lunga e insopportabil servitù, un gran presente di ventose parole. Questi non s’adira contra ’l Cielo, e non bestemmia il Mare quando l’uno pieno di nubi, e l’altro carico di procelle si mostra. Egli passando la notte à lunghi sonni lascia, che lo spirito à suo piacere scherzi co’ piacevoli sogni, questi non cura di negar la sua volontà per mascherarla con l’altrui voglia, ha sempre nella lingua quello, che chiude nel cuore, non macchia mai il candor della sua pura fede, non importuna gli Principi (il protesto è fatto) con le continue suppiche, poscia che di sua sorte contento egli stesso è fatto à se medesimo Principe, Corte, Paggio, Segretario, Mastro di casa, Maggiordomo, Coppiere, Scalco, Bottigliere, Credenziere, Staffier, e ’n somma ogni suo servo, ogni suo favore, & ogni sua [p. 139r modifica]speranza, certo, e sicuro, che niun Corteggiano sia per ottener maggior gratia di lui, che niun’altro per invidia non potrà renderlo dispettoso al Signore, sì ch’egli sia disacciato dalla servitù, onde l’infelice dopò la perdita di molt’anni perda ancora la speranza. Desiderato flagello delle Corti. Io per me ringratio continuamente il Cielo, che m’habbia ridotto à questa bramata quiete, nellaqual vivo con tanta tranquillità, ch’io non saprei desiderar dalle stesse sorte migliore; poiche da me sbanditi i molesti pensieri de’ cuori ambitiosi, dopò i dilettevoli, e modesti piaceri del giorno me ne ritorno la sera à casa, nellaqual meco chiudo tutti i miei contenti, e tutte le mie grandezze, e tutte le mie speranze. Quand’io dormo dormono meco, e meco riposano tutti gli spiriti miei, nè mai crudo sogno di vedermi da qualche grandezza precipitato con dolore, e con ispavento mi sveglia, sol mi desto alla nuova luce, con la quale men’ vò à goder l’aure del fresco mattino, al mezo giorno stommi diportando all’ombra, e quand’è freddo, tempro il rigor del Verno al caldo del mio proprio fuoco. S’io non hò per albergo un superbo palazzo, s’io non veggo in esso travi dorate, e se in lui non miro della vaga Pittura i diversi colori, basta à me di veder poi vari, e gratiosi colori della ridente Primavera, vero tesoro de’ prati, e mi basta veder l’oro pretioso, che la benigna Cerere sparge ne’ miei fertili campi, alla cui vista allegrasi le gratiose e leggiadre Pastorelle, ch’altro non fanno, che danzare, cantar, e correre, lasciando che nelle [p. 139v modifica]grandi habitationi stieno à lor voglia le fastose, e vane pompe accompagnate dall’ambitione, e da quei favori, che ’l più delle volte ingannando chi di loro si fida, lasciano all’anima schernita un’eterna sferza di dolore. Venite, venite ò carissimo amico à riposarvi con noi, & habbiate in memoria, che ne gli stati humili la Fortuna è men fiera, e che la casa picciola non è mai oppressa da spavento grande. Le basse valli rade volte son’offese dal fulmine. Chi togliesse al Mondo i ricchi, e i felici, non saria alcuno, che si dolesse nè per esser povero, nè per esser infelice, perche niuno può conoscersi per tale senza l’opposto del suo contrario. Fuggite dunque i ricchi, e i felici, e non direte d’essere nè povero nè infelice, benche, se vi contentaste dello stato vostro assai siete ricco, assai siete felice: ma voi (perdonatemi) non sapete conoscer la vostra felicità, e chi non la conosce, non può dire d’esser infelice. Voi molestate voi stesso con quell’ansietà d’accumulare,e non v’accorgete, che sol è ricco chi le ricchezze disprezza, perche l’animo, e non l’oro arricchisse l’huomo. Ben conobbe questo Marco Curio, ilquale amò più d’impadronirsi de’ ricchi, che d’esser ricco; e lui felice, che nè per battaglia fù rotto, nè per denari corrotto. Scipione anch’egli havendo soggiogata l’Africa non volle in ricompensa l’oro: ma la gloria, e l’invidia altrui: peso veramente illustre chi vive secondo la Natura non è mai povero: ma chi vive secondo il desiderio non è mai ricco. Gli ansiosi di ricchezze non le posseggono; ma son dalle ricchezze posseduti. Si dice, che chi non si [p. 140r modifica]contenta del poco non hà mai tanto, che li paia à bastanza, però guardate di non cader in questa infelicità. Contentatevi di quello, che ’l Ciel v’hà dato, ilche dovete fare tanto più volentieri quanto che non poche: ma sufficienti ricchezze possedete. Venite, che di nuovo io v’invito. Lasciate il desiderio della robba, il qual crescendo con l’istessa robba non lascia mai respirar colui, che per sua disgratia l’annida nel seno. Perdonatemi, se così libero parlo, perche, s’altramente i’ facessi, farei torto alla nostra amicitia. Venite, venite mentre che la stagione è così bella à goder meco la silvestre musica di questi uccelli, che cantando benedicono il Cielo. Venite à goder del mormorio soave d’un Fonte, che delle risposte vene d’un Monte uscendo, cade alla pianura. O come godo io vedendo, che per far più vaghi i miei prati se ne vanno quell’acque con torto, e presto passo à spargergli di loro stesse. Talvolta m’allegro nel veder con che dolci lusinghe vezzeggia il Colombo la cara amica mentr’ella hor lo fugge, hor lo segue, come caramente si bacciano insieme, e sussurrando par che dolcemente d’Amore in lor lingua favellino. O che piacere è ’l mio quando ’l Sole da noi partendo và ad albergar con l’ospite suo Oceano godendo la conversatione di queste allegri genti, lequali dalle cure noiose lontane, travagli non conoscono. Fanno tra lor mille giuochi, e mille balli, che terminati al fine concedono alle sicure stanze ritorno, dove ogniuno tranquillamente sin’al nuovo giorno si posa: e per dirvi tutti i miei diletti oltre le caccie, le [p. 140v modifica]pescaggioni, l’uccellare, & altri trattenimenti io fò anche all’amore; ma in modo tale, che amando non provo se non piacere. Non dò io tanta forza ad Amore, ch’ei possa far serva la mia libertà, nò, nò, e per qual si sia laccio, ch’egli contra m’ordisca quand’i’ voglio liberarmene me ne libero, e non và il potere lontano dal volere. Qui termino lo scrivere; ma non già il pregarvi ad accettar i miei inviti, dei quali, se vi piacerà godere, sò, che ve ne troverete tanto contento, che vi dorrà di non havergli gustati prima, e che pregarete il Cielo, che mai da loro non v’allontani.