Lettere (Andreini)/Lettera CXXXIV
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Del ritratto d’Amore.
piangono, & i vostri sempre ardono; dunque i miei lo sommmergeranno per diluvio d’acque, & i vostri lo ridurranno in polvere per diluvio di fiamme. Deh prima, ch’esser cagioni di tanto danno, proviam tra noi, se ’l vostro fuoco può dall’onde mie rimaner estinto, overo se ’l vostro ardore può rasciugar il mio pianto: ma voi (crudele) anzi eleggereste di perir col Mondo, che di darmi soccorso. Sarà almeno, che quella bella mano, che sà attraher tutti i pensieri, ferir tutti i cuori, e ’ncatenar tutte le anime, non sia contenta un giorno di segnar per me un foglio di due sole parole, che non sieno punto differenti dalla vostra crudeltà? contentandom’io (pur che sieno scritte da lei) che mi diciate muori misero, muori, e fa contenta della tua morte, colei ch’altro non brama, che l’infelice tuo fine; ma ohime, ch’io spero tropp’alte cose. Come sarà possibile, che voi, che non siete intenta ad altro che ad offendermi, voi che non lasciate alcuna così in rigore, come in beltà seconda, possiate giamai far cosa, che mi diletti? ma che maraviglia, che voi siate crudele, se la crudeltà istessa vi serve per anima? Ah ingrata veggo ben io, che voi non siete punto differente da quella imagine, ch’io tengo di voi, poich’ella come voi è sorda à miei caldi sospiri, e mutta alle mie giuste dimande, e per serbar affatto ogni vostra qualità, ella benche finta di vero ardor m’accende. O Cielo dunque per mio danno consenti, che le tele, & i colori spirino fiamme? Oh quante volte con la vostra bella imagine parlando (ma non senza lagrime) dico. O bel volto della mia bella donna da qual Artefice uscisti? certo egli non fu mortale, perche s’egli fosse stato mortale, quelle saette che avventano gli occhi tuoi, e quelle fiamme, ch’escono delle tue labbra, e delle tue guancie l’havrebbono piagato, & arso. Fù dunque Amore, che ti dipinse oprando gli strali in vece di pennelli, e le mie lagrime, e ’l mio sangue in vece di colori; e poich’egli t’hebbe ridotto à perfettione si partì scordandosi in te le sue fiamme, e le sue saette, ond’a me toccò poi il far penitenza del suo oblio: ma come la dipinse Amore, s’Amor è cieco? ah che più tosto la fece alcun novello Prometeo, ilqual rapito alle ruote del Sole il fuoco la dipinse, e l’animò; e certo che sarebbe impossibile, ch’io in rimirandola provassi tanta passione quanta io provo, s’ella fosse finta, perche cosa insensata non può far sentir tanti dolori, e non può una fintione usar tal violenza. O ritratto non ritratto; ma lucido specchio de’ miei pensieri. O specchio non specchio; ma vero oggetto di tutti i miei desiri. O oggetto non oggetto; ma fuoco, che m’avampi. O fuoco non fuoco; ma Sole, che mi struggi. O Sole non Sole; ma Cielo dell’anima; ma perche ti chiamo io Cielo? S’è proprio del Cielo il dar conforto, e tu mi dai tormento? ò carissima imagine, se Narciso in vece di mirar se stesso al fonte havesse te veduta, io mi rendo sicuro, ch’egli si sarebbe di maniera acceso della tua bellezza, che nulla di lui sarebbe avanzato per mutarsi in fiore. O quante volte pensando raccontar à voi stessa i miei martiri al vostro ritratto gli racconto, lui vagheggio credendo vagheggiar voi, con lui sospiro, con lui piango, à lui porgo i miei prieghi, stimando porgerli à voi, & esser à voi presente; & ancora (perdonatemi, se tant’oltre i’ passo) credendo di baciar voi bacio soavemente lui; e se non m’è renduto il bacio, io non mi lagno sapendo, che voi non men fredda che cruda, altrotanto fareste: e s’io erro, almeno l’error mi piace, e mi diletta, anzi tanto vale il dolcissimo inganno del mio dolcissimo errore, ch’io alcuna volta veggo, o penso di vedere, che l’imagine amata fatta molle à miei prieghi pianga al mio pianto, gema à miei gemiti, e si dolga al mio duolo; e quando poi m’aveggo d’essermi veramente ingannato, per consolar me stesso mi fo à credere, che quello, che non ha fatto, e che non può far la figura dipinta, faccia ultimamente vinta da bella, e lodevol pietate la Donna vera, alla quale humilmente m’inchino.