Lettere (Andreini)/Lettera CXIX

CXIX. De i sospetti de gli amanti.

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CXIX. De i sospetti de gli amanti.
Lettera CXVIII Lettera CXX
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De i sospetti de gli amanti.


A
Ncorche per la crudeltà vostra io sia l’essempio dell’istessa miseria, non vi piaccia però di credere, ch’io desideri la morte, perche il desiderar la morte per sottrarsi alle miserie è segno d’animo vile, oltre che sapend’io che voi godete così del mio male come del vostro bene non sol non hò da desiderar la morte: ma debbo con ogni studio procurar di viver lungamente, affineche possiate più lungo tempo godere della mia infelicità. Non mi caderà dunque mai nell’animo di voler morire, o di darmi (com’han fatto molti incauti) di propria mano la morte, nò, nò, tolga il Cielo, ch’io mai offendessi le cose vostre con l’animo non che con l’effetto. Chi v’uccidesse un servitore non l’havreste per male? certo sì. Oh quanto più chi v’uccidesse, un’amante tanto fedele, e tant’osservatore

[p. 117r modifica]della bellezza vostra, come son’io? se dunque io son vostro, debbo come cosa vostra rispettarmi; ma se la crudeltà vostra m’ha tolto la vita, io non potrei nè anche quand’i’ volessi morire; ma se ’l dolor è segno di vita, non potendosi doler chi mi vive, io che sento dolore, e del dolor mi doglio hò dunque vita; e se con l’infinità de’ martiri, che sono in questa dolente vita dò vita a voi, che d’altro, che de’ miei tormenti non vivete, hò dunque vita e per voi, e per me, talmente che posso uccidermi: ma si dice, che le ferite quando non toccano il cuore non son mortali, dunque non saranno mortali le mie, essendoche i’ non hò cuore havendone fatto dono; ma (lasso me) ben vi feci dono del cuor mio; ma ’l vostro altero, e superbo non volendo, ch’altri albergasse, nell’honorata stanza del vostro seno fieramente lo discacciò, e rimandollo indietro, ond’egli pieno di vergogna, e di lagrime tornò all’usato suo luogo, e quivi addolorato stassi, dunque posso ferirmi, che le ferite saran mortali; ma, s’io mi ferisco che avverrà di voi, che siete; e bella; e viva nel cuor mio? morirete anche voi; ma perche sarebbe grandissimo errore il dar morte à così bella, e gratiosa Donna, io rimarrò d’uccidermi, affine ch’ella nella mia morte non muoia; dunque io perdono à questo seno per voi nell’istesa guisa, che Demetrio valorosissimo Capitano perdonò alla Città, di Rodi, e non la distrusse per riverenza, ch’egli portò ad un ritratto, ch’era quella Città fatto per man di Protogene, e data la differenza hò da farlo più di lui, poiche più val un’huomo, e una [p. 117v modifica]donna, che cento Città, e l’Artefice, che vi fece, e che vi pose nel cuor mio è stato Amore tanto più degno di Protogene, quanto sono più degni gli Iddij del Cielo de gli huomini della Terra. Chi vuol poi saper la differenza, ch’è da voi à quella imagine è un voler misurar l’immenso, e annoverar l’infinito; ma quando voi non foste nel mio petto non dovrei nè anche levarmi la vita, sapendo certo, che l’allegrezza della mia morte, vi torrebbe dal Mondo, dunque perche viviate, è ben, ch’io viva, ma se pur mi volete morto, eccovi il modo. Noi habbiamo infiniti essempi, che ci fan conoscere, che più facilmente si muore per allegrezza che per dolore. Hor, poiche voi chiaramente vedete, che ’l dolor dell’odio vostro non mi leva la vita, amatemi che l’allegrezza del vostro amore m’ucciderà senz’altro.