Lettere (Andreini)/Lettera CVII

CVII. Della ingratitudine.

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CVII. Della ingratitudine.
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Della ingratitudine.


H
ORA m’avveggo crudelissimo, & ingratissimo giovane, dell’error, ch’io ho fatto amandovi con tanto affetto, con quanto io v’ho amato, poiche l’amar cosa mortale, con tanta fede, con quanta per debito amar un Dio conviensi è cosa disdicevole à donna, che non in tutto di ragione sia priva. L’haver udito à dire, che chi promette e giura, non manca della promessa, e ’l giuramento mantiene, mi precipitò nel male insino ad hora da me sofferto. Voi prometteste, e giuraste d’amarmi fedelmente, e per ciò mi credei, che non doveste mancar della promessa, e che ’l giuramento vi fosse à cuore; ma ne rimasi grandemente ingannata. Dicesi ancora che chi è bello, e nobile non fa tradimento, nè si scorda de’ beneficij ricevuti, voi siete e bello, e nobile, e pur m’havete tradita, e pur vi siete scordato, de i tanti beneficij (ch’è pur forza il dirlo) ricevuti da me. Ah che maladetto sia quel giorno, che da prima vi conobbi, maladetti siano questi occhi miei, che de’ vostri tanto si compiacquero, maladetto sia questo mio cuore, che fu così facile à dar ricetto all’imagine vostra, e maladetto sia ’l mio nascimento, poiche sol nacqui per morir disperata. Discortese, ben è vero, che ’l vostro non fu amore; ma furore. Oh potess’io col proprio sangue cancellar l’odiosa memoria di quel, che per voi un tempo

[p. 102v modifica]ho fatto, certo, che se non fosse il contento, ch’io ho nel trovarmi libera da quell’indegno laccio, che già m’avvinse, dubiterei nuova Hecuba di convertirmi in rabbia. Forse vi credeste, ch’io dovessi amarvi mentre durava il corso di mia vita, senza mai ritrar il piede dall’infelice sentiero, ch’io segnai nel seguirvi? Oh come erraste. Troppo, troppo si disdice ad un cuor non vile il pensare, non che ’l penare, per huomo ingrato, come voi siete. O giuditiosissimi Persi quanto ben faceste, quando formaste quella giustissima legge contr’à gl’ingrati. Voi pur ordinaste, che fossero irremisibilmente puniti, conoscendo, che l’ingratitudine è un’ingiustitia crudelissima, un’aspra nemica della Natura, e del Cielo, una vera morte della virtù, e di tutte le buone opere, & una distruggitrice della bontà. Deh perche non poss’io qual giudice Persiano punirvi, che molto volontieri ’l farei; ma poiche non posso, potrò almeno odiarvi. Ah, che s’ogni persona giuditiosa si disponesse (come dovrebbe) d’odiar gli ingrati, certo che sarebbono anche à bastanza puniti, poiche non trovando essi alcuno, che gli amasse, diverrebbono à lor medesimi odiosi. Io v’odierò dunque il rimanente di mia vita, ilche tanto più mi sarà facile, quanto più vi conosco indegno d’esser amato.