Lettere (Andreini)/Lettera CIII

CIII. Dell’amar donna di gran merito.

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CIII. Dell’amar donna di gran merito.
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Dell’amar donna di gran merito.


C
OLVI, che con occhio amante non vi mira, non merita, che ’l bell’occhio del Cielo per lui risplenda, e si può dir, ch’egli non habbia anima, e se pur l’hà, ch’abbia il cuore di freddissimo scoglio. Hor’io, c’hò l’anima, e che non traggo il cuore dal rigore de gli scogli, con occhio amante vi miro, & ammiro, onde non sarò indegno della luce del Sole, tanto più quant’ardo così volentieri per voi, ch’io anzi eleggerei che fiamma del Cielo terminasse la vita mia, che s’estinguessero quelle, che soavemente m’incendono. Credete dunque cuor mio,

[p. 97v modifica]che m’è più caro l’amarvi, che ’l vivere, tutto che amandovi io sia diversamente felice, e sfortunato. Veramente io son felice, e tale mi confesso, essendo nato per servir una donna così bella, e così meritevole, che si può dir, che ella sia il più ricco, e ’l più pretioso tesoro, ch’abbia la terra: e certo che non può agguagliarsi piacer alcuno quà giù alla soavità de’ suoi sguardi i quali rapiscono mirabilmente le anime dai petti. Questo è quel bene, che mi fa riputar felice amando, conoscendo chiaramente ch’io amo la stessa perfettione, e nel colmo de i maggior mali, che prova un cuor amante, questa bella rimembranza mi fà appieno contento. Non son’io dunque felice amando donna sì degna? e non sarei molto più felice, s’io morissi amando? ma dall’altra parte, se l’amar un suggetto tanto nobile è cagione della mia felicità, e parimente cagione della mia infelicità; talmente che quello, che mi giova m’offende, e posso dire, che dalla mia gioia nasca il mio dolore, dal mio riposo la mia fatica, dal mio contento il mio martire, dalla mia pace la mia guerra, dalla mia vittoria la mia perdita, dalla mia luce le mie tenebre, dal mio tesoro la mia povertà, dal mio bene il mio male, e ’n somma dalla mia vita la mia morte; onde ben veggo, che se le mie gioie, & i miei martiri si mettessero nelle bilancie di quel savio Greco, nelle quali dicono, che si ponderava il ben, e ’l male, starebbono senza dubbio del pari. E non è forse troppo grave infelicità l’amar una donna di tanto merito com’io fò, per cui vivo in continue lagrime, e ’n perpetuo timore di perderla? [p. 98r modifica]Misero io ben conosco, che folle, e temerario ardire mi fè intraprender un’impresa tant’alta. Veggo ben io, ch’è stato troppo sublime il volo de’ miei pensieri. Oh quante volte ragionando meco medesimo dico, folle che fai? che pensi? sopra qual base fondi tu le tue vane speranze? par egli à te convenevole amar donna, che di tanto avanza la tua fortuna, e ’l tuo merito? non t’accorgi infelice di tant’altri à te superiori di qualità, che ardono dell’istesso fuoco, onde sfavilli teco, desiderosi di quel bene, che ti tormenta? e credi (stolto) che quello, ch’è à lor negato à te si debba concedere? eh lascia, lascia hoggimai la folle impresa, nella qual inconsideratamente se’ entrato, e credi, che niuna cosa, che tù sij per fare potrà darti vinta la gratia di tant’alta donna. A questo si fà incontro un’ardito, e forte pensiero, che tutti gli altri abbatte, e discaccia, ilqual mi ragiona, e dice, ch’essendo amor premio d’amore, e non di tesori, o di grandezze, non sarà mai alcuno, che meglio di me acquisti l’amor di tanta Donna, poiche alcuno non l’amerà mai al par di me, e questo, perche ne gli altri non và del pari l’effetto con la cagione, & io sò, che ’n me tant’è fuoco quant’è in voi bellezza, e sì come non si trova donna, che pareggi la vostra bellezza, così non si troverà mai amante, ch’arda meco di fiamma eguale.