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D’ISABELLA ANDREINI. 97

mente mi dolsi, hò più dolore d’essermi doluto, ch’io non hò dell’istesso dolor, ch’io sostengo, posciache i travagli de i veri amanti, fanno la gloria della lor servitù più bella; & hora che con occhio di prudenza guardo al mio felice stato, scorgo, che niuna cosa mi potrebbe esser noiosa fuor, che ’l veder que’ begli occhi far copia ad altrui delle lor fiamme, e delle lor saette. Dunque, se mai avverrà (ilche tolga Amore) che vi cada in animo Signora mia, che gli occhi vostri saettino, o feriscano, per alcun tempo altro amante, vi prego quanto posso, e quanto sò, che non vogliate farlo; e se pur vorrete ferir, & ardere volgetevi à me, feritemi, & ardetemi fin c’havro cuore per le vostre saette, & anima per le vostre fiamme.


Dell’amar donna di gran merito.


C

OLVI, che con occhio amante non vi mira, non merita, che ’l bell’occhio del Cielo per lui risplenda, e si può dir, ch’egli non habbia anima, e se pur l’hà, ch’abbia il cuore di freddissimo scoglio. Hor’io, c’hò l’anima, e che non traggo il cuore dal rigore de gli scogli, con occhio amante vi miro, & ammiro, onde non sarò indegno della luce del Sole, tanto più quant’ardo così volentieri per voi, ch’io anzi eleggerei che fiamma del Cielo terminasse la vita mia, che s’estinguessero quelle, che soavemente m’incendono. Credete dunque cuor mio,


Bb          che