che m’è più caro l’amarvi, che ’l vivere, tutto che amandovi io sia diversamente felice, e sfortunato. Veramente io son felice, e tale mi confesso, essendo nato per servir una donna così bella, e così meritevole, che si può dir, che ella sia il più ricco, e ’l più pretioso tesoro, ch’abbia la terra: e certo che non può agguagliarsi piacer alcuno quà giù alla soavità de’ suoi sguardi i quali rapiscono mirabilmente le anime dai petti. Questo è quel bene, che mi fa riputar felice amando, conoscendo chiaramente ch’io amo la stessa perfettione, e nel colmo de i maggior mali, che prova un cuor amante, questa bella rimembranza mi fà appieno contento. Non son’io dunque felice amando donna sì degna? e non sarei molto più felice, s’io morissi amando? ma dall’altra parte, se l’amar un suggetto tanto nobile è cagione della mia felicità, e parimente cagione della mia infelicità; talmente che quello, che mi giova m’offende, e posso dire, che dalla mia gioia nasca il mio dolore, dal mio riposo la mia fatica, dal mio contento il mio martire, dalla mia pace la mia guerra, dalla mia vittoria la mia perdita, dalla mia luce le mie tenebre, dal mio tesoro la mia povertà, dal mio bene il mio male, e ’n somma dalla mia vita la mia morte; onde ben veggo, che se le mie gioie, & i miei martiri si mettessero nelle bilancie di quel savio Greco, nelle quali dicono, che si ponderava il ben, e ’l male, starebbono senza dubbio del pari. E non è forse troppo grave infelicità l’amar una donna di tanto merito com’io fò, per cui vivo in continue lagrime, e ’n perpetuo timore di perderla?