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D’ISABELLA ANDREINI. 98

Misero io ben conosco, che folle, e temerario ardire mi fè intraprender un’impresa tant’alta. Veggo ben io, ch’è stato troppo sublime il volo de’ miei pensieri. Oh quante volte ragionando meco medesimo dico, folle che fai? che pensi? sopra qual base fondi tu le tue vane speranze? par egli à te convenevole amar donna, che di tanto avanza la tua fortuna, e ’l tuo merito? non t’accorgi infelice di tant’altri à te superiori di qualità, che ardono dell’istesso fuoco, onde sfavilli teco, desiderosi di quel bene, che ti tormenta? e credi (stolto) che quello, ch’è à lor negato à te si debba concedere? eh lascia, lascia hoggimai la folle impresa, nella qual inconsideratamente se’ entrato, e credi, che niuna cosa, che tù sij per fare potrà darti vinta la gratia di tant’alta donna. A questo si fà incontro un’ardito, e forte pensiero, che tutti gli altri abbatte, e discaccia, ilqual mi ragiona, e dice, ch’essendo amor premio d’amore, e non di tesori, o di grandezze, non sarà mai alcuno, che meglio di me acquisti l’amor di tanta Donna, poiche alcuno non l’amerà mai al par di me, e questo, perche ne gli altri non và del pari l’effetto con la cagione, & io sò, che ’n me tant’è fuoco quant’è in voi bellezza, e sì come non si trova donna, che pareggi la vostra bellezza, così non si troverà mai amante, ch’arda meco di fiamma eguale.


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