Leonardo prosatore/Lettere e spunti autobiografici

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LETTERE

E SPUNTI AUTOBIOGRAFICI




A Ludovico il Moro.1

Avendo, Signor mio Illustrissimo, visto e considerato oramai a sufficienzia le prove di tutti quelli che si reputano maestri e compositori de instrumenti bellici, e che le invenzione e operazione di dicti instrumenti non sono niente aliene dal comune uso, mi esforzerò, non derogando a nessuno altro, farmi intender da V. Eccellenzia, aprendo a quella li secreti mei, e appresso offerendoli ad ogni suo piacimento in tempi opportuni, operare con effecto circa [p. 258 modifica] tutte quelle cose che sub brevità in parte saranno disotto notate:

1. Ho modi de ponti leggerissimi e forti, e atti a portare facilissimamente, e con quelli seguire, e alcuna volta fuggire li inimici, e altri securi e inoffensibili da foco e battaglia, facili e commodi da levare e porre. E modi de ardere e disfare quelli de l’inimico.

2. So in la obsidione de una terra toglier via l’acqua de’ fossi, e fare infiniti ponti, gatte, e scale e altri instrumenti pertinenti a dicta espedizione.

3. Item, se per altezza de argine, o per fortezza di loco e di sito, non si potesse in la obsidione de una terra usare l’officio de le bombarde, ho modi di ruinare omni rocca o altra fortezza, se già non fusse fondata in su el sasso.

4. Ho ancora modi de bombarde comodissime e facile a portare, e con quelle buttare minuta tempesta; e con el fumo di quella dando grande spavento all’inimico, con grave suo danno e confusione.

5. E quando accadesse essere in mare, ho modi de molti instrumenti actissimi da offender e defender e navili che faranno resistenzia al trarre de omni grossissima bombarda e polvere e fumi.

6. Item, ho modi, per cave e vie secrete e distorte, facte senza alcuno strepito, per venire ad uno certo2 [luogo] e disegnato, ancora che bisognasse passare sotto fossi o alcuno fiume. [p. 259 modifica]

7. Item, farò carri coperti, securi e inoffensibili, e quali intrando intra li inimici con sue artiglierie, non è si grande multitudine di gente d’arme che non rompessino. E dietro a questi poteranno seguire fanterie assai, illese e senza alcuno impedimento.

8. Item, occurrendo di bisogno, farò bombarde, mortari e passavolanti di bellissime e utile forme, fora del comune uso.

9. Dove mancassi la operazione de le bombarde, componerò briccole, mangani, trabucchi, e altri instrumenti di mirabile efficacia, e fora dell’usato; e, insomma, secondo la varietà de’ casi, componerò varie e infinite cose da offender e difendere.

10. In tempo di pace credo satisfare benissimo a paragone de onni altro in architectura, in composizione di edifici e pubblici e privati, e in conducer acqua da uno loco ad un altro. Item, conducerò in sculptura di marmore, di bronzo e di terra, similiter in pictura, ciò che si possa fare a paragone de onni altro, e sia chi vole. Ancorà si poterà dare opera al cavallo di bronzo, che sarà gloria immortale e eterno onore de la felice memoria del Signor vostro patre e de la inclita casa Sforzesca.

E se alcuna de le sopra dicte cose a alcuno paresse impossibile e infactibile, me offero paratissimo [p. 260 modifica]a farne esperimento in el parco vostro, o in qual loco piacerà a Vostr’Eccellenzia, a la quale, umilmente, quanto più posso me recomando.

Nota del 23 aprile 1490.

A dì 23 aprile 1490 comincia’ questo libro e ricominciai il cavallo3.

Jacomo venne a stare con meco il dì della Maddalena nel 1490, d’età d’anni 10.

ladro
bugiardo
ostinato
ghiotto
Il secondo dì li feci tagliare due camicie, uno paro di calze e un giubone, e, quando mi posi i dinari a lato per pagare dette cose, lui mi rubò detti dinari della scarsella, e mai fu possibile fargliele confessare, ben ch’io n’avessi vera certezza. — Lire 4.

Il dì seguente andai a cena con Jacomo Andrea4, e detto Jacomo cenò per due e fece male per quattro, imperocchè ruppe tre ampolle, versò il vino, e dopo questo, venne a cena dove me. [p. 261 modifica]

Item, a dì 7 settembre rubò uno graffio di valuta di 12 soldi a Marco5, che stava co’ meco, il quale era d’argento, e tolseglielo dal suo studiolo, e poi che detto Marco n’ebbi assai cerco, lo trovò nascosto in nella cassa di detto Jacomo. — Lire 1, s. di L. 2.6

Item, a di 26 dì genaro seguente, essendo io in casa di Messer Galeazzo da Sanseverino a ’rdinare la festa della sua giostra, e spogliandosi certi staffieri, per provarsi alcune veste d’omini salvatichi, ch’a detta festa accadeano7, Jacomo s’accostò alla scarsella d’uno di loro, la quale era in sul letto con altri panni, e tolse quelli dinari che dentro vi trovò. L. 2, s. di L. 4.

Item, essendomi da maestro Agostino da Pavia8, donato in detta casa una pelle turchesca da fare uno paro di stivaletti, esso Jacomo, infra uno mese, me la rubò e vendella a un acconciatore di scarpe per [p. 262 modifica] 20 soldi, de’ qua’ dinari, secondo che lui propio mi confessò, ne comprò anici, confetti. L. 2.

Item, ancora a di 2 d’aprile, lasciando Gian Antonio9 uno graffio d’argento sopra uno suo disegno, esso Jacomo glielo rubò, il quale era di valuta di soldi 24, L. 1, s. di L. 4.

Il primo anno un mantello: L. 2; camicie 6: L. 4; tre giubboni: L. 6; para di calze: L. 7, s. di L. 8; vestito foderato: L. 5; 24 para di scarpe: L. 6 s. d. L. 5; una berretta: L. 1; in cinti, stringhe... L. 1.

A Ludovico il Moro.

Assai m’incresce che l’avere a guadagnare el victo m’abbi a interrompere il seguitare l’opera che già Vostra Signoria mi commise10; ma spero in breve avere guadagnato tanto, che potrò sadisfare ad animo riposato a Vostra Eccellenza, alla quale mi raccomando. E se Vostra Signoria si credessi ch’io avessi dinari, quella s’ingannarebbe, perchè ho tenuto sei bocche trentasei mesi e ho auto cinquanta ducati! [p. 263 modifica]

Ai Fabbriceri del Duomo di Piacenza.

La principale parte che per le città si ricerchi si sono i domi di quelle, delli quali appressatosi, le prime cose che all’occhio appariscano sono le porte donde in esse chiese passare si possa.

Guardate, Signori Fabbricieri, che la troppa celerità del volere voi con tanta prestezza dare ispedizione alla locazione di tanta magnia opera, quanto io sento per voi s’è ordinata, non sia cagione che quello che, per onore di Dio e delli omini si fa, non torni in gran disonore de’ vostri iudizi e della vostra città, dove, per essere terra degna e di passo, è concorso d’innumerabili forestieri. E questo disonore accaderebbe quando per le vostre indiligenzie voi prestasti fede a qualche vantato[re] che per le sue frappe o per favore che di qua dato li fussi, da voi avessi a impetrare simile opera, per la quale a sè e a voi avessi a partorire lunga e grandissima infamia; che non posso fare che io non mi iscrucci a ripensare quali omini sieno quelli che con me abbino conferito volere in simile impresa entrare, sanza pensare alla loro soffizienzia, sanza dirne altro: chi è maestro da boccali, chi di corazze, chi campanaro, alcuno sonaglieri, e insino a bombardiere, fra i quali uno del signore s’è vantato che tra l’essere lui compare de Messere Ambrosio ferrere che à qualche commessione, dal quale lui à buone promessioni, e se quello non basterà, che [p. 264 modifica] monterà a cavallo, e andrà dal signore e impetrerà tale lettere che per voi mai simile opera non gli sia dinegata. Mo’ guardate dove i miseri studiosi atti a simile opere sono ridotti, quando con simili omini hanno a gareggiare! con che speranza e’ possano aspettare premio di lor virtù? aprite li occhi e vogliate ben vedere che i vostri dinari non si spendino in comprare le vostre vergogne. Io vi so annunziare che di questa terra voi non trarrete se non è opere di sorte e di vili e grossi magisteri; non c’è omo che vaglia e credetelo a me, salvo Lonar Fiorentino che fa il cavallo del duca Francesco di bronzo, che non ne bisogna fare stima, perche ha che fare il tempo di sua vita, e dubito che per l’essere si grande opera nolla finirà mai.


Ecci uno il quale il signore per fare questa sua opera ha tratto di Firenze, che è degno maestro, ma ha tanta tanta faccenda, nolla finirà mai.

Che credete voi che differenzia sia a vedere una cosa bella da una brutta? Allega Plinio11. [p. 265 modifica]

Al cardinale Ippolito d’Este.

Pochi giorni sono ch’io venni da Milano, e trovando che uno mio fratello maggiore non mi vuol servare uno testamento facto da tre anni in qua che è morto nostro padre; ancor che la ragione sia per me, nondimeno per non mancare a me medesimo in una cosa che io stimo assai, non ho voluto ommettere di richiedere la R.ma V. S. di una lettera commendatizia e di favore qui a el Signor Rafaello Ieronimo, che è al presente uno de’ nostri eccelsi Signori, ne’ quali questa mia causa si agita, e particularmente è suta dall’Eccellenzia del Gonfaloniere rimessa nel prefato Signor Raffaello, e sua Signoria la ha a decidere e terminare prima venga la festa di tutti e santi. E però, Monsignor mio, io prego quanto più so e posso V. R. S. che scriva una lettera qui al decto Signor Rafaello, in quel destro e affettuoso modo che lei saprà, raccomandandoli Leonardo Vincio svisceratissimo servitore suo, come mi appello, e sempre voglio essere, ricercandolo, e gravandolo mi voglia fare non solo ragione, ma espedizione favorevole, e io non dubito punto per molte relazioni mi son facte che, sendo el signor Rafaello a V. S. affezionatissimo, la cosa mi succederà ad votū. Il che attribuirò a la lettera di V. R. S. a la quale iterum mi racomando. Et bene valeat.

Florentie XVIIIª 7bris 1507

E. D. R. D. S.tor Humil.
Leonardus Vincius pictor12
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Magnifico Signore13...

Mo Signore mio, l’amore che V. Eccellenzia m’ha sempre dimostro, e benefizi ch’io ho ricevuti da quella al continuo mi son dinanzi.

Io ho sospetto che la poca remunerazion de’ gran benefizi ch’io ho ricevuti da Vostra Eccellenzia, non v’abbino fatto alquanto turbare con meco; e questo è che di più lettere che io ho scritte a V. Eccellenzia i’ non ho mai auta risposta. Ora io mando costì Salai per fare intendere a V. Signoria come io son quasi al fine del mio letigio co’ mia fratelli, e come io credo essere costì in questa Pasqua, e [p. 267 modifica] portare con meco due quadri, dov’è su due Nostre Donne di varie grandezze, le quali io ho cominciate pel Cristianissimo Re o per chi a voi piacerà. Arei ben caro di sapere, alla mia tornata di costà, dove io ho a stare per istanzia, perchè non vorrei dare più noia a V. Signoria; e ancora, avendo io lavorato pel Cristianissimo Re, se la mia provvisione è per correre o no. Io scrivo al Presidente di quell’acqua che mi donò il Re, della quale non fui messo in possessione, per esserne carestia nel Navilio, per causa de’ gran secchi, e perchè i sua bocchegli non eran moderati; ma ben mi promise che, fatta tal moderazione, ne sarei messo in possessione14; si che io vi priego che scontrandosi in esso Presidente, non v’incresca che, ora che tali bocchelli son moderati, di ricordare a detto Presidente di farmi dare la possessione d’essa acqua, che mi parve intendere che in gran parte stava a lui. Altro non mi accade. I’ sono sempre a’ vostri comandi.

Al Presidente dell'Ufficio regolatore del Navilio.

Magnifico Presidente, essendomi io più volte ricordato delle profferte fattemi da Vostra Eccellenzia, [p. 268 modifica] più volte ho preso sicurtà di scrivere, e di ricordare a quella la promessa fattami a l’ultima partita, cioè la possessione di quelle dodici oncie d’acqua donatemi dal Cristianissimo Re. Vostra Signoria sa che io non entrai in essa possessione, perchè in quel tempo ch’ella mi fu donata era carestia d’acqua nel Navilio, sì pel gran secco, come pel non essere ancora moderati li sua bocchelli; ma mi fu promesso da Vostra Eccellenzia che, fatta tal moderazione, io avrei l’antento mio. Di poi, intendendo essere acconcio il Navilio, io scrissi più volte a V. S. e a Messer Girolamo da Cusano, che ha appresso di sè la carta di tal donazione, e così scrissi al Corigero, e mai ebbi risposta. Ora io mando costì Salai, mio discepolo, apportatore di questa, al quale V. S. potrà dire a bocca tutto quel ch’è seguito, della qual cosa i’ priego Vostra Eccellenzia.

A Messer Francesco Melzi.

Buon dì, messer Francesco, puollo fare Iddio che, di tante lettere ch’io v’ho scritto, che mai voi no m’abbiate risposto? Or aspettate ch’io venga costà, per Dio, ch’io vi farò tanto scrivere, che forse vi rincrescerà.

Caro mio messer Francesco, io mando costì Salai, per intendere della Magnificenzia del Presidente che fine ha uta quella moderazione dell’acqua, che alla mia partita fu ordinata per li bocchelli del Navilio; [p. 269 modifica] perchè el Magnifico Presidente mi promise che subito fatta tal moderazione, io sarei spedito. Ora egli è più tempo che io intesi che ’l Navilio s’acconciava e similmente i sua bocchelli, e immediate scrissi al Presidente e a Voi, e poi ripricai, e mai ebbi risposta. Adunque voi degnerete di rispondermi quel ch’è seguito, e, non essendo per ispedirsi, non v’incresca per mio amore, di sollecitarne un poco il Presidente e così Messer Girolamo da Cusano, al quale voi mi raccomanderete, e offereretemi a Sua Magnificenzia.

Abbozzi di lettere a Giuliano de’ Medici.15

Io ho uno che, per aversi di me promesso cose assai men che debite, essendo rimasto ingannato del suo presuntuoso desiderio, ha tentato di tormi tutti li amici, e perchè li ha trovati savi e non leggeri al suo volere, mi ha minacciato che troverà tale . . . . . . che mi torrà e benifactori; onde io ho di questo informato Vostra Signoria, acciò che, volendo questo seminare li usati scandoli, non trovi terreno atto a seminare, a ricevere li pensieri e li atti delle sua mala natura, che, tentando lui fare di Vostra Signoria strumento della sua iniqua e malvagia natura, rimanga ingannato di suo desiderio16. [p. 270 modifica]

Andava a mangiare colla guardia17, dove, oltre allo star due o tre ore a tavola, ispessissime volte il rimanente del giorno era consumato coll’andare in collo scoppietto ammazzando uccelli per queste anticaglie18.

E se nessuno de’ mia entrava in bottega, e’ faceva lor rabuffi, e, se alcun lo riprendeva, elli dideva che lavorava per il guarderoba, e nettare armadure e scoppietti.

Alli danari subito il principio del mese sollecitissimo a riscoterli.

E per non essere sollecitato lasciò la bottega, e se ne fece una in camera, e lavorava per altri...

Vedendo io costui rare volte stare a bottega, e che consumava assai, io li feci dire che, se li piaccia, che i’ farei co’ lui mercato di ciascuna cosa che lui facessi, e a stima, e tanto li darei quanto noi fussimo d’accordo; elli si consigliò col vicino19 e lasciolli la stanzia, vendendo ogni cosa, e venne a trovare...

Quest’altro m’ha impedito l’anatomia col Papa, [p. 271 modifica] biasimandola, e così allo spedale, e empiè di botteghe da specchi tutto questo Belvedere e lavoranti20, e così ha fatto nella stanzia di maestro Griorzo.

Questo non fece opera nessuna, che ogni giorno non conferissi con Giovanni, el quale le bandiva e bandiva per la terra, dicendo lui esser maestro di tale arte, e quel che lui non intendeva diceva io non sapere quello che far mi volessi, accusando me della sua ignoranza.

Non posso per via di costui far cosa segreta, perchè quell’altro li è sempre alle spalle, perchè l’una stanza riesce nell’altra.

Ma tutto il suo intento era insignorirsi di quelle due stanze per far lavorar di specchi.

E s’io li mettevo a fare la mia centina, ella si pubricava, etc.

Disse che otto ducati li fu promesso ogni mese, cominciando il primo dì che si mise in via, o, il più tardo, quando e’ vi parlò, e che voi l’accettasti, e....


Tanto mi son rallegrato, illustrissimo mio Signore, del desiderato acquisto di vostra sanità, che quasi il male mio da me s’è fuggito. Ma assai mi rincresce il non avere io potuto integralmente sadisfare alli desideri di Vostra Eccellenza, mediante [p. 272 modifica] la malignità di cotesto ingannatore tedesco; per il quale non ho lasciato indirieto cosa alcuna, colla quale io abbia creduto farli piacere. E prima invitarlo ad abitare e vivere con meco, per la qual cosa io vedrei al continuo l’opra che lui facessi, e con facilità ricorreggere' li errori, e oltre a di questo imparerebbe la lingua italiana, mediante la quale lui con facilità potrebbe parlare sanza interprete. E prima li sua dinari li furon sempre dati innanzi al tempo al tutto. Di poi, la richiesta di costui fu di avere li modelli finiti di legname, com’ellino aveano a essere di ferro, e quali volea portare nel suo paese; la qual cosa io li negai, dicendoli ch’io li darei in disegno la larghezza lunghezza e grossezza e figura di ciò ch’elli avesse a fare; e così restammo mal volentieri.

La seconda cosa fu che si fece un’altra bottega, e nuove morse e strumenti nella camera dove dormiva, e quivi lavorava per altri; dipoi andava a desinare co’ Svizzeri della guardia, dove sta gente sfaccendata, della qual cosa lui tutti li vinceva. Di lì se ne usciva e ’l più delle volte se n’andavan dua o tre di loro, colli scoppietti, ammazzando uccelli per le anticaglie, e questo durava insino a sera.

Ai Signori padri diputati21.

Signori padri diputati, sì come ai medici, tutori, curatori de li ammalati, bisogna intendere che cosa [p. 273 modifica] è omo, che cosa è vita, che cosa è sanità, e in che modo una parità, una concordanza d’elementi la mantiene, e così una discordanza di quelli la ruina e disfà, e conosciuto ben le sopra dette nature, potrà meglio riparare che chi n’è privato...

Voi sapete le medicine, essendo bene adoperate, rendon sanità ai malati, e quello che bene le conosce, ben l’adoprerà, quando ancora lui conoscerà che cosa è omo, che cosa è vita e complessione, che cosa è sanità; conoscendo queste, bene conoscerà i sua contrari; essendo così, più visino sarà al riparo ch’alcun altro. Questo medesimo bisogna al malato domo, cioè uno medico architetto, che ’ntenda bene che che cosa è edificazio, e da che regole il retto edificare diriva, e donde dette regole sono tratte, e ’n quante parte sieno divise, e quale sieno le cagione che tengano lo edifizio insieme, e che lo fanno permanente, e che natura sia quella del peso, e quale sia il disiderio de la forza, e in che modo si debbono contessere e collegare insieme, e congiunte che effetto partorischino. Ohi di queste sopra dette cose arà vera cognizione, vi lascierà di sua rason e opera sadisfatto.

Onde con questo io m’ingegnerò, non ditraendo, non infamando alcuno, di saddisfare in parte con ragioni e in parte coll’opere, alcuna volta dimostrando li effetti per le cagioni, alcuna volta affermando le ragioni colle sperienze, queste accomodando alcuna alturità de li architetti antichi, le pruove de li edifizi fatti, e quali siano le ragioni di lor ruina e di lor permanenzia ecc. [p. 274 modifica]

E con quelle dimostrarò qual’è prima del carico, e quale e quante sieno le cagioni che danno ruina a li edifizi, e quale è il modo della loro stabilità e permanenza.

Ma per non essere prolisso a Vostre Eccellenze, dirò prima la invenzione de ’l primo architetto del domo, e chiaramente vi dimosterò qual fossi sua intenzione, affermando quella collo principiato edifizio; e facendovi questo intendere, chiaramente potrete conoscere il modello da me fatto avere in sè quella simetria, quella corrispondenzia, quella conformità, quale s’appartiene al principiato edifizio.

Che cosa è edifizio e donde le regole del retto edificare hanno dirivazione, e quante e quali sieno le parte appartenente a quelle.

O io, o altri che lo dimostri me’ di me, pigliatelo, mettete da canto ogni passione.

A un fratello.

Amatissimo mio fratello. Solo questa per avisarti come ne’ di passati io ricevetti una tua, per la quale io intesi tu avere avuto erete, della quale cosa intendo come hai fatto strema allegrezza: il che, stimando io tu essere prudente, al tutto son chiaro come i’ sono tanto alieno da l’avere bono giudizio, quanto tu dalla prudenza; con ciò sia che tu ti se’ rallegrato d’averti creato un sollecito nemico, il quale con tutti li sua sudori disidererà libertà, la quale non sarà sanza tua morte.



Note

  1. In questa lettera (1483?) il Vinci offre le sue molteplici abilità a Ludovico il Moro, mettendo in prima linea — s’osservi bene — le sue geniali invenzioni nell’ingegneria militare e civile, non il suo sapere artistico.
  2. Le parole: ad uno certo sono (Codice Atlantico 391 r.) cancellate; luogo omesso. Ma certo il passo va ricostruito secondo il senso che dà la cancellatura; non come finora è stato dai più dato: «sanza alcuno strepito per venire designato».
  3. Il monumento equestre a Francesco Sforza.
  4. Giacomo Andrea da Ferrara architetto e «accuratissimo sectatore delle opere di Vitruvio», scienziato, ma non scrittore di scienza, entrò nella corte milanese verso il 1480. Fu amicissimo del Vinci. Gian Giacomo Trivulzio, entrato in Milano il 15 aprile 1500, a capo dei Francesi, faceva incarcerare e poi decapitare e squartare Giacomo Andrea, colpevole d’esser rimasto fedele a Ludovico e d’avergli reso possibile il ritorno in Milano.
  5. Probabilmente, Marco d’Oggionno, uno dei discepoli prediletti del Vinci, pittore di fama, di cui una bella tavola: Gli Arcangeli vincitori di Satana, si può ammirare a Brera.
  6. Quanto fin qui Leonardo racconta del servo fanciullo è accaduto in Pavia, di dove egli era richiamato l’8 settembre 1490, per aver parte nell’ordinare le feste per le nozze di Lodovico il Moro con Beatrice d’Este e di Anna Sforza con Alfonso d’Este. La giostra in casa di messer Galeazzo da Sanseverino è un particolare vinciano di quegli sfarzosi divertimenti.
  7. Occorrevano.
  8. Agostino Vaprio da Pavia. Pittore pavese di cui qualche pittura è conservata nelle chiese di quella città. Insieme col Vinci fu chiamato da Pavia a Milano l’8 sett. 1490.
  9. Probabilmente, Gian Antonio Boltraffio, discepolo del Vinci, e pittore celebri di soavi Madonne.
  10. La statua equestre a Francesco Sforza. Questo frammento prova che Ludovico non sempre trattava munificamente l’artista.
  11. In questi abbozzi di lettera ai Fabbriceri del Duomo di Piacenza per l’allogazione delle porte di bronzo, il Vinci par scrivere in nome d’un’altra persona, ma non è facile supporre chi potesse essere e neppur si può fissare la data in cui questa lettera fu scritta.
  12. La lettera è diretta a Ippolito d’Este e chiede un appoggio presso Raffaello Girolami ch’era priore della Signoria, per sbrigare presto la causa contro i fratelli che si svolgeva a Firenze. Sul finire della primavera del 1507, tre anni dopo la morte del padre, da cui per la nascita illegittima non aveva ereditato un soldo, il Vinci venne a sapere che i suoi sette fratelli non volevano osservargli il testamento fatto dallo zio Francesco in suo favore. L’eredità era cosa irrisoria, ma il Vinci sostenne la causa con ardore, facendone una questione d’amor proprio. Per essa da Milano — dov’era al servizio di Luigi XII — nel luglio 1507, andò a Firenze, dove stette fino alla Pasqua del 1508, ottenendo un tratto di terreno vicino a Fiesole.
  13. Non si sa precisamente a chi diretta. Il Solmi la crede rivolta a Carlo D’Amboise signore di Chaumont, governatore di Milano per Luigi XII, ma dopo le parole: Magnifico Signore, sul Codice Atlantico è — cancellato — un altro nome: Anton Maria. Fu scritta certo prima del ritorno da Firenze a Milano, ossia prima della Pasqua 1508.
  14. Luigi XII nella primavera del 1507 gli aveva promesso un dono di 12 once d’acqua sul Naviglio di San Cristoforo, appena cessata la siccità e compiuta la moderazione dei bocchelli.
  15. Scritti durante la dimora a Roma, presso il Magnifico Giuliano [1513-15].
  16. Primi avvertimenti indeterminati del Vinci a Giuliano contro il tedesco Giorgio, meccanico, che invece d’attendere all’opere affidategli da Leonardo, lavorava per conto suo o se la spassava alla mensa degli Svizzeri insieme con l’amico Giovanni degli Specchi, che pacificamente s’era installato con tutto il suo arsenale di specchi nella bottega ove avrebbe dovuto lavorare Giorgio.
  17. Giorgio tedesco. Vedi nota prec.
  18. Le rovine antiche di Roma.
  19. Giovanni degli Specchi.
  20. E empiè di botteghe e di lavoranti tutto questo Belvedere.
  21. Non si sa precisamente a chi sia rivolta questa lettera nè in che tempo.