Leggenda eterna/Risveglio/Il Canto dell'ironia
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IL CANTO DELL’IRONIA.
La tenebra scende; che importa?
Il canto — sia d’astri o d’aurore.
Assai fu nel tempo il dolore,
assai ci pascemmo di pianto!
Veloci precipitan gli anni?
Cantiamo — le rondini e il maggio:
non trilla il decrepito faggio
se un nido s’appende al suo ramo?
Di sogni così nella prona
mia testa — uno stormo annidò;
di dove migrati non so,
ma cantano e trillano a festa.
I larghi tripudi del vento,
i rivi — che il Maggio conduce
com’ebbri di gioia e di luce
tra un brivido d’erbe, pei clivi:
le notti stellate sul sonno
dei monti — al sereno albeggiare
l’odor delle selve, e sul mare
l’augusta beltà dei tramonti:
le cose possenti, le cose
gioconde — non altro essi sanno.
Che importa se chiude un inganno
l’azzurra innocenza dell’onde?
che importan gli abissi e che il sole
indori — ogni fango, e la fresca
ninfea l’acqua putrida cresca,
e strisci la biscia tra i fiori;
se tutte improvvisa dischiude
le porte — di luce, e il vitale
segreto del bene e del male
l’immensa bontà della morte?