Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568)/Antonello da Messina

Antonello da Messina

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Lazzaro Vasari Alesso Baldovinetti
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VITA D’ANTONELLO DA MESSINA

Pittore.


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Uando io considero meco medesimo le diverse qualità de’ benefizij, et utili, che hanno fatto all’arte della pittura molti Maestri, che hanno seguitato questa seconda maniera; non posso, mediante le loro operazioni, se non chiamarli veramente industriosi, et eccellenti, havendo eglino massimamente cercato di ridurre in miglior grado la pittura, senza pensare a disagio, o spesa, o ad alcun loro interesso particolare. Seguitandosi adunque di adoperare in su le tavole, et in sulle tele non altro colorito, che a tempera; il qual modo fu cominciato da Cimabue l’anno 1250. nello stare egli con que’ greci, e seguitato poi da Giotto, e da gl’altri de’ quali si è in sino a qui ragionato; si andava continuando il medesimo modo di fare se ben’ conoscevano gl’Artefici, che nelle pitture a tempera mancavano l’opere d’una certa morbidezza, e vivacità, che harebbe potuto arrecare, trovandola, piu grazia al disegno, vaghezza al colorito, e maggior facilità nell’unire i colori insieme; havendo eglino sempre usato di tratteggiare l’opere loro, per punta solamente di pennello. Ma se bene molti havevano, sofisticando, cercato di tal cosa, non però aveva niuno trovato modo, che buono fusse; ne usando vernice liquida o altra sorte di colori mescolati nelle tempere. E fra molti che cotali cose o altre simili provarono, ma invano, furono Alesso Baldovinetti, Pissello, et molti altri, a niuno de’ quali non riuscirono l’opere di quella bellezza, et bontà che si erano imaginato. E quando anco havessino quello, che cercavano, trovato, mancava loro il modo di fare, che le figure in tavola posassino, come quelle, che si fanno in muro, et il modo ancora di poterle lavare, senza che se n’andasse il colore, e che elle reggessino, nell’essere maneggiate, ad ogni percossa. Delle quali cose, ragunandosi buon numero d’Artefici, havevano senza frutto, molte volte disputato. Questo medesimo disiderio havevano molti elevati ingegni, che attendevano alla pittura fuor d’Italia, cio è i pittori tutti di Francia, Spagna, Alemagna et d’altre provincie. Avvenne dunque, stando le cose in questi termini, che lavorando in Fiandra Giovanni da Bruggia, pittore in quelle parti molto stimato, per la buona pratica, che si haveva nel mestiero acquistato; che si mise a provare diverse sorti di colori, e come quello, che si dilettava dell’archimia, a far di molti olij, per far vernici, et altre cose, secondo i cervelli degl’huomini sofistichi, come egli era. Hora havendo una volta fra l’altre durato grandissima fatica in dipignere una tavola, poi, che l’hebbe con molta diligenza condotta a fine, le diede la vernice, e la mise a seccarsi al sole, come si costuma. Ma, o perche il caldo fusse violente, o forse mal commesso il legname, o male stagionato, la detta tavola si aperse in sulle commettiture di mala sorte. Laonde, veduto Giovanni il nocumento, che le haveva fatto il caldo del sole, deliberò di far si, che mai piu gli farebbe il sole cosi gran danno nelle sue opere. E cosi recatosi non meno a noia la vernice, che il lavorare a tempera, cominciò a pensare di trovar modo di fare una sorte di vernice, che seccasse [p. 376 modifica]l’ombra, senza mettere al sole, le sue pitture. Onde poi che hebbe molte cose sperimentate, e pure, e mescolate insieme, alla fine trovò, che l’Olio di Seme di Lino, e quello delle Noci, fra tanti, che n’haveva provati, erano piu seccativi di tutti gl’altri. Questi dunque bolliti con altre sue misture, gli fecero la vernice, che egli, anzi tutti i pittori del mondo havevano lungamente disiderato. Dopo fatto sperienza di molte altre cose, vide, che il mescolare i colori con queste sorti d’olij, dava loro una tempera molto forte, e che secca non solo non temeva l’acqua altrimenti, ma accendeva il colore tanto forte, che gli dava lustro da per se senza vernice. E quello, che piu gli parve mirabile, fu che si univa meglio, che la tempera infinitamente. Per cotale invenzione rallegrandosi molto Giovanni, si come era ben ragionevole diede principio a molti lavori, et n’empié tutte quelle parti con incredibile piacere de’ popoli, e utile suo grandissimo, ilquale aiutato di giorno in giorno dalla sperienza, andò facendo sempre cose maggiori, et migliori. Sparsa non molto dopo la fama dell’invenzione di Giovanni, non solo per la Fiandra, ma per l’Italia, et molte altri parti del mondo, mise in disiderio grandissimo gl’Artefici di sapere in che modo egli desse all’opere sue tanta perfezzione. I quali Artefici perche vedevano l’opere, e non sapevano quello, che egli si adoperasse, erano costretti a celebrarlo, e dargli lode immortali, et in un medesimo tempo virtuosamente invidiarlo, e massimamente, che egli per un tempo non volle da niuno esser veduto lavorare, ne insegnare a nessuno il segreto. Ma divenuto vecchio, ne fece grazia finalmente a Ruggieri da Bruggia suo creato, e Ruggieri ad Ausse suo Discepolo, et agl’altri, de’ quali si parlò, dove si ragiona del colorire a olio nelle cose di pittura. Ma con tutto cio, se bene i Mercanti ne facevano incetta, e ne mandavano per tutto il mondo a Principi, e gran personaggi con loro molto utile, la cosa non usciva di Fiandra. Et ancora, che cotali pitture havessino in se quell’odore acuto, che loro davano i colori, e gli olij mescolati insieme, e particularmente quando erano nuove; onde pareva, che fusse possibile conoscergli, non però si trovò mai nello spazio di molti anni. Ma essendo da alcuni Fiorentini, che negoziavano in Fiandra, et in Napoli, mandata al Re Alfonso primo di Napoli una tavola con molte figure lavorata a olio da Giovanni, laquale, per la bellezza delle figure, e per la nuova invenzione del colorito fu a quel Re carissima, concorsero quanti pittori erano in quel regno per vederla, e da tutti fu sommamente lodata. Hora havendo un’Antonello da Messina, persona, di buono, e desto ingegno, et accorto molto, e pratico nel suo mestiero atteso molti anni al disegno in Roma, si era prima ritirato in Palermo, e quivi lavorato molti anni, et in ultimo a Messina sua patria, dove haveva con l’opere confirmata, la buona openione che haveva il paese suo della virtù, che haveva di benissimo dipignere. Costui dunque, andando una volta per sue bisogne di Sicilia a Napoli intese, che al detto Re Alfonso era venuta di Fiandra la sopradetta tavola di mano di Giovanni da Bruggia, dipinta a olio, per si fatta maniera, che si poteva lavare, reggeva ad ogni percossa, et haveva in se tutta perfezzione. Perche fatta opera di vederla, hebbono tanta forza in lui la vivacità de’ colori e la bellezza, et unione di quel dipinto, che messo da parte ogni altro negozio, e pensiero, sene andò in Fiandra. Et in Bruggia pervenuto, prese dimestichezza [p. 377 modifica]grandissima col detto Giovanni, facendogli presente di molti disegni alla maniera Italiana, e d’altre cose. Talmente che per questo, per losservanza d’Antonello, e per trovarsi esso Giovanni gia vecchio, si contentò che Antonello vedesse l’ordine del suo colorire a olio: onde egli non si partì di quel luogo che ebbe benissimo appreso quel modo di colorire che tanto disiderava. Ne dopo molto, essendo Giovanni morto, Antonello se ne tornò di Fiandra, per riveder la sua patria, e per far l’Italia partecipe di cosi utile, bello e commodo segreto. E stato pochi mesi a Messina, se n’andò a Vinezia; dove, per essere persona molto dedita a’ piaceri, e tutta venerea si risolvè habitar sempre; e quivi finire la sua vita, dove haveva trovato un modo di vivere apunto, secondo il suo gusto. Perche messo mano a lavorare, vi fece molti quadri a olio, secondo che in Fiandra haveva imparato, che sono sparsi per le case de’ Gentil’huomini di quella città, iquali, per la novità di quel lavoro vi furono stimati assai. Molti ancora ne fece, che furono mandati in diversi luoghi. Alla fine, havendosi egli quivi acquistato fama, e gran nome, gli fu fatta allogazione d’una tavola, che andava in San Cassano, parrocchia di quella città: laqual tavola fu da Antonello con ogni suo saper, e senza risparmio di tempo lavorata. E finita, per la novità di quel colorire, e per la bellezza delle figure, havendole fatte con buon disegno, fu comendata molto, e tenuta in pregio grandissimo. Et inteso poi il nuovo segreto, che egli haveva in quella città, di Fiandra portato, fu sempre amato, e carezzato da que’ magnifici Gentil’huomini, quanto durò la sua vita.      Fra i pittori, che allora erano in credito in Vinezia era tenuto molto Eccellente un Maestro Domenico. Costui arivato Antonello in Venezia, gli fece tutte quelle carezze, e cortesie, che maggiori si possono fare a un carissimo, e dolce amico. Per lo che Antonello, che non volle esser vinto di cortesia da Maestro Domenico, dopo non molti mesi gl’insegnò il secreto, e modo di colorire a olio. Della qual cortesia, et amorevolezza straordinaria, niun’altra gli sarebbe potuta esser piu cara: et certo a ragione, poi che, per quella, si come imaginato si era, fu poi sempre nella patria molto onorato. E certo coloro sono ingannati in di grosso, che pensano, essendo avarissimi, anco di quelle cose, che loro non costano, dovere essere da ognuno, per i loro begli occhi, come si dice, serviti. Le cortesie di Maestro Domenico Viniziano cavarono di mano d’Antonello quello, che haveva con sue tante fatiche, e sudori procacciatosi, e quello, che forse per grossa somma di danari non haverebbe a niuno altro conceduto. Ma perche di Maestro Domenico si dirà quando fia tempo quello, che lavorasse in Firenze, et a cui fusse liberale di quello, che haveva da altri cortesemente ricevuto, dico, che Antonello, dopo la tavola di San Cassano, fece molti quadri, e ritratti a molti gentil’huomini Viniziani. E messer Bernardo Vecchietti Fiorentino ha di sua mano in uno stesso quadro San Francesco, et San Domenico, molto belli. Quando poi gl’erano state allogate dalla Signoria alcune storie in palazzo, lequali non havevano voluto concedere a Francesco di Monsignore Veronese, ancora, che molto fusse stato favorito dal duca di Mantoa, egli si ammalò di mal di punta, e si morì, danni 49. senza havere pur messo mano all’opera. Fu dagl’Artefici nell’essequie molto honorato, per il dono fatto all’Arte della nuova maniera di colorire, come testifica questo epitaffio. [p. 378 modifica]

D. O. M.

Antonius pictor, præcipuum Messanæ suæ, et siciliæ totius ornamentum, hac humo contegitur. Non solum suis picturis, in quibus singulare Artificium; et Venustas fuit, sed, et quod coloribus oleo miscendis splendorem, et perpetuitatem primus Italicæ picturæ contulit: summo semper artificium studio celebratus.

Rincrebbe la morte d’Antonello a molti suoi amici; et particolarmente ad Andrea Riccio scultore, che in Vinezia nella corte del palazzo della Signoria lavorò di marmo le due statue, che si veggiono ignude di Adamo, e Eva; che sono tenute belle. Tale fu la fine d’Antonello, al quale deono certamente gl’Artefici nostri havere non meno obligazione dell’havere portato in Italia il modo di colorire a olio, che a Giovanni da Bruggia, d’haverlo trovato in Fiandra: havendo l’uno, e l’altro beneficato, et arricchito quest’arte. Perche, mediante questa invenzione sono venuti di poi si eccellenti gl’Artefici, che hanno potuto far quasi vive le loro figure. La qual cosa tanto piu debbe essere in pregio, quanto manco si trova scrittore alcuno, che questa maniera di colorire assegni agl’antichi. E se si potesse sapere, che ella non fusse stata veramente appresso di loro, avanzarebbe pure questo secolo l’eccellenze dell’antico in questa perfezzione. Ma perche, si come non si dice cosa, che non sia stata altra volta detta, cosi forse non si fa cosa, che forse non sia stata fatta, me la passerò senza dir’altro. E lodando sommamente coloro, che oltre al disegno, aggiungono sempre all’arte qualche cosa, attenderò a scrivere degl’altri.



Fine della vita d’Antonello da Messina.